16.6 C
Nairobi
venerdì, Dicembre 19, 2025

Il Cremlino non demorde: continua l’arruolamento di giovani africani per combattere in Ucraina

Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 18 dicembre...

Namibia, anche cambiando nome Adolf Hitler vince le elezioni per la quinta volta



Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 17 dicembre 2025 Adolf...

Bombardata dai ribelli base ONU in Sudan: uccisi 6 caschi blu

Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 15 dicembre...
Home Blog Page 24

E’ morto l’ultimo baluardo contro le guerre: Francesco, il Papa che ha tentato di riformare la Chiesa

Dalla Nostra Vaticanista
Emanuela Provera
21 aprile 2025

The English version is here

Nato nel 1936 da genitori italiani immigrati in Argentina, diplomato come perito chimico, alunno nel seminario Villa Devoto[1] di Buenos Aires: non sembrano le premesse di un futuro Papa della Chiesa cattolica apostolica romana.

Eppure la carriera ecclesiastica di Jorge Mario Bergoglio è ininterrotta dal quel lontano 1969 in cui fu ordinato sacerdote, a quando nel 1958 si unì all’ordine dei Gesuiti e nel 1992 fu nominato, da Karol Józef Wojtyła, vescovo ausiliare di Buenos Aires, città di cui divenne arcivescovo fino al 13 marzo 2013 quando fu eletto 266° papa della Chiesa.

Papa Francesco

Consenso trasversale

Le parole dei fedeli, riuniti in preghiera in Piazza San Pietro domenica 23 febbraio, dicono molto dell’impatto che il pontificato di Bergoglio ha avuto sul popolo dei credenti: “Speriamo che Dio ascolti le nostre preghiere per la guarigione del Papa”, “Non lasciarci Papa Francesco, abbiamo bisogno più che mai di te”, e così via.

Anche i post sui social sono la manifestazione del consenso trasversale consolidatosi in questi anni: “Sono vicino a Papa Francesco e da Musulmano che ama Gesù e la vergine Maria…avrò un pensiero e una preghiera per lui”, insomma una specie di redentore universale.

Anatemi contro la guerra

Durante il suo pontificato, Papa Francesco è stato un fervente sostenitore della misericordia e della giustizia sociale. Ha lanciato anatemi contro la guerra, durante la preghiera dell’Angelus di domenica 23 febbraio nel suo discorso, diffuso in forma scritta, affermava: “Mentre rinnovo la mia vicinanza al martoriato popolo ucraino, vi invito a ricordare le vittime di tutti i conflitti armati e a pregare per il dono della pace in Palestina, in Israele e in tutto il Medio Oriente, in Myanmar, nel Kivu e in Sudan”.

Ha condotto iniziative significative per riformare la Curia Romana, affrontando coraggiosamente temi globali come il cambiamento climatico, per esempio con l’enciclica “Laudato Si'”.

Ha anche promosso il dialogo interreligioso, lavorando per costruire ponti di comprensione tra diverse fedi.

Fallita lotta agli abusi

Ha promulgato decreti che hanno imposto ai movimenti ecclesiali (come Comunione e Liberazione, Opus Dei, Movimento dei Focolari) di riscrivere i propri Statuti, in un’ottica di ridimensionamento del potere sulle persone, ma di valorizzazione dei carismi.

Eppure c’è un’oggettività democratica, storica, altrettanto innegabile e fatta di ricerca, studio, dati alla mano: la lotta agli abusi nella chiesa cattolica è stata persa e ha svuotato le chiese, disaffezionando migliaia di credenti in tutto il mondo; anche per questo purtroppo dobbiamo ricordare Jorge Mario Bergoglio.

Fatto di attualità

Nonostante le sue buone intenzioni, il Papa ha fallito inesorabilmente nel tentativo impossibile di frenare gli abusi (di coscienza, spirituali e sessuali) salvando l’immagine dell’Istituzione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, specialmente in Italia.

Per citare un fatto di attualità, Monsignor Rosario Gisana, vescovo di Piazza Armerina, è stato recentemente rinviato a giudizio dai magistrati della Procura di Enna per falsa testimonianza nel processo che ha condotto in carcere un suo pupillo, il seminarista ora prete Giuseppe Rugolo, condannato in primo grado a quattro anni e mezzo per violenza su minori.

Il Coordinamento italiano, di gruppi e persone, Italy Church Too ha chiesto alla Conferenza episcopale italiana la costituzione di una commissione indipendente sugli abusi commessi dai chierici ma è rimasto inascoltato, nonostante il precedente di una indagine autonoma nella Diocesi di Bolzano Bressanone ad opera di uno Studio Legale esterno agli ambienti ecclesiastici.

Identità profonda

Non è possibile combattere gli abusi clericali senza riconoscere, secondo il pensiero del filosofo Slavoj Žižek, che la pedofilia è inscritta in modo profondo nell’identità stessa dell’Istituzione.

Mentre Bergoglio era in ospedale e combatteva contro una polmonite bilaterale Laura Sgrò, nota in ambiente ecclesiastico per essere Avvocato Rotale e Avvocato patrocinante presso la Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano, annunciava infatti il suo ultimo libro, in librerie dal 4 marzo 2025: “Stupri sacri”.

Edito dalla casa editrice Rizzoli raccoglie le storie di Gloria, Mirjam, Samuelle e di tante altre suore che si sono ribellate agli abusi dentro la Chiesa. Il prossimo Papa dovrà cominciare da qui.

Emanuela Provera
donnadrusilla@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

[1] https://www.sembue.org.ar/index.php/fundacion/

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsap https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

The last bulwark against wars has died: Francis, a Pope who tried to reform the Catholic Church

From Our Vatican Correspondent
Emanuela Provera
April 21, 2025

La versione in italiano si trova qui

Born in 1936 to Italian immigrant parents in Argentina, chemic graduate, alumni at the Villa Devoto Seminary[1] in Buenos Aires: these do not sound like the makings of a future Pope of the Roman Catholic Apostolic Church.

Yet Jorge Mario Bergoglio’s ecclesiastical career is unbroken from that distant 1969 when he was ordained a priest. In 1958 he joined the Jesuit order and in 1992 he was appointed, by Karol Józef Wojtyła, auxiliary bishop of Buenos Aires, the city of which he became archbishop until March 13, 2013 when he was elected the Church’s 266th Pope.

Consensus

The words of the faithful, gathered in prayer in St. Peter’s Square on Sunday, Feb. 23, say much about the impact Bergoglio’s pontificate has had on believers: “We hope God hears our prayers for the Pope’s healing,” “Don’t leave us Pope Francis, we need you more than ever.”

The posts on social media are also a manifestation of the consensus that has been consolidated in recent years: “I am close to Pope Francis and as a Muslim who loves Jesus and the Virgin Mary…I will have a thought and a prayer for him,” in short, a kind of universal redeemer.

Anathemas against war

During his pontificate, Pope Francis has been a fervent advocate of mercy and social justice. He has issued anathemas against war; during the Angelus prayer on Sunday, Feb. 23, in his address, circulated in written form, he stated, “As I renew my closeness to the martyred people of Ukraine, I invite you to remember the victims of all armed conflicts and to pray for the gift of peace in Palestine, Israel and throughout the Middle East, Myanmar, Kivu and Sudan.”

He has led significant initiatives to reform the Roman Curia, boldly addressing global issues such as climate change, for example with the encyclical “Laudato Si’.”

He also promoted interreligious dialogue, working to build bridges of understanding between different faiths.

Failed to combat abuse

He has promulgated decrees that have required clerical associations (such as Communion and Liberation, Opus Dei, Focolare Movement) to rewrite their statutes, with a view to downsizing power over people.

Yet there is a historical objectivity that is equally undeniable and made of research, study, and data at hand: the fight against abuse in the Catholic Church has been lost, it has emptied the churches, disaffecting thousands of believers all over the world. While the structure of the Catholic Church is at the base of this loss, unfortunately we must remember Jorge Mario Bergoglio also for this.

Topical fact

Despite his good intentions, the Pope has failed inexorably in the impossible attempt to curb abuses (of conscience, spiritual and sexual) while saving the image of the institution. The result is there for all to see, especially in Italy.

To cite a topical fact, Monsignor Rosario Gisana, bishop of Piazza Armerina, was recently indicted by magistrates of the Public Prosecutor’s Office of Enna for perjury in the trial that led to the imprisonment of one of his pupils, the seminarian now priest Giuseppe Rugolo, who was sentenced in the first instance to four and a half years for violence against minors.

The Italian Coordination of groups and individuals, Italy Church Too, has asked the Italian Bishops’ Conference for the establishment of an independent commission on abuse committed by clerics but has gone unheeded, despite the precedent of an independent investigation in the Diocese of Bolzano Bressanone by a law firm outside church circles.

Deep identity

It is not possible to combat clerical abuse without recognizing, according to the thinking of philosopher Slavoj Žižek, that pedophilia is deeply inscribed in the very identity of the institution.

While Bergoglio was in the hospital battling bilateral pneumonia, Laura Sgrò, known in ecclesiastical circles for being a Rotal Lawyer and Advocate at the Court of Appeals of the State of Vatican City, announced her latest book, in bookstores from March 4, 2025: “Sacred Rape.”

Published by Rizzoli publishing house, it collects the stories of Gloria, Mirjam, Samuelle and many other nuns who rebelled against abuses inside the Church. The next Pope will have to start here.

Emanuela Provera
donnadrusilla@gmail.com
© ALL RIGHT RESERVED

[1] https://www.sembue.org.ar/index.php/fundacion/

Do you want to contact Africa ExPress? Send a WhatsApp message with your name and region (or country) of residence to.
+39 345 211 73 43

You can subscribe to Africa Express for free on the Telegram platform at the channel https://t.me/africaexpress
and on the Whatsap channel https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

Guerre e propaganda: l’informazione è un diritto che ci vogliono togliere

EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
Milano, 18 aprile 2025

Da un po’ di tempo continua ad affiorare nella mia mente una arguta frase pronunciata qualche anno fa da Noam Chomsky. Mi pare che sia diventata attualissima e recita: “Se vuoi controllare un popolo, crea un nemico immaginario che appaia più pericoloso di te, quindi presentati come il loro salvatore”.

In questi giorni siamo subissati da commenti e informazioni mirate, anche false, che puntano a creare nell’opinione pubblica una reazione favorevole al riarmo, inducendo un’irrazionale paura verso un nemico impersonato da Putin, dalla Russia, dai palestinesi e/o da Hamas.

La tecnica è semplice e non l’ha di certo inventata Ursula von der Leyen, ma piuttosto un suo compatriota, Joseph Goebbels, che, in un discorso tenuto il 18 febbraio 1943 a Berlino, aveva infiammato le folle.

Capolavoro retorico

Il capo della propaganda nazista nel suo comizio, definito da molti un capolavoro retorico infarcito di falsità, aveva convinto la massa in ascolto della necessità ineluttabile alla difesa della patria, minacciata dagli ebrei. Raccontando bugie spericolate, pericolose ma anche, a una attenta analisi, inverosimili, aveva inculcato nella gente il folle concetto dell’obbligo di una guerra totale contro gli aggrediti dal suo regime ma da lui presentati invece come aggressori: gli Alleati.

Goebbels con quel discorso era riuscito a distorcere la realtà. Così la gente, suggestionata ma anche impaurita, era stata convinta ad appoggiare la guerra hitleriana. Anzi a fare in modo che ciascun individuo si trasformasse in un propagandista di questa necessità inevitabile.

Programma liberticida

Il programma liberticida di Goebbels era complesso e scientifico: il capo nazista aveva già teorizzato che per realizzare l’egemonia del suo partito si doveva ottenere il controllo totale dei media necessario a sua volta per manipolare liberamente menti e coscienze.

Ma non solo: Goebbels aveva teorizzato che la guerra totale si poteva realizzare soltanto sottomettendo tutti gli aspetti della vita civile alle esigenze belliche.

Disinformazione e propaganda

Ciò che sta accadendo in questi ultimi anni non può che far riflettere su quanto ha scritto Chomsky e su sull’uso della propaganda per manipolare le masse e convincerle della necessità di qualcosa: in questo caso la guerra.

La disinformazione è alla base della propaganda. Si diffondono informazioni semplici e/o parziali che fanno però breccia nell’imaginario collettivo: nel caso dell’Ucraina l’equazione aggredito/aggressore che istintivamente induce l’opinione pubblica a schierarsi con chi ha subito una prepotenza irresponsabile, cioè con l’aggredito.

Non importa se l’aggredito ha violato patti, accordi, trattati, intese. Agli occhi dell’opinione pubblica e degli analisti naif appare la vittima, mentre l’aggressore impersona il carnefice.

Violenza selvaggia

Nel caso della Palestina la violenza selvaggia del feroce e brutale attacco portato il 7 ottobre 2003 contro il festival musicale israeliano appena fuori la Striscia di Gaza, ha indotto la gente ad allinearsi con Israele.

Passa in secondo piano il fatto che in Palestina un popolo da quasi 80 anni viva in una prigione a cielo aperto in condizioni di segregazione razziale.

E così in entrambi i casi il mainstream si è guardato bene dal menzionare la violazione da parte ucraina degli accordi di Minsk e l’inosservanza da parte israeliana delle delibere dell’ONU che prevedono la creazione dello Stato di Palestina.

Messaggio fuorviante

Il messaggio che viene trasmesso all’opinione pubblica è quindi fuorviante e manipolatorio anche perché il tutto viene condito da notizie non verificate, né dai giornalisti sui media, né dai cosiddetti commentatori sui social.

Qualche giorno fa ho ascoltato una giornalista prestigiosa e di peso che sosteneva di aver appreso una notizia favorevole all’Ucraina dai servizi in intelligence. Sono sobbalzato sulla sedia.

Nel mio lavoro mi è capitato spesso di aver a che fare con spie e 007 che si presentavano alcune volte a viso scoperto, altre che individuavo come tali dopo un po’. Non ho mai pubblicato una notizia fornitami da un agente dell’intelligence senza averla prima verificata personalmente.

Il mio direttore di riferimento, Piero Ottone, colui che mi ha insegnato il mestiere di giornalista, sosteneva che uno dei compiti degli agenti dei servizi segreti è quello di mentire e di servire la disinformazione.

Perché quindi un giornalista diffonde una notizia senza prima verificarne la veridicità? Qual è il vero interesse? Solo semplice ignoranza?

Post da brividi

In questi giorni mi sono poi imbattuto in un post diffuso in chat e sono rabbrividito: “Pare che l’invasione dei paesi baltici sia prossima. Gli Americani hanno dichiarato che solo gli europei dovranno difendersi da un eventuale attacco russo a Paesi NATO. Resta l’ombrello nucleare, ma hanno ufficialmente dichiarato che non interverranno in massa. Viene letto come un disco verde alla Russia”.

Un messaggio di questo genere ha il solo scopo di diffondere paura e angoscia nell’opinione pubblica. Il fine ultimo è quello di convincerla della necessità di armarsi, senza se e senza ma. Sembra scritto sotto dettatura dalla CIA, infatti non rivela la fonte della notizia che viene introdotta da un “Pare che…”

Sdoganati i tuttologi

Ormai da anni la televisione ha sdoganato i tuttologi di professione. Così, persone che hanno visto la guerra solo in televisione, ben seduti sulla loro poltrona, si permettono di dare giudizi, dispensare consigli, distribuire ammonimenti, elargire raccomandazioni.

A giudicare da come giustificano le loro opinioni si può facilmente arguire che sono stati catturati dalla propaganda. Infatti in molti casi non rispondono alle argomentazioni degli altri con contestazioni puntuali e appropriate, ma insultando chi ha idee diverse che non collimano con le loro.

Masochismo inconscio

Sono la prova vivente di come funziona la manipolazione delle masse, una tecnica strettamente collegata a disinformazione e ignoranza.  E di come le teorie di Goebbels possono provocare immani catastrofi. La propaganda è ingegnosa perché induce le persone a scegliere cose che le danneggiano. Una sorta di masochismo inconscio.

Molti italiani, convinti che la Russia stia per invaderci, ritengono infatti che spendere soldi per riarmarci sia un investimento migliore rispetto a quello di investire in ospedali, istruzione o infrastrutture.

Bailamme informativo

In questo bailamme di informazioni spesso false e orientate, balza agli occhi meno addormentati il martellamento sull’intenzione di Putin e della Russia di invadere l’Europa occidentale (qualcuno si era spinto a ipotizzare l’assalto dei cosacchi a Lisbona).

Un’ipotesi naif frutto solo della fantasia di chi pensa che sia necessario difendere gli interessi americani in Europa orche gli americani difendono i nostri. Cosa che finalmente è chiaro che sia palesemente falsa.

Non ci sono dubbi invece che una pace con la Russia sarebbe vantaggiosa per tutto il continente. Basti pensare che potremmo rifornirci di petrolio a gas a prezzi molto più vantaggiosi di quelli attuali.

Già, ma la pace si fa in due. Ecco perchè la propaganda filoamericana sostiene sia Putin che non vuole trattare, e quindi non vuole la pace. Viceversa quella filorussa, dà la colpa a Zelensky.

Le guerre, diceva qualcuno, si vincono o con la forza o con l’inganno. Per la pace ci vuole, invece, buona volontà e fiducia.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
X @malberizzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

USA schiera cacciabombardieri a Diego Garcia pronti a attaccare Teheran

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
18 aprile 2025

Due settimane fa una ventina di organizzazioni civili è scesa nelle strade e nelle piazze di Port Louis, capitale delle Mauritius per chiedere l’immediata chiusura della base militare statunitense-britannica Diego Garcia.

Quando gli elefanti litigano, è l’erba a rimanere schiacciata. Vista la crescente tensione tra gli Stati Uniti e l’Iran, la popolazione teme, che il regime di Teheran possa bombardare la roccaforte americana nell’arcipelago. I manifestanti hanno anche chiesto la demilitarizzazione dell’Oceano Indiano.

Bombardieri strategici USA

Dalla fine di marzo Washington ha posizionato nella base bombardieri strategici che possono trasportare sia armi convenzionali sia quelle termonucleari, pronti a attaccare l’Iran nel caso dovessero fallire i dialoghi sul nucleare tra i due Paesi.

Bombardieri strategici B2 USA a Diego Garcia, Mauritius

E per tutta risposta Teheran ha minacciato di bombardare, come temuto dai mauriziani, la base Diego Garcia, che si trova nell’arcipelago delle isole Chagos.

Sovranità isole Chagos

Solo a ottobre, dopo anni di tira e molla, i governi di Gran Bretagna e Mauritius hanno finalmente trovato un accordo sulla sovranità del gruppo di isole, fino a allora territorio britannico d’oltremare nell’Oceano Indiano. Ma già nel 2019 la Corte Internazionale dell’Aja aveva accolto positivamente la rivendicazione della Repubblica di Mauritius e ha chiesto alla Gran Bretagna di rinunciare alla sovranità delle isole Chagos, un piccolo arcipelago che comprende cinquanta isole nel bel mezzo d’Oceano Indiano, compresa la base militare di Diego Garcia.

Base militare rimane a Londra

Pur avendo ottenuto la sovranità, le due parti hanno concordato che Londra potrà mantenere la base militare a Diego Garcia, condivisa con Washington, per un periodo iniziale di 99 anni, al fine di “garantirne il funzionamento a lungo termine, in quanto svolge un ruolo vitale nella sicurezza regionale e globale”. Anche l’allora presidente americano, Joe Biden, aveva molto apprezzato l’accordo tra Regno Unito e Mauritius.

Minacce USA

Ancora la settimana scorsa Trump aveva dichiarato che non esclude un’azione militare contro l’Iran se i colloqui tra il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e l’inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, si dovessero concludere senza un accordo. Il taycoon aveva poi aggiunto che Israele sarebbe stato leader di questa operazione militare.

Cauto ottimismo 

I primi colloqui tra i due Paesi si sono svolti in Oman, mentre un secondo round  inizierà domani a Roma.

Oggi, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha fatto sapere da Mosca, dove ha incontrato il suo omologo Sergei Lavrov, che il suo Paese ritiene possibile raggiungere un accordo sul suo programma nucleare con gli Stati Uniti, a patto che Washington sia realista.

Mentre il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha dichiarato poco fa che l’amministrazione statunitense sta cercando una soluzione pacifica con l’Iran, sottolineando però che Washington non avrebbe mai tollerato che Teheran sviluppi un’arma nucleare.

Nel 1965 le autorità mauriziane sono state costrette da Londra a cedere le isole alla Gran Bretagna e in cambio della sovranità, nel 1968 lo Stato insulare ha ottenuto l’indipendenza. All’epoca Londra era disposta a tutto pur di impossessarsi delle Chagos. Per raggiungere il proprio scopo aveva versato anche tre milioni di sterline nelle casse di Port Louis.

Agli inizi degli anni Settanta, con l’intensificarsi della guerra fredda, Londra e Washington hanno costruito a Diego Garcia, la più grande delle isole, la prevista  grande base militare che, da allora, ha svolto un ruolo importante nelle operazioni militari americane: è stata utilizzata per i bombardamenti  in Afghanistan e Iraq e la CIA ha adoperato la struttura per deportare le persone sospette, catturate in Afghanistan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.

Base Diego Garcia USA – GB sulle isole Chagos

Cacciati residenti

Ma per poter realizzare la base, Londra aveva espulso i duemila residenti delle tre isole abitate dell’arcipelago, che erano stati trasferiti alcuni alle Mauritius, altri alle Seychelles. In un cablogramma addirittura gli indigeni erano stati bollati come “qualche Tarzan e Venerdì”.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Diego Garcia: la sovranità passa alle Mauritius, ma Londra e Washington manterranno la loro base militare

Sentenza del tribunale ONU all’Aja: Diego Garcia appartiene a Mauritius

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

 

Cooperazione “sbilenca” Italia-Somalia: cessione di blindati tattici in disuso

Dal Nostro Corrispondente per Questioni Militari
Antonio Mazzeo
17 Aprile 2025

Lo scorso 2 aprile le Commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei deputati hanno espresso parere favorevole alla proposta del governo di cedere a “titolo gratuito” materiale di armamento alle forze armate e di polizia della Repubblica Federale di Somalia.

Lo schema di decreto interministeriale era stato trasmesso in Parlamento il 24 febbraio 2025. “Scopo del provvedimento è quello di rafforzare la collaborazione e la cooperazione tra l’Arma dei carabinieri e le Forze di polizia somale, nel quadro delle attività di collaborazione e di sostegno alle istituzioni locali”, vi si legge.

Blindati tattici IVECO obsoleti

Al decreto è stata allegata una relazione del Reparto “Logistica e Infrastrutture” dello Stato Maggiore della Difesa (datata 25 giugno 2024) che fornisce alcune informazioni sulle sempre più consolidate relazioni politico-militari tra Italia e Somalia.

Durata illimitata

“Il Governo della Repubblica Italiana e il Governo Federale della Repubblica di Somalia hanno sottoscritto a Roma il 17 settembre 2013 un Accordo di Cooperazione Generale in materia di Difesa”, spiegano i vertici militari.

“Tale Accordo – continuano – è entrato in vigore il 25 luglio 2016, a durata illimitata ed è finalizzato ad incrementare la collaborazione tra le Forze armate, consolidando le rispettive capacità difensive e migliorando la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”.

Nello specifico, l’Accordo di Cooperazione prevede lo scambio di materiali militari “quale contributo ad accrescere l’interoperabilità fra i rispettivi dispositivi di polizia”.

Tutto gratis

In tale ambito il governo italiano si è fatto carico di cedere “gratuitamente” alle forze armate di Mogadiscio sei blindati tattici VM-90P,già in dotazione all’Arma dei Carabinieri.

“Il VM-90 è un veicolo multiruolo 4×4 con elevata mobilità sulla viabilità ordinaria e su terreni accidentati, su fondo anche cedevole e con scarsa aderenza, largamente impiegato soprattutto per attività tattico–logistiche”, spiega lo Stato Maggiore.

I veicoli da guerra sono stati prodotti dagli stabilimenti di Iveco Defence Vehicles S.p.A. (sede principale a Bolzano); possono trasportare personale fino a un massimo di sei persone e sono omologati per viaggiare per via aerea, terrestre e marittima.

“La protezione fornita dai VM-90 è normalmente classificata su livelli che vanno dal B1, con un livello base legato al rischio di criminalità metropolitana, fino ad arrivare al B7, il massimo della blindatura contro le minacce di azioni terroristiche”, aggiunge lo Stato Maggiore.

Efficienti? Pare di no

Ma sono davvero uno strumento bellico efficiente i sei blindati Iveco ceduti alle forze armate somale? A leggere gli ulteriori passaggi della relazione dei vertici militari italiani sembrerebbe proprio di no.

“I veicoli VM-90P sono obsoleti per cause tecniche in quanto, essendo entrati nel ciclo logistico nel periodo 1996-2004, appartengono ad un segmento di parco vetusto che oggi presenta elevati oneri manutentivi e limitate possibilità di impiego nei moderni scenari di crisi sia dentro sia, soprattutto, fuori dal territorio nazionale”, annota lo Stato Maggiore.

La “vetustà” dei blindati aveva indotto le forze armate italiane a perseguire un dispendiosissimo programma di acquisizione di una nuova generazione di veicoli tattici leggeri multiruolo, i VTLM Lince, “più performanti e sicuri”.

Fuori servizio

“Con il passare del tempo – si spiega – i citati VM-90P sono transitati in extra-organico rispetto all’esigenza dell’Arma e, difatti, sono stati già dichiarati fuori servizio dall’ispettorato logistico dell’Arma dei Carabinieri”.

Nel 2020 il governo italiano aveva ceduto alle autorità di Mogadiscio due blindati della stessa tipologia. Nello stesso anno erano stati consegnati pure 200 scudi quadrati marca Mirafan, 200 caschi con maschera marca Protos e 50 scudi tondi, “non più rispondenti alle esigenze di impiego operativo dei Carabinieri”.

“La cessione dei blindati VM-90P si inserisce nel quadro del crescente impegno della Difesa italiana a supporto del processo di capacity building della Somalia”, spiega il Governo nello schema di decreto sottoposto alle due Camere il 24 febbraio 2025.

“E’ in corso di revisione il Somali National Security Architecture (SNSA),programma di riordino del settore sicurezza che prevede l’integrazione delle milizie regionali nelle Forze di Sicurezza federali e che è orientata, da un punto di vista politico-militare, all’adozione di azioni mirate principalmente alla salvaguardia dell’unità, della sovranità e della sicurezza nazionale, con focus sul contrasto dei gruppi insorgenti armati”.

Elevata volatilità

Obiettivo chiave del programma è quello di incrementare l’organico delle forze d’élite somale di almeno 30.000 unità, “escluse le Forze Speciali addestrate da USA e Turchia”.

La relazione predisposta dallo Stato Maggiore ed allegata allo schema di decreto delinea un quadro della situazione in Somalia caratterizzato “da elevata volatilità a partire dalla fine del 1991, quando fu rovesciato il Presidente Siad Barre”.

“La Somalia rientra, infatti, tra i cosiddetti failed State, ovvero tra gli Stati in cui nessuna entità governativa è capace di esercitare il monopolio dell’uso legittimo della forza sull’intero territorio”, spiegano i vertici militari.

“L’instabilità della Somalia è a sua volta la principale causa endogena di instabilità regionale del Corno d’Africa, a causa prevalentemente del terrorismo, dell’attivismo di organizzazioni criminali a carattere transnazionale e del fenomeno della pirateria, che, sebbene notevolmente ridimensionato negli ultimi anni, costituisce comunque fattore di minaccia sempre presente”.

“La crisi nel Corno d’Africa risulta quindi legata a doppio filo alla stabilità futura della Somalia – dove da gennaio 2025 la nuova missione a guida dell’Unione Africana AUSSOM è destinata a sostituire ATMIS – a seguito dell’entrata dell’Egitto nella partita del Corno, con il rischio di ulteriori preoccupanti tensioni, qualora Mogadiscio dovesse richiedere formalmente la sostituzione del contingente etiopico, attualmente quello numericamente prevalente nella missione, con quello egiziano”.

In tale scenario lo Stato Maggiore della Difesa chiede un maggiore coinvolgimento italiano e delle istituzioni europee in Corno d’Africa, soprattutto nell’addestramento delle forze armate della Repubblica Federale della Somalia.

Missioni di vari Paesi

“Oltre alla missione europea EUTM Somalia, operano in territorio somalo anche altri Paesi che conducono attività addestrative/formative in favore delle forze armate locali (tra questi, in particolare, USA, Regno Unito e Turchia”, ricordano i vertici militari.

Aprile 2025: MIADIT Somalia: termine del corso antidroga e unità cinofile

“In tale contesto – aggiungono – l’Italia è uno dei Paesi più attivi, oltre che con la partecipazione alle missioni dell’UE (EUTM Somalia, EUCAP Somalia ed EUNAVFOR Atalanta), anche attraverso la Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane (MIADIT), con sede a Gibuti, volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera regione”.

Al rafforzamento della presenza militare italiana in Corno d’Africa non potrà che seguire la crescita delle esportazioni di armi e munizioni al governo di Mogadiscio. “In tale contesto, le Autorità somale hanno già rappresentato ufficiosamente le loro aspettative nei confronti dell’Italia per un maggior contributo in termini di mezzi (sia terrestri che marittimi), sistemi d’arma ed equipaggiamenti militari”, conclude lo Stato Maggiore italiano.

Un impegno ad accrescere gli “aiuti militari” alla Somalia era stato assicurato dal ministro della difesa Guido Crosetto in occasione della visita in Italia del Presidente della Repubblica somala, Hassan Sheikh Mohamude, e del ministro Abulkadir Mohamed Nur (10 febbraio 2023).

Costa più lunga dell’Africa

“La Somalia ha il confine marino più lungo dell’Africa, ma è anche la porta dell’Africa: abbiamo ragionato quindi sulla possibilità di aumentare gli aiuti nel settore marittimo per il contrasto alla pirateria trainando anche l’Europa e la NATO in quest’area di interesse strategico”, dichiarò allora Crosetto.

Prima di lasciare Roma, il presidente Hassan Sheikh Mohamud e il ministro della Difesa, Abulkadir Mohamed Nur, parteciparono al convegno dal titolo “Italia, Somalia. Una relazione speciale”, presenti pure i ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Ad organizzarlo la Fondazione Leonardo Med-Or, istituita dall’azienda leader del comparto militare-industriale, Leonardo SpA, e presieduta dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd).

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

Furbizia italiana: armamenti obsoleti ai regimi golpisti africani

 

ECOWAS: la corruzione ruba all’Africa quasi 78 miliardi di euro all’anno

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
16 aprile 2025

“La corruzione e i crimini finanziari sono tra i maggiori ostacoli allo sviluppo economico e sociale della subregione”. Lo conferma Abdel-Fatau Musah, commissario dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) nell’incontro, in Niger, a inizio aprile.

Settantotto miliardi di euro

“Le ricerche indicano che l’Africa perde ogni anno 88,6 miliardi di dollari (78 miliardi di euro) a causa della corruzione e dei flussi finanziari illeciti che assorbono il 3,7 per cento del PIL del nostro continente”, ha affermato Musah.

ECOWAS francobolli anti-corruzione Nigeria
Francobolli anti-corruzione emessi in Nigeria nel 2016

Questa condizione è diventata un grosso problema per le democrazie dei 12 Stati attuali membri di ECOWAS. “Si trovano in una situazione di fragilità, soprattutto a causa della minaccia della corruzione”, ha ricordato il commissario.

I maggiori ostacoli allo sviluppo economico e sociale dell’Africa occidentale, secondo lo studio ECOWAS, sono la criminalità finanziaria e la corruzione.

Emergenza criptovalute

Il crescente utilizzo di criptovalute e altri sistemi finanziari online hanno portato nuovi rischi ai Paesi membri. Le istituzioni anti-corruzione, per combattere i nuovi crimini, hanno la necessità di sviluppare nuove competenze.

Vista questa nuova realtà criminale ECOWAS ha deciso di aiutare le strutture anti-corruzione degli Stati membri attraverso corsi di formazione su misura.

Nuove tecniche investigative

Ola Olukoyede, presidente della Commissione contro i crimini economici e finanziari (EFCC): “Le minacce che affrontiamo non sono confinate all’interno delle frontiere nazionali. Sono sofisticate, tecnologiche e profondamente radicate nelle strutture politiche ed economiche”.

Secondo Olukoyede per individuare, contrastare e recuperare i beni legati ai crimini finanziari, sono necessarie tecniche investigative avanzate.

Mappa dell’ECOWAS fino al 25 gennaio 2025. Quel giorno Mali,Niger e Burkina Faso sono usciti dall’organizzazione

Cosa è ECOWAS

La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale è un’organizzazione economica nata nel 1975 fondata da sedici Paesi. Attualmente ne fanno parte 12 nazioni: Benin, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo. Il Marocco ha fatto richiesta di adesione.

Nel 1978 e nel 1990 i paesi membri dell’ECOWAS hanno firmato due protocolli di non aggressione. Nel 1981 hanno anche firmato un accordo di assistenza difensiva reciproca che ha dato la nascita alla creazione delle forze armate alleate della Comunità (Economic Community of West African States Monitoring Group – ECOMOG). ECOMOG è intervenuta come forza di mantenimento della pace in  conflitti dell’area nella Sierra Leone, Guinea Bissau e Gambia.

Ex membri sono: Burkina Faso, Mali e Niger mentre la Guinea è stata sospesa. I leader militari andati al potere con i recenti colpi di Stato, hanno ritirato i loro Paesi dall’organizzazione.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

I golpisti del Niger all’ECOWAS: “Un’attacco qui non sarà una passeggiata”

ECOWAS allertate truppe per intervento militare in Niger ma i golpisti minacciano di ammazzare Bazoum

Suspense in Niger dopo l’ultimatum ECOWAS con nuove manifestazioni in appoggio del golpe

Come si presenterebbe la minaccia dell’ECOWAS di usare la forza per ripristinare la democrazia in Niger?

Impunità e cinismo di Israele: distrutto l’ultimo ospedale di Gaza

Speciale per Africa Express
Federica Iezzi

Di Ritorno Da Gaza, 14 aprile 2025

Ci vollero 5 mesi dal primo attacco all’ospedale arabo Al-Ahli, nell’ottobre 2023, per decretare la responsabilità diretta di Israele. Ma ormai era troppo tardi. L’esercito di Netanyahu aveva bombardato, distrutto e assediato quasi tutti gli ospedali di Gaza.

Con quello della domenica delle Palme, siamo al quinto attacco israeliano, in 18 mesi, sull’ospedale Al-Ahli, l’ultimo pienamente funzionante a Gaza City. E tutto continua a passare inosservato, il mondo non ha ancora voltato pagina, continua a considerare ordinari i bombardamenti israeliani sulle strutture sanitarie e ordinaria l’impunità dell’esercito di Tel Aviv, per gravi violazioni del diritto internazionale.

Al-Ahli Arab Baptist hospital, Gaza City [photo credit al-Jazeera]

L’esercito israeliano, appoggiato dallo Shin Bet (agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele) ha condotto un attacco chirurgico, millantando la solita vecchia e stucchevole scusa che nell’ospedale era presente un centro di comando e controllo, utilizzato da Hamas.

Infondate affermazioni

Niente di più falso. Mahmoud Basal, portavoce della difesa civile di Gaza, ha definito infondate le affermazioni israeliane riguardo l’attività militante di Hamas all’interno dell’ospedale.

Le Forze di Difesa Israeliane hanno affermato di aver adottato misure per mitigare i danni ai civili e al complesso ospedaliero, tra cui l’emissione di ordini di evacuazione nella zona, l’uso di munizioni di precisione e la sorveglianza aerea. Venti minuti. Questo il tempo che l’esercito israeliano ha concesso ai palestinesi per evacuare un intero ospedale. Poi lo schianto. La distruzione.

Persino i rappresentanti governativi di Paesi allineati con Israele hanno espresso – seppur molto moderatamente – preoccupazione. In Germania, il Ministro degli Esteri uscente, Annalena Baerbock, si è interrogata sulla fattibilità di evacuare gli ospedali in tempi così limitati.

L’ospedale Al-Ahli è uno degli almeno 36 ospedali bombardati e incendiati dall’esercito israeliano dall’inizio della guerra a Gaza. Sempre con lo stesso raccapricciante schema.

Servizi inagibili

La distruzione di uno degli edifici principali dell’ospedale, l’inagibilità di quasi tutti i reparti e i servizi, l’inutilizzabilità dei materiali sanitari, sono crimini israeliani deliberati, volti a smantellare la già fragile infrastruttura medica della Striscia di Gaza.

L’attacco ha di fatto paralizzato i servizi medici a Gaza City. Il personale sanitario era riuscito a preservare risorse limitate nonostante mesi di guerra. L’ospedale ha assistito oltre un milione di residenti nel nord di Gaza. Centinaia di sfollati erano rifugiati anche nel suo cortile.

Corridoio di Morag

L’attacco all’ospedale è avvenuto il giorno dopo che le forze israeliane hanno occupato un corridoio chiave a Gaza e hanno annunciato l’intenzione di espandere la loro campagna militare di terra in tutta l’enclave.

Il Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha annunciato che l’esercito ormai controlla completamente il “Corridoio Morag” tra le città meridionali di Rafah e Khan Younis. Il corridoio fa parte di quella definita come “zona di sicurezza israeliana”.

La scorsa settimana una delegazione di Hamas ha lasciato Il Cairo senza aver compiuto alcun progresso, nei colloqui con i mediatori egiziani, volti a raggiungere un nuovo accordo di cessate il fuoco. Il tutto a causa del netto rifiuto di Israele di impegnarsi a porre fine alla guerra e di ritirarsi dalla Striscia di Gaza. Al contrario Hamas ha mostrato flessibilità riguardo alla progressione nelle trattative.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

Niger: rapita donna svizzera a Agadez

Africa ExPress
Agadez, 14 aprile 2025

Domenica sera è stata rapita la svizzero-nigerina, Claudia Maria Abbt, dalla sua casa a Agadez, dove la donna risiede da diversi anni. Il Dipartimento Federale degli Esteri di Berna e Ibra Boulama Issa, governatore della regione di Agadez, hanno confermato il sequestro.

La Gran moschea di Agadez è un’attrazione turistica (anche se i turisti non ci sono quasi più). E’ alta 27 metri ed è costruita in fango e mattoni

Sequestro confermato

Secondo un testimone oculare, alcuni uomini sarebbero arrivati in sella alle loro moto e a bordo di una Toyota V6 bianca a doppia cabina, costringendo la signora a salire sulla vettura. RFI ha precisato che i sequestratori con il loro ostaggio si sarebbero poi diretti verso Ingall, cittadina nel dipartimento di Tchirozerine nella regione di Agadez, non lontana dal confine con il Mali.

Claudia Maria Abbt

Artigianato locale

Claudia Maria Abbt, nata a Beirut (Libano), 67 anni fa, in base a quanto riportato dai media locali era sposata con un gioielliere del luogo. Nella città nigerina, alle porte del deserto, si occupava di turismo e della promozione dell’artigianato locale. La donna aveva persino fondato l’associazione TELLIT per sostenere gli artigiani del luogo. Lo scorso giugno aveva organizzato un vernissage a Berna per presentare e pubblicizzare manufatti – borse, gioielli e altro – realizzati appunto a Agadez.

Artigianato locale, promosso dall’Associazione TELLIT, fondata dalla donna svizzera rapita

Rapimenti di stranieri in aumento

Dall’inizio dell’anno i sequestri di persona sono sempre più frequenti nella ex colonia francese. A metà gennaio è stata rapita, sempre a Agadez, la 73enne austriaca, Eva Gretzmacher. Qualche giorno dopo, 4 autisti di camion marocchini sono spariti nel nulla vicino a Tesla, nella zona delle tre frontiere (Burkina Faso, Mali Niger), dove i miliziani di EIGS (Etat Islamique du Grand Sahara) sono particolarmente attivi.

Africa Express
@africexp
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsap https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

Elezioni all’africana: in Gabon vince il golpista del 2023

Africa ExPress
14 aprile 2025

Brice Oligui Nguema,  golpista dell’agosto 2023, ha vinto le elezioni in Gabon con il 90,35 per cento. Il risultato provvisorio è stato annunciato nel pomeriggio di ieri dal ministro degli Interni. Il neo-eletto presidente guiderà il Paese per i prossimi 7 anni.

Vittoria prevista

Sabato scorso sono stati chiamati alle urne i 920mila gabonesi iscritti alle liste elettorali; la partecipazione al voto è stata del 70,4 per cento.  Alain-Claude Bilie-By-Nze, ex ministro di Ali Bongo (presidente dal 2009 al 2023, spodestato con un colpo di Stato) e maggior rivale di Brice Oligui Nguema, si è fermato al 3,02 per cento. Gli altri sei candidati in lizza non hanno nemmeno superato l’1 per cento delle preferenze.

L’ex putschista Brice Oligui Nguema è il nuovo presidente del Gabon

Appena annunciata la vittoria dell’ex putschista, la popolazione ha dato sfogo alla propria gioia nelle strade e nelle piazze. La vittoria del militare di carriera, che ha messo così un punto finale al governo della dinastia Bongo durata 55 anni, era ampiamente prevista.

Dignità ai gabonesi

Intervistato da al-Jazeera subito dopo l’annuncio del suo trionfale successo elettorale, ha dichiarato: “Voglio ridare dignità ai gabonesi. Desidero restituire al popolo tutto ciò che gli è stato rubato”.

Il neo-presidente ha poi specificato che durante il periodo di transizione il governo ha puntato molto sulla politica estera, definendo questo impegno un vero successo. “Abbiamo ottimi rapporti di cooperazione con le principali potenze mondiali, tra questi Stati Uniti, Francia, Russia e Cina”.

Il Paese si trova sulla costa atlantica dell’Africa centro-occidentale e le sue ricchezze del sottosuolo, petrolio, oro e manganese, sono notevoli e certamente fanno gola a molti investitori stranieri.

Disoccupazione giovanile

Il Gabon conta poco più di 2,2 di abitanti e oltre un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. E, secondo il rapporto della Banca mondiale, nel 2024 quasi il 40 per cento dei giovani risultava disoccupato.

Nguema, ex capo della guardia repubblicana di Ali Bongo, durante la campagna elettorale si è presentato come “riformatore”.  Ha promesso di lottare innanzitutto contro corruzione, di diversificare l’economia, principalmente improntata sul petrolio, investendo nell’agricoltura, nell’industria e persino nel turismo.

Risposte immediate

Ma il nuovo capo di Stato dovrà dare subito risposte alle esigenze primarie dei gabonesi, come elettricità (le interruzioni sono all’ordine del giorno a Libreville, la capitale) e acqua corrente. Deve inoltre affrontare la carenza di cibo e garantire che anche la popolazione possa beneficiare delle importanti ricchezze del sottosuolo.

Ma non tutti gabonesi hanno fiducia in Nguema. Qualcuno si è espresso in questi termini: “Ci ha venduto un sogno e si è circondato anche di fedelissimi dell’era Bongo”.

Africa Express
@africexp
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gabon: il leader dei golpisti si è arricchito a dismisura razziando il Paese e riducendo la gente alla fame

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza ai numeri
+39 345 211 73 43 oppure +39 377 090 5761

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsap https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

Mauritania: per arginare il terrorismo del Sahara arrivano gli istruttori militari cechi

Speciale per Africa-ExPress
Cornelia I. Toelgyes
12 aprile 2025

Dall’inizio dell’anno in Mauritania sono presenti una ventina di militari della Repubblica Ceca. Il loro compito è formare le truppe di Nouackchot. I programmi della NATO, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti prevedono infatti un rafforzamento della capacità militari dell’ex colonia francese per lottare contro il terrorismo nel Sahara.

Esercito mauritano addestrato da militari cechi

In passato i militari cechi erano presenti anche in Mali, insieme a altre forze speciali europee, tra queste anche quelle italiane, nell’ambito della Task Force Takuba, lanciata da Emmanuel Macron nel 2020. Takuba ha poi cessato le operazioni in Mali alla fine di giugno 2022, dopo che la giunta militare di transizione di Bamako ha rafforzato i legami con Mosca e con l’arrivo dei mercenari russi di Wagner, oggi Africa Corps, e cacciato gli occidentali.

Una prima unità militare del Paese saheliano ha già terminato il corso di addestramento. L’obiettivo principale della formazione delle truppe della ex colonia francese è di poter far fronte alla penetrazione dei terroristi del Sahel e di altre bande criminali dedite al traffico di esseri umani, armi, droga e quant’altro, ha spiegato il comandante ceco incaricato della formazione e dello svolgimento dei corsi.

Missione approvata da Parlamento

A fine novembre 2024 il Parlamento ceco ha approvato la missione in Mauritania che prevede la presenza di un massimo di 30 soldati delle forze speciali fino alla fine del 2026, nell’ambito di un programma della NATO per l’addestramento dell’esercito mauritano.

Il presidente ceco, Petr Pavel al suo arrivo in Mauritania

E proprio all’inizio della settimana il presidente ceco, Petr Pavel, è approdato a Nouakchott insieme a una folta delegazione di imprenditori. Al suo arrivo Pavel ha sottolineato che la Mauritania è uno dei Paesi più stabili di tutta la regione.

Visita storica 

Pavel ha poi evidenziato che la Repubblica Ceca è pronta a aprire dialoghi nell’ambito commerciale e altro, visto che la ex colonia francese è ricca di metalli rari e recentemente è stato scoperto anche un giacimento di gas naturale. Ovviamente tutto ciò fa gola agli imprenditori di Praga; non è quindi stato difficile avviare una partnership di cooperazione. Finora mai nessun politico ceco (e nemmeno dell’allora Cecoslovacchia) aveva mai messo piede fino ad oggi nel Paese.

Il capo di Stato ceco ha fortemente criticato la presenza dei mercenari dell’Africa Corps (ex Wagner) nel Sahel. Secondo Pavel i soldati di ventura russi, invece di combattere il terrorismo, avrebbero solo contribuito ad aumentare l’instabilità nella regione.

Prima di partire alla volta del Ghana, altro nuovo Paese amico della Repubblica Ceca, Pavel ha anche incontrato il suo omologo, Mohamed Ould Cheikh Ghazouani.

Punto di transito e partenza migranti

La Mauritania è anche un punto di transito e di partenza per i migranti che dall’Africa occidentale cercano di raggiungere le Isole Canarie e quindi l’Europa via mare.

Per questo motivo, all’inizio dello scorso anno, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, sono volati a Nouakchott. Nell’occasione, per arginare il flusso migratorio, hanno promesso un finanziamento di 210milioni entro la fine del 2024.

Annegati 100 migranti dall’inizio dell’anno

Giovedì scorso, il ministro degli Esteri mauritano, Mohamed Salem Ould Merzoug, ha fatto sapere che dall’inizio dell’anno a oggi al largo delle coste della Mauritania sono stati recuperati oltre 100 cadaveri: “Una tragedia umana, causata da “reti criminali” coinvolte nell’immigrazione clandestina”, ha sottolineato il ministro.

Recentemente il numero di arrivo di migranti, provenienti per lo più da Mali, Guinea, Costa d’Avorio, è aumentato parecchio. Chi si mette in viaggio nutre la speranza di raggiungere la Spagna e da lì il resto dell’Europa. Per questo motivo le autorità di Nouakchott hanno messo in atto una severa campagna di espulsione verso i Paesi di origine.

Rotta Atlantica: migranti verso la Spagna

Espulsione selvaggia

Il fatto ha suscitato tensioni diplomatiche e forti critiche dei Paesi vicini. La giunta golpista al potere in Mali, alla fine di marzo si era particolarmente indignata per le violenze subite dai propri concittadini durante le fasi di espulsione. Allora il ministro degli Esteri di Bamako, Abdoulaye Diop, si era recato immediatamente a Nouakchott, dove aveva incontrato il presidente Mohamed Ould El-Ghazouani, chiedendo che i quasi 1.800 maliani presenti in Mauritania senza permesso di soggiorno, venissero trattati con rispetto e umanità. “Bisogna rispettare la dignità delle persone durante le operazioni di respingimento”.

Lotta migrazione verso UE

Il ministro degli Esteri mauritano è stato ricevuto ieri a Bamako dal capo della giunta militare di transizione, Assimi Goïta. Tema principale dell’incontro è stato la lotta contro l’immigrazione verso l’Europa. Alla fine del meeting, Mohamed Salem Ould Merzoug, ha incontrato i giornalisti e ha commentato: “E’ una tragedia umana (riferendosi al ritrovamento di 100 salme in mare, ndr) e dobbiamo affrontarla insieme”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza ai numeri
+39 345 211 73 43 oppure +39 377 090 5761

Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsap https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R

Nuovi finanziamenti per bloccare migrazione irregolare

Accordo tra Mauritania e Spagna per bloccare i migranti in fuga verso le Isole Canarie e l’Europa