“My way”, Trump e la sua agenda per il Medioriente

Poco ortodosso nelle sue scelte e decisioni, il presidente USA non si cura degli interessi degli alleati. Continua ad appoggiare Israele, ma non incondizionatamente

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Dal Nostro Inviato Speciale
Giovanni Porzio
Damasco, 9 giugno 2025

Chi poteva immaginare che il capo della Casa Bianca avrebbe stretto la mano al presidente ad interim siriano Ahmed al-Sharaa, ex tagliagole di al-Qaeda e dello Stato islamico su cui fino allo scorso dicembre pendeva una taglia di 10 milioni di dollari e era leader di un gruppo armato, Hayat Tahrir al-Sham, tuttora bollato come organizzazione terroristica dallโ€™Onu, dagli USA e dallโ€™UE?

Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim siriano, a sinistra, e Donald Trump

Viviamo tempi di rapidi e inaspettati stravolgimenti dellโ€™ordine mondiale, in particolare nel volatile e insanguinato Medio Oriente. Lโ€™โ€œasse della resistenzaโ€ sciita, imperniato sulle milizie filoiraniane di Hezbollah e sul regime di Damasco, si รจ sgretolato in pochi mesi sotto le bombe di Israele.

Sterminio sistematico

Nella Striscia di Gaza, rasa al suolo dai droni e dai missili di Tel Aviv, รจ in corso lo sterminio sistematico, anche per fame, della popolazione civile, mentre il governo razzista israeliano, presieduto da Benjamin Netanyahu, autorizza nuovi insediamenti illegali nei Territori occupati e i ministri dellโ€™estrema destra religiosa auspicano lโ€™annessione della Cisgiordania e la deportazione dellโ€™intero popolo palestinese.

Di fronte allโ€™apatia dellโ€™Europa, incapace di formulare โ€“ sulla Palestina come sul conflitto russo ucraino โ€“ uno straccio dโ€™iniziativa diplomatica, Donald Trump ha se non altro il merito di agire, seppure in modo confuso e unilaterale, spesso contraddittorio e con finalitร  poco decifrabili.

Le sue mosse, da uomo dโ€™affari e giocatore di poker, sembrano improvvisate e dettate dallโ€™impazienza: aleatorie in molti casi e quasi ricattatorie, come sulla questione dei dazi. Tuttavia, in Medio Oriente pare delinearsi lโ€™abbozzo di una strategia. Qualche passo concreto รจ stato compiuto.

Dopo 45 giorni di intensi bombardamenti sullo Yemen, costati oltre un miliardo di dollari, il 5 maggio Trump ha deciso di interrompere le ostilitร  contro gli houthi: in cambio del cessate il fuoco le milizie filoiraniane sโ€™impegnano a non attaccare le navi americane nel Mar Rosso, ma non a risparmiare i cargo diretti a Israele o a colpire il territorio dello stato ebraico. Una decisione, accolta con soddisfazione da Teheran e con irritazione da Tel Aviv, dettata dalla dottrina trumpiana dellโ€™America First, anche a costo di dispiacere ai tradizionali alleati.

Nucleare iraniano

Trump non vuole impegnare gli USA in operazioni militari a lungo termine in Medio Oriente e la campagna yemenita non stava dando i risultati sperati in tempi accettabili per il nuovo inquilino della Casa Bianca, il cui sguardo รจ rivolto allo scacchiere del Pacifico. La tregua, inoltre, ha incoraggiato la continuazione dei colloqui in Oman tra Washington e Teheran sul dossier nucleare iraniano: un altro punto su cui le posizioni di Trump e Netanyahu divergono.

Israele, che in ottobre ha pesantemente colpito le difese antiaeree di Teheran, continua a pianificare un attacco alle infrastrutture nucleari iraniane, con o senza la diretta partecipazione degli Stati Uniti. Ma Trump ha avvertito lโ€™amico Bibi di essere contrario a qualsiasi operazione militare suscettibile di compromettere i negoziati in corso con gli emissari del regime degli ayatollah.

Netanyahu vorrebbe approfittare dellโ€™indebolimento dellโ€™Iran per sferrare il colpo decisivo, mentre Trump intravede lโ€™opportunitร  di raggiungere un accordo piรน favorevole di quello โ€“ da lui annullato e definito โ€œdisastrosoโ€ โ€“ concluso nel 2015 da Barack Obama.

Business first

La visita di Trump in Arabia Saudita, Emirati e Qatar (tour che ha evitato uno scalo a Tel Aviv) ha fornito ulteriori indicazioni sulla strategia di Washington. Affari miliardari, prima di tutto. Ma due decisioni politiche sorprendenti, entrambe osteggiate da Netanyahu: la stretta di mano con Al-Sharaa, che significa il riconoscimento del governo siriano, e la cancellazione delle sanzioni economiche a Damasco.

Era, questโ€™ultima, una richiesta che veniva da piรน parti. Quando in aprile ero in Siria sia lโ€™ambasciatore italiano Stefano Ravagnan che il nunzio apostolico Mario Zenari mi avevano fatto presente che per scongiurare un nuovo ciclo di violenze e di anarchia ritenevano indispensabile lโ€™abolizione dellโ€™embargo imposto al regime di Assad durante la guerra civile: le restrizioni finanziarie gravano su una popolazione che vive al 90 per cento sotto la linea della povertร , stretta nella tenaglia della disoccupazione e dellโ€™iperinflazione.

Trump ha cancellato le sanzioni imposte con ordini esecutivi del presidente, mentre piรน lungo e complesso sarร  lโ€™iter per abolire le sanzioni del Congresso e quelle relative al terrorismo; ma il segnale รจ inequivocabile e la contropartita auspicata altrettanto esplicita: la normalizzazione delle relazioni tra Damasco e Tel Aviv.

Un percorso oggi ostacolato dal genocidio a Gaza, intollerabile agli altri firmatari degli accordi di Abramo, dallโ€™annessione strisciante della Cisgiordania e dai continui bombardamenti israeliani sulle installazioni militari e sulle basi aeree siriane.

Interessi USA

Il presidente americano, in sostanza, persegue i propri obiettivi e quelli degli Stati Uniti senza curarsi degli interessi e delle preoccupazioni degli alleati. Ha promesso forniture militari per 142 miliardi di dollari ai sauditi senza neppure informare il governo israeliano. E tratta con i nemici dโ€™Israele, Hamas, gli Houthi e lโ€™Iran, senza coordinarsi con Netanyahu. Se lโ€™intenzione dichiarata da Trump รจ quella di stabilizzare la regione per sganciarsi dallโ€™impegno militare in Siria (come sta cercando di fare in Ucraina, accollando il conflitto allโ€™Europa) e concentrarsi sul dossier Cina, Netanyahu rischia di diventare un intralcio, una palla al piede.

Il sostegno allo Stato ebraico non รจ in dubbio. Ma non รจ piรน โ€œincrollabileโ€ e โ€œincondizionatoโ€ come durante lโ€™amministrazione Biden e come speravano i falchi del governo di Tel Aviv. I segnali di una crescente insofferenza nei confronti di Bibi sono sempre piรน evidenti.

La Casa Bianca non ha reagito alle dure condanne di Francia, Canada e Regno Unito che minacciano azioni concrete se Israele non cesserร  le operazioni militari e il blocco degli aiuti a Gaza. Trump รจ consapevole che lโ€™annessione della Cisgiordania inasprirebbe i rapporti con lโ€™Arabia Saudita e con i Paesi del Golfo. E che il prolungarsi del conflitto non รจ piรน sostenibile di fronte alle crescenti proteste dellโ€™opinione pubblica mondiale, araba e israeliana.

Frank Lowenstein, inviato per il Medio Oriente durante lโ€™amministrazione Obama, ha sintetizzato gli attuali rapporti tra Washington e Tel Aviv con queste parole: โ€œCredo che gli israeliani si rendano ormai conto che, per quanto abbiano accolto con favore lโ€™elezione del presidente Trump e fossero convinti di potere incassare un assegno in bianco per perseguire qualsiasi agenda volessero, Trump ha la propria agendaโ€.

Giovanni Porzio
pozzo.giovanni@gmail.com

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