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Libera Sala, libero Abedini: tutti esultano ma chi ha vinto?

Speciale per Africa ExPress
Fabrizio Cassinelli
8 gennaio 2025

Alla fine tutto è finito come ci si aspettava che finisse. Liberata Cecilia Sala grazie a una veloce azione diplomatica del governo in cui da tutte le parti, italiani, iraniani e giudici, si è s-mentito un collegamento con il corrispondente caso opposto, anche per Mohammed Abedini è scattata una velocissima liberazione, e l’ingegnere 38enne si trova già a Teheran da dove, probabilmente, nelle prossime ore, raggiungerà la sua famiglia a Najafabad.

Mohammed Abedini

“Ho sempre creduto e avuto fiducia nella giustizia”, ha detto tramite il suo legale ringraziando tutti quelli che hanno operato in silenzio.

007 italiani

A disposizione degli 007 italiani sono invece rimasti il suo pc e il telefonino, che saranno oggetto di rogatoria dagli Usa. Difficile che venga trovato qualcosa di rilevante perché in Iran Abedini è un pesce piccolo, un nome semisconosciuto.

Si chiude così una vicenda che l’Italia rivendica come un successo internazionale, gli Usa rivendicano come un successo internazionale e la magistratura rivendica come un successo internazionale.

Gli unici zitti, e che si sono limitati a ringraziare ed elogiare i rapporti con l’Italia (il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, ha semplicemente elogiato “la cooperazione di tutte le parti interessate”) sono stati gli iraniani. Quelli che hanno davvero vinto.

Oggetto di scambio

Perché se è vero che un giornalista non dovrebbe mai diventare un oggetto di scambio, o di ritorsione, è anche vero che queste cose accadono spesso, e sotto molteplici bandiere (anche occidentali), basti pensare al recente scambio di spie tra Usa e Urss in cui è probabilmente finita dentro anche la discussa e rocambolesca fuga di Artiom Uss dall’Italia.

Insomma, tutto è bene quel che finisce bene premesso che l’opinione pubblica iraniana dava per scontato che Cecilia Sala sarebbe stata liberata a breve: invitata con regolare permesso giornalistico, infatti, arcinote le sue posizioni anti governative, sarebbe stato davvero complicato tenerla a Evin in assenza di reati rilevanti, soprattutto con i colloqui sul Nucleare che partono proprio oggi a Ginevra.

Ordine cronologico

E proprio in questa chiave va probabilmente letto tutto l’affaire Abedini-Sala. E in quest’ordine. Non perché importi più dell’uno che dell’altro, ovviamente – se mai, con tutto il rispetto, il contrario – ma perché l’ordine cronologico è essenziale per capire cosa sia successo, al di là delle dichiarazioni politiche che poi alzano cortine di fumo con la complicità dei media sempre pronti alla grancassa.

Il 16 dicembre è stato arrestato Mohammed Abedini, e il 19 la Sala. Sarebbe tutto già abbastanza chiaro ma il ministero della Giustizia italiano, all’atto della scarcerazione, nel desiderio di evidenziare al massimo la normalità di un provvedimento, come inattaccabile e doveroso, ha sottolineato verità molto scomode dal punto del diritto internazionale, e queste, proprio, potrebbero rappresentare quella “vittoria” dell’Iran a cui si accennava.

Carlo Nordio, ministro della Giustizia

Da un punto di vista giurisprudenziale, il guardasigilli Nordio esercitando la facoltà che gli è riconosciuta dall’articolo 718 del Codice di procedura penale, ha depositato alla Corte d’Appello di Milano (obbligata ad attenervisi) la revoca della custodia cautelare dell’ingegnere iraniano. Per quali motivi?

Estradizione impossibile

Primo, perché Abedini non poteva essere estradato in quanto non risultava che avesse mai appoggiato alcunché di terroristico, ma solo operato in transazioni commerciali e tecnologiche. Insomma faceva il commerciante.

Magari pure di pezzi strategici che servono a dei droni militari utilizzati dai Guardiani della Rivoluzione, ma questo non significa complicità. Altrimenti Guantanamo sarebbe piena di ingegneri.

O vogliamo davvero sostenere che i sistemi d’arma venduti dagli italiani e dagli americani a jihadisti ora ex terroristi, israeliani che bombardano i civili, Paesi con evidenti violazioni dei diritti umani in mezzo mondo, siano eticamente diversi?

Secondo, perché il trattato di cooperazione con gli Usa prevede solo reati presenti in entrambi gli ordinamenti giudiziari. Ma la violazione dello Ieepa (International emergency economic powers act) in Italia non è prevista in quanto fa riferimento esclusivamente alla Legge federale Usa (che individua come minaccia “estera”, sostanzialmente, tutti quelli che vengono decisi dai vertici politici e militari).

Come è facile capire, se si seguono un po’ le problematiche geopolitiche, si tratta di due ammissioni da un lato ovvie, ma dall’altro, ribadite in chiaro, rappresentano un precedente rilevante che per essere smentiti in altri casi, un domani, necessiteranno di salti mortali assai complessi.

Inoltre il precedente dell’inottemperanza a una black list Usa è un successo immediatamente spendibile a livello internazionale dai persiani, in un momento in cui, sul tavolo di Ginevra, ci saranno proprio due dossier: quello sulle modalità dello sviluppo nucleare civile iraniano e quello, di contro, dell’allentamento delle sanzioni economiche internazionali. Con un bell’insuccesso fresco fresco.

Fabrizio Cassinelli*
cassinelli.fabrizio@gmail.com
*Fabrizio Cassinelli, giornalista dell’agenzia Ansa, saggista, presidente dei Cronisti Lombardi.

©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Frontex: guerra ai migranti con droni israeliani

Dal Nostro Esperto in Cose Militari
Antonio Mazzeo
13 Gennaio 2025

“Per la seconda volta consecutiva, Frontex (Agenzia dell’Unione Europea della guardia di frontiera e costiera) ha prescelto la nostra azienda in partnership con le IAI – Israel Aerospace Industries per la sorveglianza marittima del Mediterraneo”.

Drone HERON

E’ Airbus DS Airborne Solutions (ADAS), società interamente controllata dal gruppo aerospaziale Airbus Defence and Space (quartier generale a Monaco di Baviera), a rendere nota l’aggiudicazione di un nuovo contratto a favore dell’agenzia a cui è affidato il controllo delle frontiere esterne UE.

ADAS, IAI, FRONTEX

“La controllata di Airbus e il suo partner da lungo tempo Israel Aerospace Industries, continueranno a fornire a Frontex i servizi di sorveglianza aereonavale con l’impiego di velivoli senza pilota”, aggiunge l’ufficio stampa di ADAS.

Ad oggi non è dato sapere l’ammontare del contratto. Il gruppo aerospaziale tedesco ha però comunicato che sarà il drone MALE (Medium-Altitude, Long-Enduranc) “Heron” di produzione israeliana ad essere messo a disposizione dall’Agenzia europea sui cieli del Mediterraneo.

Nuovo contratto

“L’Heron opererà per altri quattro anni, dando un importante contributo alla sicurezza e alla stabilità dell’Europa”, aggiunge ADAS. “La continuazione delle missioni con il sistema aereo a pilotaggio remoto Heron, secondo i termini del nuovo contratto, avverrà a partire dall’inizio 2025”.

Controllo con droni mentre migranti vengono imbarcati da guardia costiera libica

Particolare enfasi è stata espressa dai manager delle due aziende militari. “Questo nuovo contratto sottolinea sia la posizione leader di ADAS e IAI nella fornitura ed esecuzione di servizi con sistemi di droni in grado di volare a medie altitudini e per lunghi periodi, nonché il successo della cooperazione avviata con l’Unione Europea”, ha commentato Tim Behrens, presidente del consiglio di amministrazione di Airbus DS Airborne Solutions.

Israel Aerospace Industries è fiera di essere scelta da Airbus quale sub- contractor del programma di Frontex”, ha dichiarato Moshe Levy, ex colonnello dell’Aeronautica militare israeliana ed odierno vicepresidente e general manager del settore aereo militare del gruppo industriale IAI.

Sorveglianza e attacco

Il drone MALE “Hero” viene impiegato ormai da numerosi Paesi europei, asiatici ed africani, sia per attività di intelligence, riconoscimento e sorveglianza e sia per operazioni di attacco contro obiettivi terrestri e navali.

Il velivolo può volare ininterrottamente per oltre 20 ore a un’altitudine di 35.000 piedi, in tutte le condizioni atmosferiche. Ha un raggio operativo di 1.000 migliae per le esigenze di “controllo” dei flussi migratori nel Mediterraneo, sarà dotato di sistemi elettro-ottici per le missioni diurne ed infrarossi per scopi notturni.

“L’ Heron in versione navale è inoltre equipaggiato con un radar per il pattugliamento di grande performance e con un sistema automatico di identificazione delle imbarcazioni”, spiegano i manager di Airbus DS Airborne Solutions.

Tutte le informazioni raccolte dal drone di produzione israeliana saranno inviate direttamente al Centro di comando operativo di Frontex con sede a Varsavia e ai vari centri di controllo delle Guardie costiere dei paesi Ue. “Ciò consentirà di coordinare le operazioni di ricerca in tempo reale e di intervenire contro le attività illegali, garantendo la sicurezza del Mediterraneo”.

Controllo imbarcazioni

Il primo contratto per lo svolgimento delle attività di intelligence anti-migranti con i droni made in Israel, è stato sottoscritto dall’Agenzia europea l’1 ottobre 2020. Le operazioni d’intercettazione delle imbarcazioni nel Mediterraneo presero il via nei primi mesi del 2021 dopo una serie di prove tecniche che il consorzio Airbus – Israel Aerospace Industries effettuò nell’isola greca di Creta.

I termini di riferimento del contratto (classificato con il codice 2020/S 196-473315), prevedevano per ADAS e IAI l’uso delle piattaforme a pilotaggio remoto con le relative attrezzature di comunicazione, la raccolta e la trasmissione dati a un portale remoto, la memorizzazione delle missioni, il controllo e l’assistenza con collegamenti radio e via satellite, la manutenzione dei velivoli e l’addestramento del personale.

“Il servizio sarà fornito in Grecia, e/o in Italia e/o a Malta con le modalità che saranno previste dall’accordo che sarà definito tra Frontex e il contractor”, specificò al tempo Frontex. 

La preferenza del colosso aerospaziale europeo per il drone marittimo Heron fu determinata dalle caratteristiche tecniche del velivolo e dalle performance ottenute durante l’impiego in ambito bellico e nel controllo dell’ordine pubblico da parte delle forze armate e di polizia israeliane.

Operazioni a Gaza

I droni Heron sono stati utilizzati principalmente contro la popolazione palestinese già in occasione dell’assalto israeliano a Gaza tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 (Operazione Piombo Fuso), con la conseguente uccisione di decine di civili. I velivoli senza pilota di IAI continuano ad essere impiegati nell’odierno conflitto genocida contro la Striscia di Gaza e nelle operazioni che Tel Aviv ha avviato in Libano e Siria dopo il 7 ottobre 2023.

Il 1° ottobre 2020 Frontex ha firmato un secondo contratto (anch’esso di 50 milioni di euro) per l’impiego di droni in operazioni di intelligence anti-migranti, con un’altra azienda israeliana, leader nel settore militare-industriale, Elbit Systems Ltd. di Haifa.

In quel caso il velivolo senza pilota impiegato da Frontex è stato l’Hermes, in grado di volare per 36 ore a un’altitudine di 30.000 piedi. Il drone israeliano è stato testato a fine settembre 2020 dall’Agenzia di controllo marittimo e guardiacoste del Regno Unito, svolgendo operazioni di sorveglianza e salvataggio nelle acque del Galles.

Droni killer

Anche l’Hermes è un velivolo che può essere impiegato in operazioni di attacco. Esso è stato utilizzato per la prima volta in un conflitto dalle forze armate israeliane durante l’Operazione Margine Protettivo contro la Striscia di Gaza (2014). Il drone-killer continua ad essere impiegato oggi nei sanguinosi bombardamenti contro le città e i campi palestinesi.

Una versione meno sofisticata (Hermes 450)è stata utilizzata durante l’assalto israeliano del 2008-2009, ancora una volta contro gli abitanti della Striscia di Gaza.

I velivoli senza pilota di Elbit Systems sono stati impiegati anche in Libano nel 2006, causando la morte di diversi civili, inclusi operatori della Croce Rossa. Un Hermes è stato coinvolto nell’uccisione di quattro ragazzi che stavano giocando in una spiaggia a Gaza, il 16 agosto 2014.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com

 

Joint-venture israelo-marocchina produrrà droni kamikaze nel regno africano

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Anziana austriaca rapita ad Agadez, alle porte del deserto nigerino

Africa ExPress
12 gennaio 2025

Ieri sera verso le 19.00 ora locale, Eva Gretzmacher, cittadina austriaca di 73 anni, è stata rapita ad Agadez, in Niger. Secondo le prime informazioni ancora frammentarie, la donna è stata bloccata da persone non meglio identificate e caricata su un’auto Toyota V6.

La 73enne Eva Gretzmacher, rapita in Niger

Vienna conferma

Finora nessuna rivendicazione o richiesta di riscatto per il suo rapimento, tanto meno si conosce il movente. Il ministero degli Esteri austriaco ha confermato poco fa il rapimento della donna.

Apprezzata a Agadez

L’anziana signora è ben conosciuta e molto apprezzata nella città nigerina, alle porte del Sahara, dove risiede da oltre 20 anni. In una intervista di qualche anno fa al giornale austriaco Kurier, aveva raccontato di essere incantata da questo luogo e quindi di essere stata catturata dal fascino del deserto. In precedenza ha vissuto per diversi anni in Algeria.

Progetti donne e giovani

I residenti sono in stato di massima allerta e in molti si sono mobilitati per ritrovare Eva, perfettamente inserita nella vita della città. Nei lunghi anni della sua permanenza ha collaborato a progetti rivolti alle donne – come corsi di cucito -, all’infanzia e ai giovani.

Africa ExPress
X: @africexp
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Niger: dopo Francia e USA, via anche il contingente tedesco, resistono le truppe della missione italiana

Sfida al potere: l’oppositore Mondlane torna trionfante in Mozambico e giura come presidente eletto

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
11 gennaio 2025

Dopo oltre due mesi di esilio volontario, Venancio Mondlane, candidato presidente del Popolo ottimista per lo sviluppo del Mozambico (Podemos) è tornato in Mozambico. All’aeroporto di Maputo sotto la pioggia, alle 8.05 di mattina del 9 gennaio, su un volo Qatar da Doha è stato accolto da migliaia di sostenitori al grido “il Paese è nostro. Viva il Mozambico”.

Questo video di Venancio Mondlane ha registrato oltre 3,5 milioni di contatti in poche ore

Un rituale ben studiato

All’uscita dal gate il leader di Podemos si è inginocchiato con la bibbia in mano per pregare davanti a una folla stupita. Prima di uscire dall’aeroscalo gli è stata messa al collo una collana di fiori e, circondato dai giornalisti, ha parlato ai media nazionali e internazionali.

Il giuramento in diretta social

Pochi minuti dopo, tutto in streaming su Facebook, e in collegamento globale, il giuramento. “Io Venancio Mondlane, presidente eletto dal popolo mozambicano, giuro sul mio onore di servire la patria mozambicana e i mozambicani di riaspettare la costituzione.

“Giuro di rispettare le leggi e usare tutta la mia energia…a beneficio di questa terra – ha continuato Mondlane –  Con lo scopo che in cinque o dieci anni diventi una delle maggiori nazioni del mondo. Tutto questo lo dico in qualità di presidente eletto dal popolo mozambicano”, ha sottolineato il politico tra gli applausi della folla.

Il video del giuramento di Mondlane di fronte ai media all’aeroporto di Maputo

La polizia spara

Lasciato l’aeroporto si è diretto in città seguito da decine di migliaia di persone. In piedi sul tettino dell’auto ha salutato il “suo” popolo. Sui social aveva invitato la popolazione a venire a salutarlo e così decine di migliaia di mozambicani sono scese in piazza.

Da video mandati alla redazione di Africa ExPress si sentono colpi d’arma da fuoco e si vede la gente fuggire. Un fotografo dell’Agence France Presse ha raccontato che un uomo è stato ferito gravemente dalla polizia. Testimonianze in loco parlano di almeno altre otto vittime ricoverate all’ospedale, alcune con ferite da arma da fuoco.

Maputo, la polizia spara alle manifestazioni per l’arrivo di Venancio Mondlane

Secondo dati della società civile dall’inizio delle manifestazioni post elettorali, in tre mesi gli scontri con la polizia hanno provocato più di 300 morti e oltre 500 feriti.

Grande comunicatore

Il candidato presidente di Podemos si è dimostrato un grande comunicatore, utilizzando soprattutto i social. Dopo l’assassinio di Elvino Dias, suo braccio destro e legale del partito, e Paulo Guambe, il 19 ottobre, ha deciso di lasciare il Paese.

Dal suo esilio, sicuro di aver vinto le elezioni del 9 ottobre, ha continuato a comunicare con i suoi elettori e simpatizzanti. Soprattutto in diretta via YouTube e Facebook. Contro i brogli elettorali, in remoto, ha organizzato manifestazioni di protesta e scioperi generali mettendo in crisi il governo del FRELIMO.

Venancio Mondlane e ferito amputato
Venancio Mondlane acclamato dalla folla e, a destra, ferito dalla polizia a cui è stata amputata una gamba

Dal Sudafrica, attraverso i social, ha raccontato di essere sfuggito a un tentativo di assassinio di tutta la sua famiglia. Da quel momento si è trasferito in una residenza sconosciuta, ma mantenendo i contatti coi i suoi sostenitori in streaming.

Le accuse contro Mondlane

Secondo la procura della Repubblica di Maputo, Mondlane è accusato di essere l’autore morale delle manifestazioni. Le proteste contro i brogli elettorali, solo a Maputo e province vicine, hanno provocato danni per oltre due milioni di euro.

Accuse al governo

Il politico di Podemos accusa “il governo FRELIMO e i suoi provocatori” di aver causato i danni alle strutture. Incolpa la polizia di aver rapito, sequestrato, ferito e ucciso i suoi sostenitori e creato vedove e orfani.

Dopo un lungo braccio di ferro, le istituzioni elettorali hanno attribuito al FRELIMO, al potere dal 1975, il 65,17 per cento dei voti. Ma senza fornirne le prove. Mondlane, forte della piazza, continua a non accettare il risultato elettorale e accusa il FELIMO di brogli.

Il 15 gennaio ci sarà l’insediamento del nuovo presidente, Daniel Chapo, del FRELIMO. Ma, secondo quanto dichiarato dal ricercatore mozambicano, João Feijó, al giornale portoghese Observador, “la vita di Mondlane potrebbe essere in pericolo. Il suo ritorno a Maputo avviene in un momento in cui si sta insediando il nuovo capo dello Stato. Non può fermare il vento con le mani”, ha commentato Feijó.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Mondlane, candidato di Podemos alla presidenza del Mozambico: “Hanno tentato di assassinarmi”

Brogli documentati in Mozambico ma non importa: il Frelimo ha vinto le elezioni e Maputo insorge

Elezioni in Mozambico, assassinati due esponenti del partito di opposizione Podemos

Elezioni in Mozambico: almeno 10 bambini uccisi dalla polizia e Mondlane proclama altri 3 giorni di sciopero

Lo storico israeliano Ilan Pappe racconta la pulizia etnica della Palestina

Speciale per Africa Express
Filippo Senatore
Gennaio 2025

Per comprendere le ragioni della Nakba (catastrofe) del 1948, intesa come cacciata dalle loro terre e deportazione di 800 mila palestinesi occorre analizzare le origini del sionismo nato in Europa alla fine del 19mo secolo.

Tale ideologia si ricollega al colonialismo inglese di stampo razzista, praticato in epoca vittoriana dal primo ministro inglese Benjamin Disraeli, modello per i belgi e e altre nazioni europee, compresa l’Italia.

La teoria del colonialismo di sostituzione etnica si afferma nel 1891 con il barone tedesco Maurice de Hirsch, fondatore a Londra dell’Associazione per la Colonizzazione ebraica (JCA) al fine di aiutare i coloni sionisti in Palestina.

Sionismo socialista

Nel 1897 un pamphlet del fondatore del sionismo socialista, Nahman Syrkin, sostiene che la Palestina “deve essere evacuata per gli ebrei”. Nel 1905 Israel Zangwill afferma che gli ebrei devono cacciare gli arabi altrimenti dovranno avere a che fare con il problema di una grande popolazione aliena.

Nel 1939 il leader sionista Vladimir Jabotinski scrive: “Gli arabi devono lasciare spazio agli ebrei di Eretz Israel. Se è stato possibile trasferire i popoli baltici è anche possibile spostare gli arabi palestinesi”.

In Italia durante la guerra italo-turca si alimenta la propaganda razzista e anti islamista. Giovanni Pascoli nel discorso del 6 novembre 1911, noto come La grande Proletaria si è mossa esalta la conquista delle province libiche e l’occupazione delle terre sottratte ai nativi e destinate ai coloni italiani. Un vademecum per i futuri colonizzatori israeliani.

Sentimenti antichi di islamofobia risorgono, alimentati in quell’epoca dallo stato “liberale”, come soluzione alla spinta demografica dei territori italiani depressi. L’idea è elementare. Penetrare nel territorio di Cirenaica e Tripolitania fino ad arrivare alla guerra di invasione.

Prima con l’esercito e poi con i coloni italiani cui assegnare le terre sottratte ai nativi libici.

Deserto libico

Venti anni dopo il generale Adolfo Graziani nel deserto libico crea un enorme campo di sterminio ove periscono dai 50 ai 70 mila civili, in gran parte donne vecchi e bambini.

I fondatori di Israele provenienti dall’Europa hanno bene in mente come procedere e prima di arrivare alla conquista militare promuovono in Palestina l’immigrazione massiccia. Che diventa significativa dopo la dichiarazione di Balfour nel 1917.

Il volume dell’autorevole storico israeliano Ilan Pappe, La pulizia Etnica in Palestina (Fazi Editore), non è molto diffuso in Israele e viene trascurato anche in Occidente, compresa l’Italia. Il motivo si comprende leggendo le prime righe del volume.

Archivi blindati

Lo storico di Haifa, costretto ad emigrare nel Regno Unito, descrive fatti nascosti per anni dalla censura israeliana sottoposti al segreto di Stato. Solo a pochi storici hanno permesso di accedere agli archivi israeliani e britannici.

A partire dal 1986 vengono scandagliati i documenti riservati riguardo agli anni Quaranta da parte di Pappe appunto, Benny Morris, Avi Shlaim e Tom Segev. Ne è nata una storiografia di revisione che si oppone alla vulgata israeliana del 1948 celebrato solo come anno dell’indipendenza.

Crimini di guerra

Pappe svela i crimini di guerra in terra di Palestina dal 1947 al 1949. Lo storico di Haifa ricostrusce la pulizia etnica cui sono state vittime i nativi palestinesi.

Secondo Pappe l’egemonia ebrea si attua grazie alla complicità del protettorato inglese che nel 1937 elimina le teste pensanti del nazionalismo palestinese.

Terrore sionista

Nel 1931 viene costituito il gruppo paramilitare Irgun per assicurare una maggiore combattività contro gli arabi. Insieme ad altri gruppi paramilitari ebrei come l’Haganà e la banda Stern a partire dalla fine del 1947 semina il terrore nel Paese, ancora sotto protettorato inglese con i militari che non hanno difeso le vittime girandosi dall’altra parte.

Per David Ben Gurion e per i suoi vertici della gerarchia sionista “uno Stato ebreo solido significa uno Stato che che si estenda sulla maggior parte della Palestina e che comporti pochissimi palestinesi se proprio debbono esserci”.

Dichiarazione dello Stato d’Israele 1948

Quando viene dichiarata la nascita dello Stato di Israele nel maggio 1948 già 250 mila palestinesi sono stati cacciati dalle loro case e dalle loro terre. Circa 200 villaggi rurali sono stati completamente evacuati.

Guerra fallita

Ma la pulizia etnica non si arresta ai centri urbani più grandi nemmeno di fronte alla guerra della Lega Araba che fallisce in pochi giorni grazie al numero esiguo dei combattenti stranieri, mal armato e mal equipaggiato.

Vi è l’inerzia di alcuni Paesi come l’Arabia Saudita, l’impotenza di altri ancora in lotta contro il colonialismo come la Siria e il Libano e soprattutto il doppio gioco della Giordania che si accorda con il neonato Israele per avere in cambio i territori della Cisgiordania, destinati alla Palestina dalla risoluzione Onu del 1947.

Pappe descrive una “finta guerra” servita in seguito alla propaganda sionista. Provvidenziale in quel frangente l’aiuto militare della Russia con armi destinate a rendere prima potenza mediorientale il nascente Israele.

Documenti riservati

Pappe descrive, in base a documenti riservati e diari di statisti dal calibro di Ben Gurion, la cronaca degli eccidi dei civili e della pulizia etnica capillare nelle zone a maggioranza araba.

La prassi è un copione pianificato. Occupazione militare. Terrore e fuga forzata dei sopravvissuti. In molti casi vengono divisi i maschi dai 10 ai 50 anni dal resto della popolazione. I primi destinati alla prigionia e all’eliminazione fisica. Vengono registrati stupri di gruppo anche nei confronti di bambine di 12 anni. Ma sui numeri vige ancora il silenzio. La furia non si arresta fino ai primi mesi del 1949.

Giovanissimi cittadini

Pappe nelle conclusioni del suo volume critica i colleghi dell’Università di Tel Aviv allineati con la propaganda governativa incapaci di una revisione storiografica seria.

Oggi uno sparuto gruppo di giovanissimi cittadini israeliani, obiettori di coscienza come Sofia e David, è la voce critica di un Paese bloccato dalle menzogne del passato.

Secondo i ragazzi, i sionisti si sentono giudicati per quello che sono e non per quello (il male) che fanno. Eppure lo stesso Pappe e Noam Chomsky pensano che la pianificazione del genocidio dei palestinesi è iniziata nel 2006. E intensificata in maniera massiccia dopo il 7 ottobre 2023. Ma non è ancora finita.

Federico Senatore
fsenatore57@gmail.com

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Egitto: diritti umani violati? Macron assegna la Legion d’Onore ad al Sisi

Caos nel Sahel: misterioso attacco al palazzo presidenziale di N’Djamena, mentre il Senegal caccia la Francia

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
9 gennaio 2025

Ieri sera, poco prima delle 20.00, si sono sentiti colpi di arma da fuoco nelle vicinanze del palazzo presidenziale a N’Djamena, la capitale del Ciad.

Attacco al palazzo presidenziale a N’Djamena, capitale del Ciad

Già nella tarda serata di ieri, il portavoce del governo, ha fatto sapere che 20 persone sono morte, 2 soldati e 18 aggressori, che in un primo momento si pensava fossero miliziani di Boko Haram. Ma l’ ipotesi di un assalto terroristico è stata scartata ben presto.

Nessun legame con terroristi

Questa mattina le autorità hanno confermato che l’attacco è stato opera di un gruppo di ragazzi di un quartiere della capitale, nessun legame con i terroristi. Il governo ha invitato i residenti alla calma, spiegando che la situazione è sotto controllo.

Coltelli e machete

Secondo quanto trapelato oggi, pare che 24 giovani avrebbero simulato un guasto alla loro vettura proprio davanti al palazzo presidenziale.

Gli aggressori sarebbero stati tutti ubriachi e armati solamente di coltelli e machete. Anche se senza armi da fuoco, sono riusciti a ammazzare due soldati. La versione ufficiale, che però non convince, racconta che i ragazzi si sono poi impossessati delle armi dei militari morti e sono riusciti a penetrare per breve tempo nell’edificio.

I militari presenti avrebbero poi aperto il fuoco, uccidendo appunto gran parte degli aggressori e ferendone altri 6. Tutti indossavano jeans e magliette. I loro cadaveri, con i vestiti intrisi di sangue, sono state rimossi solamente in tarda mattinata.

Declassati

Gli aggressori sono accusati di attacco contro la personalità dello Stato e partecipazione a movimento insurrezionale. Ma da terroristi sono stati declassati a un gruppo di “giovani malintenzionati”.

Il palazzo presidenziale di N’Djamena

Il Paese sta attraversando un momento delicato. Recentemente il governo ha annullato la cooperazione in materia di difesa con la Francia, partner di lunga data. Fino a poco fa N’Djamena era un alleato chiave dell’Occidente nella lotta contro i terroristi.

Da oltre un decennio tutta la regione è dilaniata da insurrezioni e attacchi continui da parte di gruppi legati allo Stato Islamico, Al Qaeda, Boko Haram e altri gruppi minori.

Senegal licenzia Francia

Le autorità militari del Mali, del Burkina Faso e del Niger, che confina con il Ciad, hanno voltato le spalle all’Occidente da un po’ di tempo e i tre Paesi sono ora sostenuti dalla Russia e dai mercenari di Africa Corps (ex Wagner). E a fine novembre, anche il presidente del Senegal, Bassirou Diomaye Faye, ha chiesto il ritiro delle truppe francesi dal suo Paese.

Costa d’Avorio

I soldati d’oltralpe se ne andranno anche dalla Costa d’Avorio. Lo ha annunciato durante il suo discorso di fine anno, Alassane Ouattara, presidente del Paese. Ma fonti ufficiali riferiscono che in questo caso la partenza fa parte della politica di riorganizzazione della presenza militare francese in Africa.

Abidjan resta comunque un importante alleato della Francia. E, secondo fonti ben informate, Parigi sta preparando la riduzione degli effettivi per passare da una logica di intervento, a quella di cooperazione-formazione. Questo scenario prevede presumibilmente il mantenimento nel Paese di un centinaio di truppe, rispetto ai 600 effettivi presenti ora.

Il presidente francese, Emmanuel Macron

Non ci hanno ringraziato

Durante il tradizionale discorso agli ambasciatori accreditati a Parigi, Emmanuel Macron ha sostenuto che i capi di Stato africani hanno “dimenticato” di “ringraziare” quando la Francia è intervenuta militarmente nel Sahel nel 2013, dietro richiesta del Mali.

“Non è grave – ha aggiunto – i ringraziamenti verranno con il tempo. Senza il nostro intervento contro i terroristi nessuno sarebbe ora a capo del suo Paese rimasto sovrano grazie a noi”, facendo ovviamente riferimento ai suoi omologhi del Sahel.

Dichiarazioni che non sono piaciute ai governi africani. Hanno addirittura scatenato l’ira di alcuni, tra questi Mahamat Idriss Déby Itno, presidente del Ciad, che, indignato, ha risposto prontamente a Macron. Secondo il leader ciadiano, le affermazioni del capo dello Stato francese rasentano disprezzo per l’Africa e gli africani. “Penso che abbia sbagliato epoca”, ha poi concluso Déby Itno.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Anche il Ciad licenzia i francesi: cominciato l’addio

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Iran: lo “scollegato” caso Sala-Abedini, due liberazioni “simmetriche”

Speciale per Africa ExPress
Fabrizio Cassinelli*
8 gennaio 2025

Si avvia all’epilogo il caso – sia chiaro, scollegato – dell’affaire Sala-Abedini. “Ho saputo del rilascio e sono molto contento del ritorno a casa della nostra Cecilia Sala. Ciò detto, vi prego di comprendere che ora devo concentrarmi sul caso del mio assistito e lavorare al meglio su di esso”.

Mohamed Abedini, detenuto in Italia

Arrestato a Malpensa

Questo ha detto Alfredo Di Francesco, l’avvocato di Mohamed Abedini, l’ingegnere svizzero-iraniano di 38 anni arrestato lo scorso 16 dicembre all’aeroporto di Malpensa (Varese), tre giorni prima di Cecilia Sala, alla bella notizia della liberazione della giornalista, che tra poche ore potrebbe essere completata da quella dell’iraniano bloccato perché inserito in una black list americana. Ad ogni modo ora Cecilia Sala è a casa e questa è la cosa che conta.

Teheran conferma 

Nessuno però può parlare di ‘collegamento’ nella vicenda Sala-Abedini, pena smentite. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha appena ribadito che sono “due casi separati”. Ufficialmente pure per le autorità iraniane. Per il Tribunale di Milano “non cambia niente i magistrati della Corte d’Appello giudicheranno nel merito in base alle carte”.

Cecilia Sala appena atterrata all’aeroporto di Ciampino

Invece per ogni altra persona di buon senso con cui si parli, diplomatici, militari, giornalisti, legali, magistrati, portinai e panettieri, la questione “cambia eccome”. Tanto che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, alle 14 è entrato a Palazzo Chigi facendo ipotesi di imminente liberazione. Poi ha smentito se stesso e pare che la cosa non sarà così rapida.

Meloni da Trump

Intanto fioccano i complimenti alla premier Giorgia Meloni per essere andata da Donald Trump a chiedere il permesso di liberare lui, perché non avrebbe certo potuto decidere per lei. O no? Non si è capito, anzi alla fine sembrerebbe anche un po’ grottesco.

Giorgia Meloni con Donald Trump

Il nostro Premier è stato certamente in gamba a fare quello che poteva fare molto velocemente, nei limiti però di un Paese con un’evidente sovranità limitata.

Quelli davvero scaltri – ma si stia bene attenti a dirlo, per non finire in qualche black list – sono stati i persiani, che appena avuto notizia del loro cittadino preso, ne hanno acchiappato uno nostro e adesso, pare, otterranno quello che volevano.

Oppure no, e allora vorrà dire che ci toccherà dire che gli iraniani sono molto meglio di sauditi, egiziani e israeliani, che in passato non ci hanno di certo accontentato. Di certo per una volta non abbiamo dovuto tirare fuori soldi.

Tribunale libero di decidere

Certo, l’ingegnere iraniano potrebbe non essere rilasciato subito, e magari potrebbe non essere spedito direttamente in Iran. Ma tornerà a casa.

Con gli iraniani che prima hanno arrestato la Sala per avere un peso nella trattativa e che ora, per continuare ad averla, devono dire che sono due casi che non c’entrano nulla.

Ma va bene così. Basta che lo liberino. Primo perché è un pesce piccolo, ma davvero piccolo. Poi perché se andasse diversamente, con Abedini estradato negli Usa, le cose per gli italiani in Iran si metterebbero proprio male. Soprattutto per quelli che non hanno un direttore dell’AISE che va fino a Evin a prenderli.

Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza

Quando tornò Vittorio Arrigoni, giornalista che ha rischiato la vita più volte per testimoniare il conflitto a Gaza – e tornò in una bara, dopo essere stato rapito e ucciso da jihadisti in circostanze mai del tutto chiarite – chi era presente, mi raccontava che all’aeroporto, ad accogliere il feretro, a parte i famigliari, non c’era nessuno.

A Ciampino mercoledì c’erano la premier, un ministro, un direttore dei Servizi e pure il sindaco di Roma.

Speriamo che sia un nuovo corso di attenzione verso i giornalisti e che valga per tutti gli scenari in cui sono impegnati gli inviati e i freelance, spesso a rischio della vita.

Fabrizio Cassinelli*
cassinelli.fabrizio@gmail.com
*Fabrizio Cassinelli, giornalista dell’agenzia Ansa, saggista, presidente dei Cronisti Lombardi.

Cecilia Sala va liberata subito lo dicono anche i soloni che volevano tenere Julian Assange in galera

 

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Cecilia Sala va liberata subito lo dicono anche i soloni che volevano tenere Julian Assange in galera

Questo articolo è stato pubblicato
prima che si sapesse della liberazione di Cecilia Sala


Speciale per Africa ExPress
Fabrizio Casinelli*
8 gennaio 2025

L’arresto in Iran della giornalista Cecilia Sala, al di là dell’indignazione che ha suscitato in Italia, e alle sacrosante richieste istituzionali di liberazione immediata, sono anche lo spunto per considerazioni sul doppio standard che permea i media.

Cecilia Sala è stata gettata in carcere e deve essere liberata al più presto. Nessuna persona al mondo, specie se giornalista, dovrebbe finire in galera per le sue opinioni o i suoi reportage.

Non solo Iran

Però questo vale non solo per l’Iran, ma anche per altri Paesi (ad esempio Arabia Saudita, Turchia, Usa, Germania, Israele, Gb) verso i quali però non si registra alcuna levata di scudi.

Julian Assange

Basti pensare ai reporter uccisi a Gaza, alle decine e decine di colleghi in prigione in Turchia, ai giornalisti di opposizione in Israele minacciati di veder chiudere le loro redazioni, a Julian Assange trascinato fuori a forza da un’ambasciata a Londra.

Visto giornalistico

Cecilia aveva un regolare visto giornalistico, non turistico. In nessun modo il suo arresto è dovuto a problematiche relative alla regolarità della sua posizione di soggiorno o professionale.

I giornalisti stranieri in Iran devono sottostare ad alcune regole, ben chiare quando viene concesso il visto.

Che non vuol dire scrivere quello che vogliono gli iraniani, ma non si possono realizzare servizi incontrando realtà che lo Stato considera eversive o legate a governi stranieri che secondo loro minacciano la sicurezza del Paese.

Intervistare le BR

D’altra parte non è che in Italia si potessero intervistare le BR ai tempi del terrorismo, come oggi non si può dar voce magari sul web a jihadisti impegnati nel sostegno a cause militari, anche altrove nel mondo, o al movimento No-Tav o a quello ambientalista senza finire nel mirino della Polizia Postale o magari dell’Antiterrorismo.

Cecilia è stata arrestata per aver violato le leggi della Islamic Republic of Iran, da alcuni sedicenti esperti di Iran tradotto come violazione delle leggi islamiche.

Posizioni filo atlantiste

Qualcuno ha tirato in ballo perfino la sharia (sic!). Cecilia ha posizioni nettamente atlantiste e filo-Usa, ha definito parlare di genocidio a Gaza una cosa inopportuna, sostiene con vigore le iniziative del movimento Donna Vita Libertà e altro.

Non che gli iraniani non lo sapessero, quando l’hanno fatta entrare. Il fatto che Sala sia stata portata a Evin confermerebbe un problema di questo tipo.

Anche perché se invece si trattasse di altro (spionaggio et similia) l’atteggiamento iraniano sarebbe ben più intransigente. Quindi perché arrestarla dopo che ha fatto quello che tutti sapevano sarebbe andata a fare? Probabilmente perché si trovava nel posto sbagliato al momento giusto.

Arresto simmetrico

Il 6 gennaio il governo iraniano ha escluso che sia stata arrestata in relazione al quasi simmetrico arresto, in Italia, di un ingegnere persiano 38enne, Mohamed Abedini, su mandato di un provvedimento restrittivo USA.

Mohamed Abedini, ingegnere iraniano, detenuto in Italia

Lui preso il 16 dicembre a Malpensa, lei incarcerata a Tehran il 19. La portavoce, Fatemeh Mohajerani, ha detto che “non si tratta di ritorsione, questo arresto non ha nulla a che vedere con altre questioni” auspicando che il caso “venga risolto rapidamente”.

Sospetto legittimo

La detengono loro, per risolvere rapidamente basterebbe liberarla. Appare quindi legittimo il sospetto che le due detenzioni siano collegate.

In Iran tutti sanno della vicenda. I TG ne hanno parlato pur senza fornire spiegazioni in particolare. Ma tutti gli iraniani interpellati ritengono che la vicenda sia legata all’arresto del giovane ingegnere, commerciante di tecnologia ritenuta ‘dual-use’.

L’autorità giudiziaria italiana ha negato gli arresti domiciliari per l’iraniano ritenendo – comprensibilmente – che non forniscano sufficienti garanzie rispetto a un’eventuale fuga. Ma non ha ancora deciso nel merito della richiesta di estradizione, con udienza fissata per il prossimo 15 gennaio.

Doppio standard

Andrebbero, poi, fatte, anche alcune considerazioni etiche e geopolitiche. Se è da considerarsi illegittimo l’arresto della Sala per gli standard occidentali ricordo che tali criteri hanno tenuto prigioniero per anni un giornalista il cui unico crimine era quello di aver divulgato la verità sulle falsità dette da governi e militari, Julian Assange.

Nessun capo di Stato volò allora negli USA per ammansirli. Se vendere tecnologia per i droni iraniani è reato, sembrerebbe tale anche vendere tecnologia per i droni israeliani che bombardano la popolazione civile o per quelli di Washington che compiono omicidi (questi sì, certamente illegali, per le leggi internazionali) in varie parti del mondo senza alcun processo.

Disagio in cella

E ancora: a chi sottolinea – giustamente – le condizioni di disagio della nostra connazionale in cella, ricordo che l’Italia è stata più volte condannata per le condizioni degradanti delle sue carceri.

E a chi ritiene che sia repressivo colpire chi simpatizza per gruppi considerati eversivi da uno Stato sovrano, quantunque autoritario, ricordo che in Italia se inneggiate alla Jihad, o contro la NATO o contro i vertici di Bruxelles, arriva la Digos.

Ottantenne arrestata

E ricordo anche che una 80 enne è stata arrestata per aver sostenuto il movimento No Tav e che le nuove leggi rischiano di mandare in galera dei ragazzini se con uno striscione bloccano una strada per manifestare.

Fabrizio Cassinelli*
cassinelli.fabrizio@gmail.com

*Fabrizio Cassinelli, giornalista dell’agenzia Ansa, saggista, presidente dei Cronisti Lombardi.

Il nostro augurio ai media per il 2025: abbandonare il sistema del doppio standard

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Il figlio di Museveni e capo dell’esercito minaccia il leader dell’opposizione in Uganda: “Ti decapito!”

Africa ExPress
6 gennaio 2024

Non ha peli sulla lingua, Muhoozi Kainerugaba, capo dell’esercitodell’Uganda e figlio del presidente Yoweri Museveni, al potere dal 1986. Domenica scorsa ha dichiarato sul suo account X (ex Twitter) che vorrebbe decapitare il maggior oppositore del Paese.

Muhoozi Kainerugaba, figlio del presidente Yoweri Museveni e capo delle forze di difesa dell’Uganda

Muhoozi Kainerugaba pubblica con una certa regolarità messaggi sui social network, totalmente fuori dalla norma per un personaggio pubblico del suo calibro. Nel 2022 aveva minacciato di invadere il Kenya. Allora il padre lo aveva ripreso severamente, invitandolo di chiudere i suoi account sulle varie piattaforme social. Per tale “bravata” ha dovuto chiedere scusa al governo di Nairobi.

100 mucche

E, sempre nel 2022, subito dopo le elezioni politiche in Italia, aveva postato su X che avrebbe voluto regalare 100 mucche a Giorgia Meloni, la presidente del Consiglio dei ministri. Insomma il figlio del capo dello Stato dell’Uganda è imprevedibile.

Minaccia a Bobi Wine

Questa volta Muhoozi ha preso di mira Robert Kyagulanyi, in arte Bobi Wine, candidato alla presidenza all’ultima tornata elettorale del 2021, vinte ovviamente da Museveni. Già in passato, l’ex cantante e ora leader del partito, The National Unity Platform (NUP), ha dovuto subire pesanti intimidazioni dal regime.

Forse per questo motivo Kyagulanyi non ha preso alla leggera le parole del capo delle forze di difesa del suo Paese e lo ha scritto pure sul proprio account X .

La risposta del figlio del presidente è arrivata prontamente, sempre via X sotto il post di Bobi Wine: “Se Mzee (appellativo riferito al padre Museveni) non fosse lì, gli taglierei la testa oggi stesso”. E ancora: “Finalmente! Ti ho svegliato? Prima che ti decapiti, restituiscici i soldi che ti abbiamo prestato” (insinuando che precedentemente il governo aveva comprato Wine per indebolire l’opposizione).

Kampala non commenta

Finora Kampala non ha rilasciato alcun commento. Mentre un portavoce delle forze armate si è rifiutato dare spiegazioni in merito. Tempo fa il portavoce del governo aveva affermato che i post di Kainerugaba sui social media non devono essere presi sul serio e non riflettono la politica del governo.

Rapito politico

Si sa, il regime ugandese non apprezza critiche e tanto meno gli oppositori. Lo scorso novembre, è stato rapito Kizza Besigye in Kenya, dove si trovava per una breve visita. Besigye, è un esponente del partito Forum for Democratic Change (FDC) ed è stato ben quattro volte candidato alle presidenziali, elezioni che ha sempre perso. Negli ultimi anni è stato meno attivo politicamente e non ha nemmeno partecipato alla tornata elettorale del 2021.

Kizza Besigye, detenuto in una prigione di massima sicurezza a Kampala, Uganda

Tribunale militare

Ora l’oppositore è rinchiuso in una prigione di massima sicurezza a Kampala, perché accusato da un tribunale militare di possesso di pistole e di tentato acquisto di armi all’estero. Incriminazioni ovviamente negate da Besigye. La prossima udienza è prevista per la fine del mese.

Moglie denuncia

Intanto la moglie dell’accusato, Winnie Byanyima, direttore esecutivo di UNAIDS (Programma delle Nazioni Unite per HIV/AIDS) ha denunciato che la direzione del carcere Luzira Prison ha vietato le visite durante le festività natalizie.  La signora ha apostrofato tali misure come “crudeli e disumane”. E ha riferito ai reporter della BBC che il marito, rinchiuso in una minuscola cella, dietro ben sei sbarre, è forte e perseverante. Ha poi aggiunto:  “Temo però che possano fargli del male”.

Africa ExPress
@africexp
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Uganda: Bobi Wine, oppositore del regime, lascia l’ospedale dopo assalto della polizia

Uganda: Muhoozi, il figlio del presidente Museveni, vuole aiutare militarmente Putin

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Terremoto in Etiopia: Natale ortodosso magro per migliaia di sfollati

Africa ExPress
5 gennaio 2025

Migliaia di residenti sono stati evacuati dal governo etiopico a causa di continue scosse di terremoto nelle regioni di Afar, Amhara e Oromia.

Una strada danneggiata dalle scosse di terremoto in Etiopia

Un Natale magro, più povero del solito per gli 80mila etiopici, trasferiti con la massima urgenza pochi giorni prima della grande festività, che, secondo il rito ortodosso si celebra il 7 gennaio. Attualmente ci sono già oltre 4,4 milioni di sfollati in Etiopia, tra questi 900mila per eventi climatici estremi.

Danni materiali ingenti

Finora, per fortuna, solo danni materiali, nessuna vittima. L’evacuazione è stata predisposta come misura precauzionale, in quanto si temono nuovo scosse.

Le colate di lava causate dall’ eruzione vulcanica del Mount Dofan, Afar, Etiopia

Vulcano attivo

L’Afar, nel nord-est dell’Etiopia, è la regione maggiormente colpita, tra l’altro, venerdì scorso, anche da un terremoto di magnitudo 5,5 della scala Richter dopo alcune grandi e devastanti colate di lava provenienti dal vulcano Mount Dofan. Il disastro ha provocato danni ingenti anche a strade principali e abitazioni.

Il terremoto è stato avvertito persino nella capitale, Addis Abeba, e in città come Adama e Metehara.

Scosse sismiche frequenti

Attualmente il vulcano non sta fumando, mentre la lava continua a scorrere. Da diversi mesi nella regione si osserva una significativa attività sismica. Dalla fine di settembre, l’Istituto geofisico americano ha registrato oltre 67 terremoti. E, le frequenti scosse nel territorio Afar hanno creato un cratere naturale di acqua calda che si starebbe allargando.

L’Afar è una delle regioni più aride e calde dell’Etiopia, con una storia di eruzioni vulcaniche e frequenti terremoti. L’area è anche soggetta a siccità, carestie e inondazioni, che hanno portato a numerose evacuazioni negli ultimi anni.

Zona più calda dell’Africa

Va ricordato che nella zona si trova anche la depressione della Dancalia o depressione di Afar o triangolo di Afar, regione del Corno d’Africa che comprende Gibuti, parte dell’Eritrea e dell’Etiopia. E proprio a Gibuti si trova il lago Assal, a 155 metri sotto il livello del mare e rappresenta il punto più basso del continente africano.

Eritrea e Gibuti

Ovviamente le scosse sismiche sono state avvertite anche a Gibuti e in Eritrea, a Massawa, sul Mar Rosso. La loro entità è stata simile a quelle registrate in Etiopia, ma finora non sono state rese note evacuazioni di residenti.

Africa ExPress
@africexp
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