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Febbre dell’oro: arrestati in Mali tre dirigenti di una miniera australiana

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
14 novembre 2024

L’amministratore delegato e due dirigenti della società australiana Resolute Mining, comproprietaria di una miniera d’oro in Mali, sono stati arrestati venerdì scorso a Bamako, capitale del Mali.

Pepite d’oro

Il fatto è stato confermato dalla compagnia con sede a Perth, città nell’Australia occidentale. L’amministratore delegato, Terence Holohan e due suoi collaboratori si erano recati in Mali per discutere con le autorità di Bamako alcune questioni fiscali relative a pratiche commerciali della compagnia nel Paese.

Il governo aveva già fatto partire alcune denunce, “prive di fondamento”, come ha precisato Resolute Mining.

Terence Holohan, amministratore delegato di Resolute Mining

Presunta frode fiscale

Appena terminata la riunione con i funzionari governativi, per i dirigenti di Resolute Mining, tutti di nazionalità britannica, sono scattate le manette con l’accusa di presunta frode e danni erariali. I tre sono stati immediatamente portati nel centro di detenzione dove vengono trattenuti coloro che sono coinvolti in atti di corruzione e crimini economici.

E, come ha precisato Serge Daniel, autorevole e apprezzato giornalista, collaboratore di importanti testate francesi, “sono in ballo grosse somme di denaro, la società deve molti soldi allo Stato maliano. Le pratiche commerciali della compagnia australiana sono tutt’altro che ortodosse e trasparenti”.

Accordo con governo

Resolute Mining detiene l’80 per cento della miniera aurifera di Syama, nel sud-ovest del Paese, mentre il restante 20 per cento è nelle mani del governo maliano, secondo quanto riportato sul sito web dell’azienda. “Stiamo lavorando con il governo maliano per trovare un accordo che possa garantire il futuro a lungo termine del giacimento d’oro di Syama, ma allo stesso tempo la nostra priorità assoluta rimane la sicurezza e il benessere dei dipendenti”.

Syama, miniera aurifera di Resolute Mining in Mali

Liberazione dopo pagamento

La compagnia australiana, pur di salvare la faccia e di far uscire di galera i propri quadri, ha ceduto alla pressioni di Bamako e si è detta pronta a sborsare decine di milioni di euro, come ha riportato Serge Daniel nel suo account X: “Mezzo miliardo di CFA (circa 76,5 milioni di euro) subito e altrettanti a medio termine”. Un protocollo d’intesa in tal senso sarebbe stato siglato ieri tra le autorità maliane e la compagnia australiana. I dirigenti saranno liberati non appena arriva il primo assegno milionario.

Oro, importante risorsa

Il Mali è il terzo produttore di oro del’Africa. La produzione annua è di 66,5 tonnellate e il pregiato minerale è uno dei principali pilastri dell’economia del Paese: rappresenta il 25 per cento delle entrate fiscali. Questa preziosa risorsa svolge un ruolo cruciale nello sviluppo economico del Mali.

Giro di vite

Fino a poco fa tutta l’estrazione dell’oro era in mano a società straniere, tra questi anche la Resolute Mining, le canadesi Barrick Gold e B2Gold e la britannica Hummingbird Resources. Tuttavia recentemente la giunta militare di transizione ha nazionalizzato la miniera di Yatela, nella regione di Kayes (ovest), gestita da due società sudafricane e canadesi.

Ma già prima del golpe militare, l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keïta e il suo governo, nel 2019, avevano iniziato trattative in tal senso con queste compagnie.

Dallo scorso ottobre il sito minerario di Yatela è gestito dalla SOREM (Société de Recherche et d’Exploitation des Ressources Minérales), società statale fondata nel 2022 dai putschisti.

Società governativa

Recentemente il governo ha affidato alla SOREM una licenza di esplorazione su un’area di 97,41 chilometri quadrati a Intahaka, che dista un’ottantina di chilometri da Gao.

E’ evidente che la giunta militare di transizione, presieduta da Assimi Goïta, vuole dare un giro di vite sulle aziende straniere. Bamako vuole ritrattare le condizioni di contratto con le società che usufruiscono di licenze minerarie, per ottenere maggiori vantaggi finanziari per il Paese.

Crollo del titolo in borsa

Dopo l’arresto dei dirigenti della società australiana, lunedì scorso le azioni di Resolute Mining sono crollate del 32 per cento, il peggior giorno di negoziazione degli ultimi 16 anni.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotorlgyes
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Mali: altri articoli li trovate QUI

Africa ExPress ha raggiunto i sui primi 5000 articoli

Africa ExPress
Nairobi, 15 novembre 2024

Africa ExPress è una stella piccola nell’universo dei quotidiani online. In poco più di 11 anni abbiamo messo in rete “solamente” 5000 articoli.

Inizio 2013

Abbiamo iniziato le nostre pubblicazioni nella primavera del 2013, allora con un solo post alla settimana. Con il tempo siamo cresciuti, anche grazie alla collaborazione di tanti amici, tutti esperti e veterani dell’Africa o/e del Medio Oriente. Da diversi anni mettiamo in rete un articolo al giorno, a volte anche due.

Quotidianamente vi informiamo con passione, conoscenza e professionalità di ciò che accade nel continente dimenticato, come la sofferenza della gente, dei vari conflitti. Ma amiamo ricordare anche della forza e della grande capacità di sollevarsi delle persone che lo popolano. E senza tralasciare piccole nozioni storiche o eventi sportivi nei quali gli africani eccellono.

Ringraziamenti

Dunque un grazie a tutti i nostri lettori e naturalmente ai collaboratori, al nostro webmaster che in questi anni ci hanno dato una mano. Ovviamente noi di Africa ExPress lavoriamo gratuitamente. Non abbiamo pubblicità. Siamo volontari dell’informazione.

Il team di Africa ExPress
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Fincantieri a gonfie vele nel mercato bellico della marina militare degli Emirati Arabi Uniti

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
13, Novembre 2024

Fincantieri SpA, il gruppo leader della cantieristica italiana, si proietta sempre più verso la produzione bellica a fianco dei regimi all’indice per le violazioni dei diritti umani e/o direttamente coinvolti in alcuni dei più sanguinosi conflitti mediorientali.

Fincantieri e EDGE firmano nuovo MoU

Il 5 novembre 2024, la società con quartier generale a Trieste, controllata per il 71,32 per cento da CdP Industrie(finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti – Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha firmato un Memorandum of Understanding con il Gruppo EDGE, holding a capo del complesso militare-industriale degli Emirati Arabi Uniti.

La EDGE è particolarmente attiva nel settore missilistico, della cyber-defense, dei sistemi di guerra elettronica ed intelligence, della cantieristica navale, dei veicoli terrestri leggeri e pesanti e dei droni.

Collaborazione settore subacqueo

L’accordo, che punta allo sviluppo di progetti nel settore subacqueo, è stato firmato da Hamad Al Marar, amministratore delegato e direttore generale di EDGE e da Pierroberto Folgiero (Ad di Fincantieri), in occasione dell’Euronaval, importante salone della difesa navale a livello internazionale, svoltosi nei giorni scorsi a Parigi.

EDGE e Fincantieri lavoreranno insieme alla progettazione, allo sviluppo e alla creazione di capacità per la fornitura di soluzioni avanzate per sistemi subacquei con e senza equipaggio negli Emirati attraverso “Maestral”, la joint venture di costruzione navale con base ad Abu Dhabi recentemente lanciata dai due Gruppi”, riporta l’ufficio stampa di Fincantieri.

“L’accordo preliminare aprirà la strada e darà impulso allo sviluppo di sofisticate soluzioni su misura per le specifiche esigenze subacquee delle marine militari di tutto il mondo (…). Consentirà alle due organizzazioni di condividere le competenze e di sviluppare una gamma di prodotti innovativi e interoperabili, conferendo ulteriore slancio alle capacità sovrane degli Emirati Arabi Uniti nelle tecnologie di difesa all’avanguardia, a beneficio degli stessi e delle altre marine militari”.

Creazione Joint Venture

Il pre-accordo per la joint venture “Maestral” di Fincantieri-EDGE era stato firmato il 21 febbraio 2024 a Palazzo Marina, Roma (sede dello Stato maggiore della Marina Militare), alla presenza di Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario di Stato per la Difesa; dell’ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato maggiore della Marina; del generale di Corpo d’Armata Luciano Portolano, Segretario Generale Difesa e Direzione Nazionale Armamenti; dell’allora presidente di Fincantieri, il generale Claudio Graziano, già Capo di Stato maggiore della Difesa ed ex presidente del Comitato Militare dell’Unione europea (recentemente deceduto).

Affare da 30 miliardi di euro

“La creazione della joint venture consentirà di cogliere le opportunità della cantieristica navale a livello globale, con un focus sulla produzione di una vasta gamma di navi militari e prodotti subacquei e un business con base negli Emirati Arabi Uniti dal valore stimato di 30 miliardi di euro”, hanno spiegato i manager di Fincantieri.

La joint venture avrà sede ad Abu Dhabi e sarà controllata per il 51 per cento dal Gruppo industriale emiratino, mentre la direzione gestionale sarà affidata a Fincantieri.

“Essa avrà diritti di prelazione per gli ordini non NATO, sfruttando in particolare l’attrattiva degli accordi G2G (government-to-government) degli Emirati e dei pacchetti di finanziamento del credito all’esportazione, insieme a una serie di ordini strategici effettuati da alcuni selezionati Paesi membri della NATO”, aggiungeva il gruppo cantieristico italiano.

“Questo accordo strategico – continuava – potenzia la capacità di EDGE di progettare e costruire fregate e altre grandi navi, ampliando il suo raggio d’azione. La JV ambisce inoltre a sviluppare l’ambito underwater con un programma di sottomarini di medie dimensioni”.

Joint venture

La costituzione della joint venture è stata formalizzata il 20 maggio 2024 ad Abu Dhabi, durante una cerimonia ufficiale alla presenza del Capo di Stato emiratino, lo sceicco Khaled bin Mohamed bin Zayed Al Nahyan e -ancora una volta – del sottosegretario Matteo Perego di Cremnago e dell’ammiraglio Enrico Credendino.

“La firma di oggi rappresenta la prova concreta di come questa joint venture sia una piattaforma industriale di grande valore, che ci permetterà non solo di cogliere le opportunità che si presentano in un mercato strategico come quello degli Emirati, ma anche di sviluppare ulteriormente le nostre capacità commerciali, creando così nuove e importanti occasioni di crescita e di espansione nel settore della difesa internazionale in collegamento con la piattaforma di esportazione di Abu Dhabi”, dichiarava enfaticamente l’amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero.

Ordinati 10 pattugliatori d’altura

A margine della firma dell’accordo, il presidente del Gruppo EDGE, Faisal Al Bannai, annunciava l’ordine da parte delle Forze della Guardia Costiera degli Emirati Arabi di 10 pattugliatori d’altura (OPV) con ridotta segnatura radar ed elevata flessibilità operativa.

Pattugliatore d’altura (OPV)

“Queste unità saranno costruite sia nei nostri cantieri di Abu Dhabi, sia in Italia”, aggiungeva Faisal Al Bannai. “Ciò apre a Maestral l’opportunità di promuovere alle marine e alle guardie costiere di tutto il mondo un’ampia gamma di soluzioni navali diversificate, tra cui una serie completa di navi tecnologicamente avanzate”.

Lunghi 51 metri, i pattugliatori d’altura OPV della classe P51MR saranno sviluppati dalle unità della classe “Saettia” in dotazione alla Guardia costiera italiana. La commessa è di 400 milioni di euro circa.

Cantieri liguri

“Queste navi saranno costruite nei nostri cantieri liguri di Muggiano ma anche con una base nei cantieri emiratini dove dovranno essere manutenute, per accompagnare la loro vita utile” ha dichiarato l’Ad di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, nel corso di un convegno tenutosi a Saturnia, i cui atti sono stati pubblicati da Analisi Difesa.

“Questo accordo con gli Emirati Arabi Uniti servirà ad aumentare le loro capacità di difesa; noi li accompagneremo nella evoluzione in un blocco geopolitico in cui Abu Dhabi vuole diventare un ponte verso l’Africa subsahariana”.

Quelli sottoscritti nel corso del 2024 sono solo gli ultimi di una serie di accordi che il Gruppo Fincantieri ha promosso con società e aziende con sede negli Emirati Arabi Uniti.

Altri accordi

Il 15 dicembre 2021 i manager della holding italiana hanno firmato un Memorandum of Understanding con Mubadala Investment Company (società interamente controllata dal regime emiratino) per l’avvio di una collaborazione nel campo delle tecnologie avanzate e dei servizi nei settori navale, marittimo e industriale.

Creata nel gennaio 2017 a seguito della fusione della Mubadala Development Company e della International PetroleumInvestment Company (società d’investimento nel settore energetico), Mubadala opera in diversi settori economici, da quello petrolifero a quello turistico-immobiliare, all’industria pesante e manifatturiera, al settore aerospaziale e delle telecomunicazioni.

Soluzioni di automazione

Mubadala gestisce un portafoglio investimenti di 302 miliardi di dollari con società presenti in 50 Paesi al mondo; essa controlla una parte rilevante del pacchetto azionario di EDGE Group.

Un altro accordo di collaborazione è stato firmato il 25 febbraio 2020 da Fincantieri con Marakeb Technologies, azienda provider di soluzioni di automazione, in occasione della kermesse internazionale sui droni e i sistemi unmanned di Abu Dhabi.

“Marakeb Technologies mira ad integrare ed espandere le sue capacità nel campo nell’integrazione di tecnologie senza pilota negli Emirati Arabi Uniti attraverso una partnership strategica con Fincantieri”, ha spiegato l’amministratore delegato della società, Basel Shuhaiber.

Isabella Rauti, sottosegretario alla Difesa, presente a IDEX 2033, Abu Dhabi

In occasione dell’esposizione internazionale dei sistemi da guerra IDEX 2023, tenutasi ad Abu Dhabi nel febbraio 2023, i manager di Fincantieri hanno firmato un memorandum con l’Abu Dhabi Ship Building (ADSB), società controllata da EDGE e attiva nella progettazione, costruzione, riparazione, manutenzione, refitting e conversione di navi militari e commerciali.

“Secondo i termini dell’accordo, EDGE e Fincantieri uniranno le forze nella realizzazione della flotta navale emiratina, oltre a creare nuove opportunità di business nel mercato locale e internazionale con soluzioni tecnologiche ad alto valore aggiunto”, ha spiegato Fincantieri.

Governo e forze armate

Anche in questa occasione a consacrare la cooperazione militare tra i gruppi della cantieristica di Italia ed Emirati Arabi erano presenti alti rappresentanti del governo e delle forze armate italiane.

A fianco dell’amministratore delegato Pierroberto Folgiero e del presidente Claudio Graziano sono intervenuti infatti la senatrice Isabella Rauti, sottosegretaria di Stato per la Difesa; Lorenzo Fanara, ambasciatore italiano ad Abu Dhabi;il generale Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti.

Collaborazione dal 2008

Fincantieri opera nel mercato locale degli Emirati Arabi dal 2008. A partire del 2011 i cantieri di Muggiano (La Spezia) hanno consegnato alla Marina militare emiratinauna corvetta classe Abu Dhabi di 90 metri di lunghezza e due pattugliatori classe Falaj 2.

Per supportare la manutenzione e la piena operatività di queste unità, nel 2010 Fincantieri ha promosso lacostituzione della joint venture EtihadShip Building LLC (quartier generale ad Abu Dhabi), con Al FattanShipyardIndustrye Melara Middle East Dubai.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
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L’Italia va alla guerra: la Fincantieri addestrerà forze navali del Qatar

 

Non è solo vendetta: il piano di Israele nel nord di Gaza mira allo sterminio dei palestinesi

EDITORIALE
Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
di ritorno da Dayr al-Balah (Striscia di Gaza), 12 novembre 2024

Chiunque provi a dare un vero senso della portata della distruzione che Israele ha scatenato così rapidamente, o della natura indiscriminata dei suoi bombardamenti in Medio Oriente, deve aggrapparsi a paragoni che fanno un salto indietro di decenni, dal Vietnam, alla Corea, alla seconda guerra mondiale.

L’era moderna del diritto internazionale umanitario proclamato dall’Occidente, così come le istituzioni che l’Occidente ha sostenuto per proteggerlo, stanno andando a fuoco.

Jabalia, nord Striscia di Gaza

Idea di un generale

Continua, sotto un inverosimile disinteressamento da parte della Comunità Internazionale, il progetto di assedio ed evacuazione forzata dal nord della Striscia di Gaza messo a punto, in ogni dettaglio, da Israele.

La mente dietro il piano è Giora Eiland, un generale riservista e una figura politicamente centrista in Israele, familiare a chiunque abbia studiato l’evoluzione della dottrina militare israeliana negli ultimi due decenni.

E non ne fanno un segreto il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, e il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, insieme ad altri ministri dell’estrema destra.

Non solo vendetta

Non è semplicemente una questione di vendetta per le atrocità commesse dal braccio armato di Hamas il 7 ottobre.

All’interno della logica distorta che regola la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, l’unico modo per ripristinare la deterrenza dopo l’umiliazione militare del 7 ottobre è quello di annientare completamente la collettività palestinese, comprese le sue città e istituzioni.

Potrebbe essere facile liquidare le proposte israeliane come una magniloquenza genocidaria, ma sono state concepite da personaggi come Eiland, come Uzi Rabi (professore all’Università di Tel Aviv), non solo dal circolo messianico di Ben Gvir e Smotrich.

Zona fortificata

Israele ha portato avanti questo piano gradualmente dall’inizio del suo assalto, costruendo una zona militare fortificata – il corridoio Netzarim – per isolare il nord di Gaza.

Se Israele pensa di poter distruggere Hamas nel nord di Gaza solo con una politica di sterminio, cosa gli impedirà di attuare esattamente la stessa politica nel sud di Gaza in seguito?

Non è Hamas che viene eliminato a Gaza. Sono i fondamenti del diritto umanitario: il principio di distinzione, tra combattenti e non combattenti, e il principio di proporzionalità, nel considerare il vantaggio militare rispetto ai danni sui civili.

Operare nell’ombra

Israele vuole essere in grado di operare nell’ombra, fuori dai radar, quando porta avanti il suo programma di crimini di guerra, come sta continuando a fare a Gaza e come ha iniziato a fare nel Libano meridionale.

La strategia non è solo spietata. E’ sfacciata, persino celebrativa, nella sua paranoia di distruzione. Distrugge il mondo come lo abbiamo conosciuto per generazioni.

E cercando di rimanere nell’ombra di una crisi geopolitica sconvolgente c’è Washington. Grazie alle sue tasche profonde e alla sua indulgenza illimitata alimenta il massacro industrializzato.

La carneficina scatenata in Medio Oriente è di un’altra epoca, molto più oscura. La catastrofe umanitaria che Israele ha progettato a Gaza, con la coproduzione occidentale, non ha precedenti nell’era moderna.

Sospendere Israele dall’ONU

La storia unica di Israele è così scandalosamente egoistica. Ha lavorato per reinterpretare e indebolire gradualmente le regole di occupazione e guerra, in particolare attraverso l’assedio e i ripetuti attacchi a Gaza negli ultimi anni.

Esattamente 50 anni fa, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver dichiarato l’apartheid crimine contro l’umanità e illegale l’occupazione militare della Namibia, ha sospeso il Sudafrica. Per i successivi due decenni si è rifiutata di riammetterlo. Potrebbe fare lo stesso con Israele, ma a quanto pare non osa.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Mondlane, candidato di Podemos alla presidenza del Mozambico: “Hanno tentato di assassinarmi”

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
11 novembre 2024

Venancio Mondlane, candidato alla presidenza del Partito Ottimista per lo Sviluppo del Mozambico (PODEMOS), ha raccontato di essere sfuggito a un attentato in Sudafrica.

L’attentato mancato

Il candidato presidente ha denunciato l’agguato in un video su Facebook postato lo scorso 4 novembre. Il contenuto del filmato è stato riportato dai media internazionali ma Africa ExPress non ne ha trovato traccia sulla pagina Fb di Mondlane.

Secondo quando scritto dalla BBC, Mondlane è dovuto scappare con la famiglia dal retro dalla sua abitazione a Sandton, ricco quartiere di Johannesburg.  Ha raccontato che alcuni assassini si erano recati a casa sua per cercare di ucciderlo. Il candidato presidente, dopo essersi rifugiato in un salone di parrucchiere, è riuscito a trovare un luogo per sfuggire ai killer. “Ero con mia moglie e mia figlia e correvo da un posto all’altro”, scrive la BBC.

Dopo l’assassinio – il 19 ottobre – di Elvino Dias, legale di PODEMOS,  e di Paulo Guambe, agente elettorale dello stesso partito, Mondlane si era rifugiato in Sudafrica. “C’era un piano studiato al millimetro dagli squadroni della morte per togliere la vita a Venancio Mondlane e a me”, aveva scritto Dias nell’aprile 2024. Il ministero degli Esteri sudafricano ha affermato all’AFP di non essere a conoscenza della presenza di Mondlane nel Paese.

Il funerale, a Maputo, di Elvino Dias e Paulo Guambe

Il successo delle proteste

La settimana di sciopero indetta da Venancio Mondlane dal 1° al 7 novembre, dopo l’omicidio di Dias e Guambe, ha sicuramente avuto successo. Le manifestazioni, con le parole d’ordine “Povo no poder” e “O Pais è nosso”, ci sono state in tutto il Paese e  hanno portato il Mozambico sotto riflettori di livello internazionale.

La polizia ha impiegato una forza eccessiva contro le manifestazioni pacifiche di protesta per i brogli elettorali, sparando lacrimogeni e proiettili veri ad altezza d’uomo. I manifestanti hanno reagito con pietre e incendiando pneumatici e auto per fare barricate.

La reazione della polizia è stata violentissima. Secondo il Centro per la democrazia e diritti umani (CDD) gli attacchi delle forze dell’ordine hanno causato 34 morti. I feriti sono decine e centinaia gli arresti.

“La polizia impedisce il diritto di manifestare e utilizza mezzi che dovrebbero essere per proteggere il popolo. Ma li usa per ammazzare lo stesso popolo che ha giurato di proteggere”, si legge sul Bollettino del CDD -.

La società civile in piazza

Centinaia di medici sono scesi in piazza. Sono loro che hanno visto i morti e curato i feriti nelle manifestazioni contro i brogli elettorali. La parola d’ordine era “Basta morti per le pallottole”.

Mondlane Manifestazione dei medici
Maputo, manifestazione dei medici mozambicani

Le femministe e artiste mozambicane hanno invece scritto un decalogo intitolato “Lascia passare il mio popolo”. Chiedono un’indagine indipendente sulle elezioni; una riforma elettorale; protezione delle libertà civili; responsabilità per gli attacchi alle manifestazioni e ai giornalisti; dialogo e riconciliazione.

Anche l’Associazione degli scrittori mozambicani (AEMO) vuole il dialogo tra le parti. Chiede un incontro urgente tra Venâncio Mondlane, e il candidato alla presidenza del FRELIMO, Daniel Chapo, per trovare una soluzione e porre fine ai conflitti nel Paese. “Mondlane e Chapo, si incontrino per porre fine all’attuale clima di instabilità e violenza, per evitare ulteriori perdite di vite umane e distruzione di infrastrutture. Si facciano concessioni reciproche senza essere guidati da arroganza o posizioni radicali”.

Il “messia” Mondlane

Il candidato alla presidenza di PODEMOS si presenta sui social anche come un religioso ispirato da poteri celesti. “Io so che Dio ha messo le sue ali sul Mozambico. Sta preparando una grande luce affinché il Mozambico possa vibrare e brillare per essere una grande Nazione nel futuro”. Tra due bandiere nazionali Mondlane, con gli occhi chiusi e le mani giunte, inizia i suoi appelli al Popolo (au Povo) sui social.

Il settimo giorno

Per l’ultimo giorno di sciopero generale, Venanzio Mondlane ha chiesto al popolo mozambicano di convogliare pacificamente nel centro di Maputo. Lì si trova Ponta Vermelha, sede della presidenza della Repubblica. Nell’ultimo appello ha invitato i mozambicani a rimanere in piazza finché non sarà ristabilito il “diritto del popolo” a governare per aver vinto le elezioni. E cita Samora Machel, primo presidente del Mozambico: “Povo no poder” (Potere al popolo).

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Elezioni in Mozambico: Frelimo e Podemos “abbiamo vinto” ma osservatori UE protestano per irregolarità

 

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La guerra del pallone fra Libia-Nigeria continua: deportazioni, arresti, multe e fake news

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
10 novembre 2024

“La Libia sta arrestando e deportando i lavoratori nigeriani illegali. E li costringe a pagare 500 dollari. E’ una ritorsione per la multa di 50 mila dollari data alla Federazione calcistica”.

Poco calcio, tanti calci in faccia fra Libia e Nigeria. I tempi supplementari della partita di pallone mai disputata fra la nazionale di Tripoli (Cavalieri del Mediterraneo) e quella di Abuja (Super Aquile) sono diventati uno spinoso caso politico, tra allarmi e smentite. E qualche velenosa fake news.

Deportazione di migranti nigeriani dalla Libia

La denuncia di arresti e deportazione di massa, oltre che di multe ai danni dei migranti, è stata lanciata alla fine di ottobre da membri della comunità nigeriana in quel di Tripoli.

Verdetto contestato

Il tutto sarebbe una conseguenza del verdetto emesso dalla Confederazione calcistica africana (CAF) il 26 ottobre per il trattamento poco “sportivo” riservato alle Super Eagles. I giocatori avrebbero dovuto sfidare, a Benghazi, i Cavalieri del Mediterraneo il 15 ottobre nella partita di ritorno per le qualificazioni alla Coppa d’Africa, che si disputerà nel 2025 in Marocco.

Dirottati e trattenuti

La nazionale nigeriana è stata dirottata e trattenuta per oltre 12 ore nell’aeroporto lontano e secondario di Al-Abraq, nella Libia orientale, senza viveri né possibilità di comunicazione. Per protesta, le Super Eagles si sono rifiutate di giocare il match e sono… volate verso casa.

Vittoria a tavolino deciso da CAF Nigeria 3 v 0 Libia

La CAF in seguito alla denuncia della Federazione nigeriana ha dato a quest’ultima la partita vinta per 3-0 e ha inflitto alla Federazione libica una ammenda di 50 mila dollari.

Malcelata soddisfazione

La sentenza della commissione disciplinare del massimo organismo calcistico africano, presieduta dal senegalese Ousmane Kane, ha provocato malcelata soddisfazione in Nigeria, ma indignazione in Libia.

A cui sono aggiunte le voci allarmistiche lanciate da un blog molto seguito, il Libya News Today 1 che riferiva come diversi canali tv spingessero il governo ad arrestare e cacciare lavoratori nigeriani senza documenti.

Vendetta

Il Punch, il quotidiano più diffuso del Paese che si affaccia sul golfo di Guinea, cita un nigeriano, Adenaike Emmanuel, residente a Tripoli, secondo il quale in diverse zone dello stato nordafricano e nella stessa Tripoli si stavano verificando arresti. E ha aggiunto: “I libici non nascondono che in questo modo si vogliono vendicare”.

Il presidente della Comunità Nigeriana in Libia, Peter Osagie Omoregbe, in un video condiviso da blog di cittadini nigeriani, ha confermato che gli arresti sono avvenuti e che ha inviato una lettera ufficiale al Libyan Immigration Office.

“È una situazione preoccupante – ha affermato – poiché prendono di mira persone innocenti indipendentemente dal fatto che abbiano passaporti o carte di residenza. Questo comportamento è senza precedenti. Ora invece media, giornalisti e bloggers locali hanno cominciato a dire che deve essere la Nigeria a pagare la multa. Molti di noi sono spaventati, ma anche la nostra ambasciata sembra avere le mani legate”.

Rapporti differenti

E pensare che lo scorso anno i rapporti fra Libia e Nigeria apparivano ben differenti. Il I agosto 2023, proprio in occasione dell’insediamento di Peter Osagie Omoregbe quale neo eletto presidente della comunità nigeriana, l’ambasciatore Kabiru Musa aveva espresso il suo sostegno ai suoi connazionali e tutti si erano detti impegnati a promuovere gli interessi dei nigeriani in Libia e a costruire una comunità forte e unita.

Qualche giorno dopo la lettera di Omorgebe, un altro residente nigeriano, Omo Oba Legba, ha riferito che la situazione era peggiorata.

In un video su Facebook ha postato :”Sono stato informato da un amico poliziotto di non uscire neanche a far la spesa, perché sarà arrestato chiunque sia nigeriano, indipendentemente dal fatto che possieda passaporti libici. Questa situazione è un allarmante campanello d’allarme per il nostro popolo affinché prenda coscienza della crisi in corso. Le Super Eagles se ne sono tornate a casa, hanno intascato i soldi, comunque, e i loro problemi involontariamente sono caduti su di noi”.

“Non c’entro niente”

In un video pubblicato da Libya INF. TV un altro immigrato ha supplicato la polizia a cessare gli arresti sottolineando: “Il calcio non c’entra niente con noi, lasciateci fuori”.

Perfino il capo del National Institution for Human Rights in Libia, (NIHRL), Ahmed Hamza, si è espresso con fermezza. “Mettiamo in guardia contro qualsiasi forma di ritorsione contro i lavoratori stranieri e migranti in Libia, in particolare i lavoratori nigeriani, da parte delle forze di sicurezza, dei gruppi armati, o dei cittadini”, ha dichiarato.

E ha denunciato: “La diffusione dell’incitamento all’ostilità nei confronti degli stranieri, dipingendoli come residenti illegali o irregolari. La gestione dell’ingresso, dell’uscita e del soggiorno dei lavoratori stranieri (che secondo Hamza sarebbero circa 200 mila, ndr) è responsabilità del Ministero del Lavoro e della Riabilitazione, dell’Agenzia anti-immigrazione illegale, del Dipartimento dei passaporti e degli affari esteri e le azioni illegali potrebbero portare alla giustizia nazionale e persino internazionale”.

“Il ministero degli Interni libico, sotto il governo di unità nazionale – ha concluso – fermi queste pericolose campagne. Tutti i residenti all’interno dei confini della Libia, indipendentemente dal loro status giuridico, devono essere protetti”.

Tema caldo

In Nigeria, d’altra parte, il tema era caldo. Il canale televisivo TVC News Nigeria  ha organizzato un programma con l’intervento degli ascoltatori che hanno invitato il governo e la cosiddetta Commissione della Diaspora a darsi una mossa.

Curiosamente, il personaggio più importante della trasmissione è stato Jake Epelle, 63 anni, esperto di Politiche di sviluppo e di patrocinio, ma anche figura di riferimento degli africani albini.

Jake, infatti, vittima nell’infanzia e giovinezza, di umilianti discriminazioni per la sua condizione genetica, è giustamente famoso per aver creato la Albino Foundation, impegnata a combattere i pregiudizi contro chi soffre della rara malattia dell’Albinismo, molto più diffusa in Africa, rispetto al’Europa.

Situazione drammatica

La situazione sembrava farsi drammatica, tanto più che negli stessi giorni si era diffusa la notizia che 166 cittadini nigeriani erano stati rimpatriati. Un fatto che non aveva nulla a che vedere con la disputa legata al calcio.

Si trattava, infatti, di un ritorno volontario a casa di disperati o di persone pentite e bisognose di aiuto, avvenuto con il supporto delle Nazioni Unite e che si verifica frequentemente, senza problemi.

All’improvviso, però, è tornato il sereno. Nella prima settimana di questo mese il ministero degli Affari Esteri di Abuja si è fatto vivo con una dichiarazione ufficiale del suo portavoce, Eche Abu-Obe.

“I nigeriani in Libia sono al sicuro e svolgono le loro attività quotidiane senza interferenze e privi di qualsiasi forma di molestia da parte delle autorità libiche – si legge nel comunicato -. Il ministero degli Affari Esteri desidera ribadire che il benessere dei cittadini nigeriani in qualsiasi parte del mondo è una priorità assoluta della Repubblica Federale della Nigeria e continuerà a impegnarsi per salvaguardarlo in ogni momento. Il contrario di quanto pubblicato il 3 novembre da Punch“.

Pescare nel torbido

Tutto a posto, dunque. Tanto rumore per nulla? Quando il caso sembrava chiuso, sgonfiatosi come un pallone bucato, ecco che qualcuno a pensato bene di pescare nel torbido. Venerdì 8 novembre è comparsa, infatti, una notizia su Facebook secondo cui il CAF 1) avrebbe impedito alla Libia di ospitare incontri di calcio in casa, 2) avrebbe disposto, come punizione di giocare la partita di ritorno in Nigeria e 3) avrebbe multato la Federazione libica gioco calcio di ben 100 mila dollari, non 50 mila!

Tutto falso.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Tra Libia e Nigeria scoppia la guerra del pallone

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Video porno di un papavero del governo fanno tremare la Guinea Equatoriale

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
9 novembre 2024

Uno scandalo politico-sessuale sta travolgendo la Guinea Equatoriale. Nei computer e cellulari Baltasar Ebang Engonga, sono stati trovati oltre 400 video porno durante una perquisizione delle autorità giudiziarie nell’ambito di una indagine per presunta frode fiscale.

Baltasar Ebang Engonga, funzionari equatoguineano, autore di centinaia di sextape

Ebang Engona è conosciuto in tutto il Paese con il nome di “Bello” e fino a pochi giorni fa era il direttore generale dell’Agenzia Nazionale di Investigazione Finanziaria della Guinea Equatoriale, l’organismo incaricato di combattere la criminalità finanziaria e la corruzione. Ora è al centro di questa vicenda che sta facendo tremare il Paese e non solo.

In apparenza uomo normale

Bello, sposato, padre di diversi figli e pronipote del capo dello Stato, è stato immediatamente defenestrato con decreto presidenziale e ora si trova in detenzione preventiva a Black Beach, la terribile prigione di Malabo, capitale del Paese.

Secondo il procuratore generale, Anatolio Nzang Nguema, potrebbe essere anche perseguito per reato contro la salute pubblica, qualora gli esami medici dovessero rilevare che il protagonista del sexgate fosse infetto da una malattia a trasmissione sessuale.

La prigione famigerata di Black Beach, a Malabo, in Guinea Equatoriale
La prigione famigerata di Black Beach, a Malabo, in Guinea Equatoriale

Video messi in rete

Negli ultimi giorni c’è stata una fuga del materiale recuperato e i social network e i siti web per adulti sono stati inondati da decine di video hard provenienti dalla Guinea Equatoriale. Sono stati pubblicati filmini intimi che mostrano il capo dell’autorità fiscale del Paese in posizioni compromettenti con diverse donne, mogli di ministri, alti funzionari e dignitari, nei suoi uffici del ministero, nel bagno e in camere d’albergo.

Intanto i filmati porno, appena messi in rete sono diventati virali nel giro di poche ore, suscitando commenti a non finire e l’hashtag #BaltasarEbangEngonga è salito in cima alla lista degli argomenti più discussi.

Il 54enne funzionario, al centro dell’inchiesta, oltre a essere un congiunto della famiglia presidenziale, è figlio di un politico molto in vista: Baltasar Engonga Edjo’o, attuale presidente della Commissione della Comunità Economica e Monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) nonché un ex ministro del regime. Per alcuni sarebbe potuto essere un possibile successore dell’attuale presidente. Ma lo scandalo sta favorendo i suoi rivali, in primis il figlio dell’attuale dittatore.

Internet rallentato

Teodoro Nguema Obiang, vicepresidente della Guinea Equatoriale e figlio del capo dello Stato ha subito chiesto al ministero delle Telecomunicazioni di applicare le misure necessarie per evitare la diffusione di altri video.

Teodorin Obiang, vicepresidente della Guinea Equatoriale

Il viceministro  ha poi sottolineato che saranno sospesi tutti i dipendenti pubblici che hanno avuto rapporti sessuali negli uffici dei loro dipartimenti. Una violazione del codice di condotta e della legge sull’etica pubblica non può essere tollerata.

Mandato d’arresto internazionale

Va ricordato che il figlio di Obiang, noto come Teodorin, è ben conosciuto come playboy e per il suo stile di vita lussuoso. Inoltre è stato tra le persone ricercate dall’Interpol, ma la richiesta del mandato di arresto internazionale è stato poi cancellata. Il padre ha fatto risultare le proprietà sequestrate in Francia come beni della Guinea Equatoriale e non del figlio. Nonostante le accuse e i processi in contumacia in USA e Francia e il sequestro dei suoi beni, continua a esercitare le funzioni di vice-presidente del suo Paese e a girare indisturbato il mondo.

Teodorin probabile successore

E’ poco probabile che l’anziano Obiang si ripresenti alle prossime presidenziali. Ora il dittatore sta spianando la strada al figlio Teodorin, attualmente suo vice. Già nel 2016 il capo dello Stato aveva promesso che non si sarebbe più ricandidato. Allora aveva spiegato ai giornalisti: “La Guinea Equatoriale non è una monarchia, ma non posso farci niente se mio figlio ha talento”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes

© RIPRODUZIONE RISERVATA

GUINEA EQUATORIALE: altri articoli li trovate cliccando QUI

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Il Sudafrica sgancia un pugno in faccia a Israele: presenta al Tribunale Internazionale prove del genocidio a Gaza

Dalla Nostra Corrispondente
Elena Gazzano
Città del Capo, 8 Novembre 2024

Il 28 ottobre 2024, il Sudafrica ha depositato le prove presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che inchioderebbero Israele per aver violato la Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio nella Striscia di Gaza.
Questo atto legale, depositato all’Aja dal governo di Pretoria rappresenta una delle contestazioni più significative riguardanti il conflitto israelo-palestinese.

Diritto internazionale

Il Sudafrica ritiene che le azioni militari di Israele costituiscano genocidio secondo il diritto internazionale. Accuse che Israele nega categoricamente.
Nel suo dossier, il governo di Pretoria ha presentato 5.000 pagine di documentazione. Le accuse includono il blocco degli aiuti umanitari, l’uso della fame come strategia militare e lo sfollamento forzato dei palestinesi a causa degli attacchi.
Sebbene i dettagli siano riservati per rispettare i protocolli dell’ICJ, si sostiene che l’accusa parla di un preciso intento di annientare la popolazione di Gaza.

Catastrofe umanitaria

Il rapporto arriva dopo oltre un anno di guerra, iniziata il 7 ottobre 2023 dopo l’attacco di Hamas. L’ICJ ha confermato di aver ricevuto il fascicolo, ma non ha fornito ulteriori dettagli. Il memorandum contiene oltre 750 pagine di argomentazioni e più di 4.000 allegati, tra rapporti e testimonianze oculari.
In una dichiarazione a corredo, il governo di Pretoria ha evidenziato l’urgenza di un intervento internazionale per affrontare la “catastrofe umanitaria” a Gaza.
Ormai a Gaza c’è solo distruzione: è catastrofe umanitaria
La risposta militare israeliana ha suscitato severe critiche, con il numero di vittime tra i civili in continuo aumento. Secondo il ministero della salute di Gaza, dall’inizio del conflitto sono morti oltre 43.500 palestinesi.

Il memorandum rappresenta l’ultimo passo nella battaglia legale contro Israele, iniziata a dicembre 2023. Da allora, l tribunale dell’Aja ha ripetutamente chiesto a Israele di fermare la sua offensiva militare.

Sebbene le decisioni della Corte internazionale di giustizia siano legalmente vincolanti, essa non dispone di strumenti pratici per farle rispettare.

Appello di Ramaphosa

Ramaphosa durante il suo discorso all’Assemblea generale dell’ONU aveva sottolineato: “L’impegno globale per i diritti umani, che ha aiutato a porre fine all’apartheid, deve ora sostenere anche la Palestina.”

Cyril Ramaphosa, residente sudafricano, durante il suo discorso all’Assemblea generale ONU, settembre 2024

Ma la comunità internazionale è divisa sulla questione israelo-palestinese. Alcuni Paesi occidentali stanno sostenendo Israele, mentre molti Stati africani, mediorientali e organizzazioni umanitarie continuano a manifestare forte contrarietà per quanto riguarda questo sanguinoso conflitto.

Manifestazioni di piazza

A Città del Capo e in altre città sudafricane, manifestazioni pubbliche a sostegno dell’azione legala promossa dal governo sono in continuo aumento. I cittadini chiedono che venga posto fine alle violenze a Gaza e in Libano.

Per il Sudafrica e i suoi alleati, l’obiettivo è promuovere una soluzione pacifica attraverso le Nazioni Unite, proteggendo i civili e prevenendo ulteriori perdite.

Elena Gazzano
elenagazzano6@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Giustizia sotto il fuoco: Sudafrica e Israele si scontrano di fronte alla corte internazionale di giustizia dell’Aia

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NEWS ANALYSIS/Perché Trump ha vinto

E’ difficile che Africa ExPress pubblichi
qualcosa fuori dal contesto africano o mediorientale.
Ma l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti
è talmente importante (e devastante) che non può essere
ignorata da un quotidiano come il nostro.
E quest’analisi  di Claudio Gatti coglie nel segno.
m.a.a.

Claudio Gatti
New York, 7 novembre 2024

Il mondo intero oggi si chiede come Donald Trump possa aver stravinto le presidenziali americane. Sulla carta non sembra aver senso che un sociopatico, pluri-bancarottiere, molestatore sessuale, propagatore di menzogne, personificazione di conflitti d’interesse, negazionista elettorale sia stato scelto per la massima carica elettiva della democrazia più importante al mondo. Invece non c’è da sorprendersi.

Donald Trump vince le elezioni presidenziali

La spiegazione principale viene dallo zoccolo duro del suo elettorato che, in buona, sostanza, ha lo stesso profilo di chi ha determinato i vincitori delle ultime elezioni in Austria, Italia, Olanda, Svezia e Ungheria: uomini bianchi con livelli di istruzione e di ceti sociali meno elevati.

Il granchio di Marx

Marx aveva preso un granchio quando aveva previsto che l’educazione democratica del proletariato e le contraddizioni economiche del sistema capitalistico avrebbero inevitabilmente portato al socialismo.

Molti latino-americani hanno dato il voto a Trump

Con le classi più deboli (bianche) che oggi votano Meloni, Salvini, Wilders, Åkesson, Orban e Trump, non solo il socialismo rimane un’utopia irrealizzata ma la democrazia si sta trasformando in una parodia di se stessa.

E se Trump ha vinto è perché Kamala Harris è rimasta orgogliosamente ancorata a uno schema politico forse ormai superato.

I modelli occidentali

La realtà è che in America, come in Europa, la crisi dei modelli industriali occidentali ha aperto un varco politico per chiunque sia pronto a manipolare un elettorato che dal sogno americano, o quello del miracolo economico, è passato all’incubo dell’incertezza.

A questa fortissima ansia si è poi sommata la paura creata da flussi migratori apparentemente incontenibili di popoli diversi nel colore della pelle, nella cultura e nella religione. Tutto ciò, mentre la società subiva una trasformazione epocale.

Dal dominio degli industriali siamo scivolati nel dominio dei finanzieri per finire in quello degli influencer – dall’essere si è passati all’avere e ora all’apparire.

Appagamento politico

É quindi consequenziale che l’appagamento politico non sia più legato a benefici economici o sociali concreti, e che i politici più disinvolti stiano oggi offrendo soluzioni a pulsioni emotive – in primis ansia e paura – che hanno rivitalizzato istinti tribali primordiali.

Istinti ferocemente alimentati da media chiamati social ma che in realtà sono a-social, perché lo spettacolo su cui si reggono produce un enorme agglomerato di persone isolate ma unite attorno ad astrazioni che sostituiscono bisogni reali con voglia di rivincita.

Come nello sport, in politica non si chiedono ormai più cambiamenti strutturali – né palestre né strade, né piscine né scuole –, si chiede soprattutto la vittoria sull’avversario.

Dissoluzione dei partiti

Dalla dissoluzione dei partiti e delle ideologie ne è conseguita la dissoluzione delle idee politiche. Certo, la politica è sempre stata rappresentazione, ma se in passato i suoi protagonisti spesso vendevano un’illusione ideologica, ora offrono un’illusione fine a se stessa.

Nel passaggio da una politica dell’apparizione a una politica dell’apparente, non vince più chi sa vendere un’idea meglio degli altri, ma chi riesce a illudere gli elettori non avendo alcunché da vendere. In un certo senso siamo davanti alla versione contemporanea di ciò che per secoli ha provocato la lusinga religiosa: la rappresentazione non solo viene vissuta come realtà ma la sua forza emotiva prevale su di essa.

Base ideologica

Quotidiani rivelano: nuove micidiali armi laser in mano a Israele

Africa ExPress
Tel Aviv, 6 novembre 2024

La stampa israeliana (in particolare il quotidiano “GLOBI” del 29 ottobre scorso ha riportato con ampio risalto la notizia che dal prossimo anno 2025 l’esercito Israeliano sarà equipaggiato con potenti raggi laser ad alta energia montati su speciali veicoli corazzati.

Il nuovo sistema Iron Beam “Magan” (un sistema di arma unico al mondo) è prodotto dalla società israeliana Rafael in collaborazione con l’americana Lockheed Martin è stato inizialmente pensato e progettato per la difesa antiaerea e antimissile.

Ha un raggio d’azione di circa 10 km (ma nel prossimo futuro sarà esteso ad oltre 20). Da ricordare che il raggio laser viaggia alla stessa velocità della luce, ossia 300.000 km al secondo, oltre 1 miliardo di km all’ora con una potenza di circa 100 kW.

Costo irrisorio

Il costo di ogni singolo colpo è stimato in circa 5 dollari (il costo dell’energia) contro i 100.000 dollari del costo di ogni singolo razzo sparato dal vecchio sistema Iron Dome.

Viene sottolineato che attualmente è in fase di sperimentazione (forse a Gaza?) ed è possibile che diversi di questi dispositivi mobili siano già stati approntati sul territorio di Israele e sul confine con Libano e Giordania in vista dell’imminente attacco iraniano.

Accordi di cooperazione

Come riporta il quotidiano israeliano Rafae ha attualmente in essere accordi di cooperazione strategici nel campo delle armi laser per lo sviluppo di nuove versioni del Laser destinato all’esportazione (Israele in questo campo sta facendo massicci investimenti).

Iron Beam Magan, nuova arma a raggi Laser di Israele

Quando diventeranno operativi questi nuovi sistemi d’arma tutti gli altri sistemi bellici equivalenti, paragonati ai Laser Militari israeliani diventeranno armi primitive, oltre a permettere ad Israele di primeggiare su tutti gli scenari bellici a costo praticamente quasi pari a zero aumenterà considerevolmente l’interdipendenza di Israele dalle forniture di armi tradizionali USA…

Africa ExPress
@africexp
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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