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L’Italia va alla guerra: la Fincantieri addestrerà forze navali del Qatar

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
Novembre 2024

La holding italiana Fincantieri SpA arma e addestrerà le forze navali militari dell’Emiro del Qatar. Il colosso della cantieristica nazionale e BQ Solutions, società qatariota preposta ad assicurare il supporto strategico alle forze militari e di sicurezza del Paese, hanno firmato un Memorandum d’Intesa.

L’obiettivo è sviluppare programmi di istruzione e addestramento, creati sotto la guida italiana, per le Forze Navali del Qatar.

Fincantieri – Qatar firma dell’accordo per addestramento

Addestramento

A firmare l’accordo il responsabile vendite della Divisione Navi Militari di Fincantieri, Mauro Manzini, e l’amministratore delegato di BQ Solutions, Abdulrahman Darwish Fakhro, in occasione della 14ª edizione di MILIPOL Qatar, l’esposizione globale delle aziende di intelligence, sicurezza interna e anti-terrorismo, tenutasi a Doha dal 20 al 26 ottobre 2024.

“Abbiamo stabilito un quadro di collaborazione, grazie al quale le due società lavoreranno insieme per potenziare le capacità navali del Qatar attraverso soluzioni di formazione avanzate”, riporta l’ufficio stampa del Gruppo Fincantieri.

Nuova intesa

“La nuova intesa con BQ Solutions sarà mirata a elevare la qualità e l’ampiezza dei programmi di addestramento disponibili per il personale qatariota. Le iniziative comprenderanno formazione tecnica, operativa e linguistica per dotare le forze navali del Qatar di competenze operative, tecniche e logistiche all’avanguardia”.

I primi di marzo 2024 Fincantieri SpA aveva firmato un Memorandum d’Intesa quasi analogo con il Comando generale della Marina Militare del Qatar (QENF – Qatar Emiri Naval Forces) con l’obiettivo di “intavolare un dialogo che conduca a nuovi contratti per la fornitura di percorsi di formazione e addestramento all’avanguardia per il personale delle forze navali qatariote”.

Formazione forze navali qatariote

La firma dell’accordo tra il direttore generale Navi Militari di Fincantieri, Dario Deste, e il generale Abdulla Hassan Al-Sulaiti (Comandante delle Qatari Emiri Naval Forces) era avvenuta in occasione della Doha International Maritime Defence Exhibition& ConferenceDIMDEX 2024, l’expo internazionale dei sistemi bellici navali che si tiene ogni due anni nell’Emirato.

Il Gruppo e la Marina del Qatar proseguiranno il dialogo su contenuti e modalità affinché Fincantieri possa continuare a erogare e migliorare i moduli italiani all’avanguardia in materia di formazione e addestramento con il supporto delle autorità italiane e degli altri partner nell’ambito della Difesa”, annunciavano i manager italiani.“I moduli si baseranno su un approccio formativo innovativo e sulla costante crescita delle capacità marittime della Marina del Qatar, garantendo al contempo la piena integrazione e interoperabilità con le capacità militari terrestri e aeree del Qatar e con le Marine straniere alleate”.

Percorsi di addestramento

“Dando seguito ai percorsi di addestramento già efficacemente completati in Italia da Fincantieri, focalizzati sull’operatività del Sistema di Combattimento Italiano a bordo delle navi e coerenti con gli strumenti formativi già forniti, la Marina del Qatar è interessata a implementare programmi di formazione e di addestramento allo scopo di mantenere con aggiornamenti continui le competenze acquisite internamente”, concludevano i dirigenti della holding della cantieristica.

Supporto logistico a lungo termine

Come rilevato da Analisi Difesa, oltre alla formazione fornita agli equipaggi e ai manutentori delle basi della Marina Militare del Qatar, Fincantieri ha assunto il compito di garantire il supporto logistico integrato a lungo termine (dai 5 ai 10 anni) delle unità navali consegnate negli ultimi anni all’Emirato.

Altri servizi logistici saranno forniti da Fincantieri a favore del nuovo Centro di addestramento e simulazione delle forze navali del Qatar per il mantenimento delle sue capacità operative e per la formazione del futuro personale.

Coinvolto Leonardo

Il Centro è stato fornito e realizzato dalle società controllate Fincantieri NexTech e Cetena SpA (Centro di ricerca in campo marittimo), con il gruppo industriale Leonardo come fornitore e sviluppatore del simulatore del sistema di combattimento.

“L’infrastruttura addestrativa del centro–scrive Analisi Difesa – comprende un simulatore di plancia e del Combat Operation Centre, due simulatori non completi rispettivamente di plancia e COC per simulare una seconda piattaforma, oltre a strutture per istruttori, nonché un numero di simulatori dedicati alla replica di piattaforme elicotteristiche per interazione con unità navali, imbarcazioni veloci, armi leggere ed operazioni navali, oltre ad aule, apparecchiature di simulazione e addestramento, il tutto integrato insieme a vantaggio di uno scenario di missione il più possibile realistico”.

DIMEX 24

In occasione della kermesse delle industrie belliche navali DIMDEX 2024, il complesso militare-industriale italiano aveva schierato a Doha alcune delle sue figure di maggiore rilievo: il sottosegretario di Stato alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago, il Capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Antonio Portolano, l’allora presidente di Fincantieri SpA, generale Claudio Graziano (già Capo di Stato maggiore delle forze armate e presidente del Comitato militare dell’Unione europea), tragicamente scomparso qualche mese dopo.

A fare bella mostra di sé a DIMDEX 2024, nel porto di Hamad, la fregata missilistica “Federico Martinengo” della marina militare italiana, realizzata negli stabilimenti liguri di Fincantieri di Riva Trigoso (Genova) e Muggiano (La Spezia).

“Il Gruppo italiano sta guardando a nuovi programmi per unità navali in Qatar”, sottolineava Analisi Difesa.

“Le Qatar Emiri Naval ForcesQENF hanno espresso interesse per una nave di supporto logistico in grado di compiere un’ampia gamma di missioni. Nel suo portafoglio prodotti, Fincantieri ha la famiglia di LSS classe Vulcano, che oltre al rifornimento della flotta e ad altre missioni militari, può anche condurre attività di soccorso in caso di calamità e fornire aiuti umanitari grazie ad estese strutture mediche e aree modulari”.

Per curare i nuovi affari e garantire l’assistenza post-vendita e i servizi in loco, la holding italiana ha dato vita alla società Fincantieri Service Middle East con sede a Doha.

MoU per Omega 360

Un terzo Memorandum of Understanding è stato firmato da Fincantieri il 22 ottobre 2024 con Barzan Holdings (società posseduta al 100 per cento dal ministero della Difesa del Qatar e responsabile del potenziamento delle capacità militari delle forze armate dello Stato), per lo sviluppo congiunto del programma radar Omega360, sensore centrale per il sistema anti-drone nazionale del Qatar.

Il Memorandum è stato sottoscritto a margine dell’incontro bilaterale tenutosi a Villa Pamphili a Roma tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e l’Emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, in visita ufficiale in Italia.

Joint venture

“Questo accordo sancisce la cooperazione tra le due aziende nel definire una possibile joint venture che porterà alla localizzazione della produzione in Qatar e alla fornitura di 40 unità radar Omega360;la produzione dei primi sistemi operativi è prevista entro la fine del 2026”, dichiaravano i manager di Leonardo.

Ignoto l’ammontare della commessa, ma secondo alcune fonti interpellate da Analisi Difesa, essa potrebbe avere un valore indicativo di un centinaio di milioni di euro per l’acquisto degli apparati radar, più le spese per il supporto tecnico-logistico, l’addestramento e la manutenzione per i quali sarà costituito in Qatar un Centro di eccellenza sempre in cooperazione con Barzan e le forze armate dell’Emirato“ con l’obiettivo di potenziare la capacità tecnologica locale e promuovere lo sviluppo di soluzioni all’avanguardia per la difesa aerea”.

Sistema innovativo

Fincantieri descrive Omega360 come un “innovativo sistema di sorveglianza a corto raggio in grado di coprire simultaneamente e con grande accuratezza tutti i 360 gradi”.

Particolarmente efficace contro micro e nano droni, grazie alla capacità di risoluzione dello spettro doppler integrata con algoritmi di intelligenza artificiale, il sistema radar garantirebbe ottime capacità di classificazione e identificazione a grande distanza dei bersagli aerei e di superficie (missili, piccole imbarcazioni, periscopi di sommergibili, micro droni e altri bersagli a ridotta segnatura radar).Omega360 è stato sviluppato presso i laboratori di Roma di Fincantieri NextTech.

Già al salone DIMDEX 2018 a Doha, Fincantieri e Barzan Holdings avevano firmato una lettera di intenti per studiare possibili forme di collaborazione negli ambiti della Coastal Defense Surveillance del Qatar.

Accrescere la partnership 

Il 24 gennaio 2020 i due gruppi avevano poi sottoscritto un Memorandum of Understanding per “accrescere la partnership attraverso la valutazione e gli studi di nuove tecnologie e capacità” in vista dell’acquisizione di nuove unità navali di superficie e sottomarini.

Quattro anni prima Fincantieri aveva ottenuto un maxi-contratto dalle Forze Armate del Qatar per la costruzione di sette navi militari e la fornitura di un ampio pacchetto di servizi di supporto, tra cui la formazione del personale, il supporto operativo e il supporto logistico integrato, l’addestramento tecnico per manutentori di base,ecc..

Il programma del valore di quasi 4 miliardi di euro prevedeva nello specifico la fornitura di quattro corvette, una nave anfibia (LPD – Landing Platform Dock) e due pattugliatori d’altura (OPV – Offshore Patrol Vessel).

Consegna imbarcazioni da guerra

Alla data odierna Fincantieri ha già consegnato alla Marina qatariota sei imbarcazioni da guerra; l’ultima è prevista entro la fine dell’anno.

I due pattugliatori hanno una lunghezza di circa 63 metri, una larghezza di 9,2 metri, una velocità massima di 30 nodi, e possono ospitare a bordo 38 persone di equipaggio.

Corvetta Fincantieri per Qatar

Le corvette sono unità altamente flessibili con capacità di assolvere a molteplici compiti, che vanno dal pattugliamento con capacità di soccorso in mare al ruolo di nave combattente. Lunghe circa 107 metri e larghe 14,70 metri, possono raggiungere una velocità massima di 28 nodi ed ospitare a bordo 112 persone, diversi battelli veloci gonfiabili e un elicottero NFH90.

Il 24 gennaio 2023, presso lo stabilimento Fincantieri di Palermo, si è svolta la cerimonia di varo di “Al Fulk”, l’unità anfibia LPD, alla presenza del Vice primo ministro e ministro della Difesa del Qatar, H.E. Khalid bin Mohamed Al Attiyah, e del ministro della difesa italiano, Guido Crosetto.

L’imbarcazione LPD ha una lunghezza di circa 143 metri, una larghezza di 21,5 metri, una velocità di 20 nodi e può ospitare a bordo circa 550 persone. È dotata di due rampe carrabili e di un bacino interno allagabile in grado di ospitare un mezzo da sbarco che può essere dispiegato utilizzando un sistema di gru. Il ponte di volo è inoltre dimensionato per gli atterraggi e i decolli degli elicotteri NFH90.

Dentro i privati

I sistemi radar, da combattimento e missilistici di tutte le unità navali consegnate al Qatar sono stati progettati e prodotti da aziende controllate dalla holding Leonardo e da Elettronica S.p.A, altra importante società italiana del comparto militare. Per il loro acquisto l’emirato ha sborsato un altro miliardo di euro circa.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Esplosione delle donne keniote alla maratona della Grande Mela

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
4 Novembre 2024

New York, New York… Per le atlete keniote la città icona degli Usa si è rivelata il giardino dell’Eden.

Maratona di New York 2024

Se Eva nel Paradiso terrestre mangiando la mela ha causato un sacco di guai, tre maratonete venute da Nairobi, domenica pomeriggio 3 novembre, divorando la Grande Mela, hanno ottenuto tanta gloria e 200 mila dollari. Prima, seconda e terza: anche se non più giovanissime, hanno dominato la 53° edizione della Maratona di New York.

Mamma e soldatessa

Nell’ordine: Sheila Chepkirui, 33 anni, mamma e soldatessa del Kenya Defence Forces, Hellen Hobiri, 34 anni, sergente maggiore dell’Aeronautica, Vivian Cheruiyot, 41, poliziotta dell’Anticrimine.

Sheila Chepkirui, Kenya, vincitrice della Maratona femminile a New York

Per Sheila è il primo successo – col tempo di 2 ore, 24 minuti e 35 secondi – nelle World Marathon Majors, le 6 gare riconosciute come le principali al mondo (Boston, Berlino, Chicago, Londra, Tokio e ovviamente NY city).

Dalla Rift Valley

La Chepkirui, originaria di Kipchimchim, alla periferia di Kericho (città e contea nella Rift Valley, Kenya), alla sua quarta maratona, non era data come favorita, (aveva ottenuto un secondo posto a Berlino e un quarto in aprile a Londra), eppure ha messo in fila due fortissime sue connazionali.

Grandi festeggiamenti nel paese natale, per Sheila, la cui gara è stata seguita su uno schermo gigante anche da altri atleti e allenatori della zona. Orgoglioso – riferisce The Nation – il governatore Erik Mutai, che ha commentato: “La sua vittoria è una vittoria per il Kenya e per la nostra contea.

Migliorare le strutture

È la conferma che una nuova creatura è nata nel blocco dell’atletica mondiale. Questo ci spingerà a migliorare le strutture nella contea per favorire la preparazione degli atleti”.

Dopo un avvincente duello negli ultimi due chilometri, Sheila ha percorso l’ultimo mezzo miglio mozzafiato e ha costretto alla resa la fortissima Hellen Obiri, prima lo scorso anno sia al Central Park sia a Boston, dove ha concesso il bis quest’anno.

Stile goffo

La Obiri, dallo stile goffo (sembra che stia sempre per cadere in avanti!), ma efficace, sperava nella doppietta americana. Invece si è dovuta accontentare della piazza d’onore e di 60 mila dollari di premio; la prima, invece, ha incassato 100 mila dollari e la terza, Vivian Cheruiyot, 40 mila.

A 41 anni il bronzo

Anche questa è stata un osso duro, nonostante l’età e il fisico minuto (40 kili per 1,54): nel 2018 ha trionfato nella capitale britannica ed è stata argento a New York City.

Nata nel distretto rurale di Keiyo nella Rift Valley, gareggia da quando aveva 15 anni! All’età di 31 anni, ha rinunciato a difendere i titoli mondiali sui 5000 e 10.000 metri a Mosca per dare alla luce un figlio, Allan Kiprono, nell’ottobre 2013.

Nel giugno 2014 ha ripreso ad allenarsi e a vincere, guidata dal marito Moses Kiplagat. A 41 anni è ancora in strada e domenica era lì, a far parte del mix esplosivo tutto femminile, tutto kenyota nella Grande Mela, che ha visto alla partenza 54 mila runners di tutto il mondo.

Partecipazione italiana

Fra essi 2443 italiani (seconda nazione più rappresentata dopo gli Usa). I nostri connazionali che hanno portato a termine la Major, l’ultima della stagione, sotto il muro delle 3 ore, sono stati 66. Il più veloce di tutti è stato il bolzanino Markus Ploner, con un tempo di tutto rispetto: 2h26’19”.

Atleta somalo olandese

Ma sul podio più alto maschile, avrebbe potuto, a buon diritto, mettersi a cantare a squarciagola “New York New York” di Frank Sinatra, il dominatore Abdi Nageeye in 2 ore 7 minuti 39 secondi. “I want to be a part of it, New York New York,…I wanna wake up in that city and find I’m top of the list (voglio farne parte, voglio svegliarmi e scoprire che sono in cima…).

Abdi Nageey, Olanda, trionfa alla maratona di New York

Abdi Nageey “è l’incarnazione dello spirito olimpico: un crogiolo di nazioni, che tira fuori il meglio dagli atleti”: così lo ha definito il sito World Athletics.

Nato a Mogadiscio nel 1989, è fuggito a 6 anni nei Paesi Bassi, ha vissuto brevemente in Etiopia, in Siria e poi di nuovo in Olanda, di cui è diventato cittadino. Si è poi stabilito, con la famiglia, in Kenya, a Eldoret dove si allena.

“Penso che tutti questi Paesi in cui sono andato, questa vita nomade, mi abbia plasmato e reso quello che sono – ha dichiarato tempo fa -. Ora sono in Kenya, vedo così tante nazionalità diverse. Non importa se vieni da Italia, Kenya, Sud Africa o Brasile – ci stiamo tutti preparando per questo grande gioco che è la maratona, una corsa non facile, dura. Ne comprendiamo tutti la lotta e poi dimentichiamo la nazionalità e ci concentriamo maggiormente su questo bellissimo evento.”

New York, New York

A New York, Abdi aveva collezionato un terzo (nel 2022) e un quarto (2023) posto. E alle olimpiadi di Tokio, l’argento dietro a Eliud Kipchoge. Ora Nageeye è diventato il primo corridore olandese a conquistare la gara maschile (e a riportare il titolo in Europa dopo 29 anni), staccando con uno scatto esplosivo il keniano Evans Chebet, 35 anni, vincitore nel 2022.

“Al traguardo ho pensato, sto sognando? Ho vinto a New York” – ha commentato dopo essersi stropicciati gli occhi al traguardo -. Conoscevo il percorso e  mi sono detto: sopravvivi al 36° chilometro e vincerai. Nessuno scommetteva su di me, ma io sapevo che ero in grado di farcela”. Abdi si è svegliato ed era in cima. New York, New York…

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Maratona NEW YORK 2023

Con le guerre in corso stanno “saltando” i valori dell’Occidente

EDITORIALE
Giampaolo Cadalanu
3 novembre 2024

Trovo davvero sconfortante il dibattito su guerra e pace di questi mesi. Vedo solo dichiarazioni di principio, che hanno un significato di scelta di campo, e pochissime proposte che possano, se non far avanzare la situazione politica, almeno far maturare una coscienza collettiva.

Guerra a Gaza

Mi sembra soprattutto che sfugga a gran parte dei commentatori un punto: dopo questa catastrofe niente sarà più come prima. Gli equilibri mondiali, così come li abbiamo conosciuti, sono compromessi per sempre, in modo irrimediabile.

Valori dell’Occidente

C’è un punto di partenza nella nostra cultura, finora ben poco discusso, ed è la certezza che i valori dell’Occidente, radicati nell’Illuminismo, siano la nostra stella polare.

Da questi sosteniamo di voler partire, e verso la loro massima realizzazione vogliamo tendere, meglio se senza proporli come basi per uno scontro di civiltà o illuderci che siano il punto di arrivo dell’umanità nel suo complesso.

Crisi insormontabile

Ma lo scontro fra Russia e Ucraina e quello rinnovato fra Israele e i palestinesi (con gli alleati) hanno messo non più in dubbio ma in crisi insormontabile ogni possibile coerenza di questo orientamento.

Guerra Russia – Ucraina

Il confronto che vedo parte da presupposti incompatibili, non propone nessuno spazio per il compromesso, e dunque è totalmente inutile, anche per la formazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese.

Considerazioni storiche

C’è chi parte da considerazioni storiche, magari risale alla notte dei tempi per leggere un diritto, dell’uno o dell’altro. Questa terra appartiene a questo popolo perché… Ma i libri sacri di uno, le ricostruzioni storiche dell’altro, evidentemente non hanno valore universale, e tanto meno trovano spazi di condivisione.

Le letture sono in conflitto radicale, e pensare di far aderire una fazione alla visione dell’altra è illusorio, tanto più quando di mezzo ci sono convinzioni religiose e sfumature nazionaliste.

Obiettivi comuni

Non voglio dire che esaminare le radici di un conflitto sia inutile. Credo invece che sia indispensabile (e ovviamente anche io ho la mia lettura personale, che vale solo per me), ma sono anche fortemente convinto che i passi avanti possano essere fatti solo se si concorda su quali obiettivi comuni possano e dunque debbano essere raggiunti.

A questo punto, com’è ovvio, propongo quelli che ritengo alla portata della buona volontà: la fine delle stragi, l’apertura di tavoli di trattativa, il via libera senza condizioni agli aiuti umanitari, l’impegno a ricercare soluzioni politiche durature.

Punto irrinunciabile

Vorrei che fosse chiaro che per me il punto d’arrivo irrinunciabile è la salvezza delle vite umane. Su tutto il resto si può negoziare, ma se non c’è un’intesa su questo, allora mi viene da sospettare che dietro ogni decisione ci siano interessi non confessabili.

Vladimir Putin, presidente russo

Esco dal generico: la sopravvivenza politica di leader come Vladimir Putin, Volodimir Zelenskij, Benjamin Netanyahu.

Anche qui, come su altri temi, la bussola che propongo è quella del realismo: per chiunque abbia una visione “fredda”, non emotiva, è ben palese che solo molto di rado i governi (e i leader, soprattutto) agiscono nell’interesse esclusivo del popolo, mettendo da parte il proprio.

Contenitori rigidi

Propongo anche di ragionare senza pretendere di imporre contenitori rigidi alla realtà: dibattere su termini come “terrorismo” o “genocidio”, che se applicati o respinti imporrebbero conseguenze concrete, è solo un modo per non affrontare la realtà con un approccio di soluzione politica.

Basta guardare al passato per capire che il terrorista di uno è il combattente della libertà per l’altro. E non c’è nulla di più grottesco dei litigi sul concetto di genocidio, come i massacri fossero “accettabili” purché fuori da uno schema preordinato e proclamato.

Tecnologia digitale

Ma anche se si raggiungesse un primo accordo sugli obiettivi di cui parlo, mettendo per un momento da parte le convinzioni personali, anche se gli scontri diminuissero e le prospettive di pace si concretizzassero, il mondo non potrà mai più essere quello che era.

Tecnologia digitale

La tecnologia digitale ha permesso una velocità di trasferimento delle informazioni persino incomprensibile rispetto al passato. Proprio il confronto fra queste due guerre, che le notizie trasmesse in rete rende facile alla gran parte dell’umanità, ha già cambiato gli scenari e le prospettive globali.

Meccanismo attivato

I sondaggi lo rendono più che evidente: al di là dell’Occidente c’è un pianeta sdegnato, pronto ad agire collettivamente. In modo pacato, lento ma inarrestabile, questo meccanismo si è già attivato, con i BRICS ma non solo.

Le leadership dei cosiddetti Paesi sviluppati – che forse andrebbero chiamati solo Paesi ricchi – sono smarrite, si accorgono che il resto del mondo non ha più fiducia nei valori proclamati ma applicati solo in modo partigiano.

Il re è nudo

Il re si è ritrovato nudo. Il doppio standard adoperato fra Russia e Ucraina e fra Israele e palestinesi è ormai fin troppo chiaro. E così, insomma, le vittime non sono solo umane.

A rischiare la scomparsa sono le istituzioni internazionali basate sul consenso. L’ONU, le sue agenzie, la Corte penale internazionale, la Corte di giustizia: tutte hanno subito offensive sfrenate, tutte vengono considerate strumenti di parte, a volte in modo pretestuoso, a volte con critiche giustificate.

In pericolo è lo stesso concetto del multilateralismo. E se, come sembra, le possibilità di un allargamento di questi conflitti sono reali, i meccanismi di ricerca della pace potrebbero mancare quando ce n’è più bisogno.

Giampaolo Cadalanu
g.cadalanu@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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La guerra civile sta uccidendo il Sudan nell’assoluto silenzio del mondo

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
2 novembre 2024

In questi giorni una coalizione di gruppi della società civile sudanese e internazionale hanno lanciato un appello al mondo intero per proteggere la popolazione nell’ex protettorato anglo egiziano.

Sudan: violenze nello Stato di Gezira

Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, durante il suo intervento al Consiglio di sicurezza di lunedì scorso, non ha usato mezzi termini per descrivere la situazione catastrofica in Sudan: “La popolazione sta vivendo un incubo. Violenza, fame, fuga sono all’ordine del giorno, per non parlare di atrocità indescrivibili, come stupri diffusi”.

Niente caschi blu

Ma per il momento Guterres ha escluso l’invio di caschi blu, perché non sussistono le condizioni che una tale missione possa realmente proteggere la popolazione civile.

Milioni di civili in fuga

La guerra, iniziata il 15 aprile 2023,  tra i due generali  Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e il de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, ha costretto alla fuga milioni di persone.

Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), sarebbero ben oltre 14 milioni coloro che hanno lasciato le proprie case.

Tra questi 11 milioni sono sfollati, mentre 3,1 milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi. Solo nell’ultimo mese 200mila sudanesi sono fuggiti dalle proprie residenze  a causa dei combattimenti e delle incessanti violenze.

Intanto anche ieri sono morte 18 persone nello Stato di Gezira, dove le RSF stanno dando sfogo a tutta la loro rabbia dopo la defezione dell’ex comandante dei ribelli, di Abu Aqla Kikil, che a ottobre è passato nelle fila dell’esercito sudanese. L’ira dei paramilitari è incontenibile.

Nello Stato, una volta sotto controllo di Kikil, gli uomini di Hemetti stanno conducendo una campagna di vendetta. Hanno saccheggiato, ucciso civili che hanno posto resistenza e violentato donne e bambine”, ha dichiarato alla BBC Hala al-Karib, responsabile dell’Iniziativa strategica per le donne nel Corno d’Africa (SIHA).

Suicidio dopo stupri

L’associazione che ha documentato le violenze di genere sin dall’inizio della guerra, ha confermato che nell’ultima settimana a Gezira tre donne si sono suicidate, dopo essere state violentate dai paramilitari.

Suicidi dopo stupri in Sudan

Secondo la sorella di una delle donne che si è tolta la vita, come racconta SIHA, la congiunta è stata violentata di fronte al padre e al fratello. I due uomini sono poi stati brutalmente ammazzati.

La scia dei suicidi legata alla violenza di genere è probabilmente ben più lunga. Nell’ultimo rapporto di 80 pagine redatto da esperti dell’ONU sono stati documentate almeno 400 violenze sessuali dall’inizio del conflitto fino a luglio 2024. Ma si sospetta che la cifra reale sia molto più alta. “E’ sconcertante il numero degli stupri che abbiamo documentato in Sudan”, ha dichiarato  Mohamed Chande Othman, capo del gruppo di lavoro dell’ONU che ha redatto il rapporto.

Le vittime documentate dall’ONU avevano un’età compresa tra gli 8 e i 75 anni. Molte di loro avrebbero avuto necessità di cure mediche, ma la maggior parte degli ospedali e delle cliniche sono stati distrutti durante i combattimenti. Ma il portavoce delle RSF, Nizar Sayed Ahmed, ha negato tutte le accuse. “Sono false e prive di fondamenta”, ha riferito ai reporter della BBC.

Crisi umanitaria

Cindy McCain, direttrice di PAM (Programma Alimentare Mondiale), è stata recentemente a Port Sudan. “Il conflitto in Sudan ha scatenato la più grande crisi di fame al mondo. Ben 25 milioni di persone vivono in grave insicurezza alimentare e senza aiuti umanitari; migliaia di persone rischiano di morire di fame”, ha commentato alla fine del suo breve soggiorno.

Il Sudan è ora tra i primi quattro Paesi al mondo con la più alta incidenza di malnutrizione acuta globale.

Nuova milizia addestrata in Eritrea

E mentre continua l’agonia dei sudanesi, la guerra non conosce sosta. Recentemente è apparsa una nuova milizia nello Stato di Kassala, chiamata “Battaglione dell’Est”.

Kassala, nell’est del Sudan, al confine con l’Eritrea

Gli uomini di questo contingente sono stati addestrati in Eritrea ed il loro comandante è il generale Amine Daoud Mahmoud. La nuova formazione, che coopera con i militari governativi, ha il compito di proteggere la parte orientale del Sudan.

L’apparizione di queste truppe ha suscitato qualche perplessità per il coinvolgimento di nuove fazioni armate nel conflitto. L’esercito sudanese ha il sostegno del dittatore eritreo Isaias Afworki, guerrafondaio da sempre, che recentemente ha dichiarato alla stampa: “Solo l’esercito può ricostruire il Sudan”.

Mosca appoggia Khartoum

E infine ha davvero incuriosito una notizia trapelata una decina di giorni fa. Il 21 ottobre è stato abbattuto un aereo ad Al Malha, che dista 120 chilometri da El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale. Si tratta di un cargo Ilushin IL 76, di fabbricazione russa, gestito da una società di Dubai (Emirati Arabi Uniti), la New Way Cargo e immatricolato in Kirghizistan. Ma le autorità competenti del Paese hanno riferito alla Reuters che dallo scorso gennaio l’aeroplano risulta essere registrato in Sudan. La società emiratina aveva  fornito armamenti alle  RSF attraverso il Ciad.

Ilushin IL 76 abbattuto in Darfur

Ma da gennaio 2023 l’aereo è atterrato più volte a Port Sudan, dove si trova attualmente il quartier generale dell’esercito sudanese. A bordo sembra che ci fossero due persone di nazionalità russa e tre militari sudanesi. Un dispaccio di Reuters del 24 ottobre, ha segnalato che il velivolo viene ora utilizzato per effettuare lanci aerei di armi, munizioni e provviste ad Al Fashir, dove l’esercito, insieme a ex gruppi ribelli alleati con SAF stanno cercando da mesi di respingere gli attacchi della RSF.

Secondo un capo locale delle RSF, in base a alcuni documenti recuperati, uno dei russi a bordo dell’Ilushin IL 76 era Victor Granov, un uomo d’affari residente in Sudafrica e già associato a Victor Bout. Bout è il trafficante di armi russo, che riforniva in Africa un po’ tutti, ribelli e governi. Fu arrestato in Thailandia e estradato negli Stati Uniti. L’8 dicembre 2022 fu scambiato con la cestista americana Brittney Griner che era stata arrestata in Russia.

Insomma Mosca e i paramilitari di Wagner non appoggiano più i ribelli sudanesi, bensì le autorità di Khartoum. Un’affermazione in tal senso è stata fatta anche dal rappresentante permanente della Federazione russa al Palazzo di Vetro, Vasilij Alekseevič Nebenzja, durante l’ultimo Consiglio di sicurezza.

La Russia e la società Wagner hanno avuto legami con le RSF in passato. Ma recentemente, Mosca si è ristabilita come partner diplomatico del governo militare sudanese e come fornitore di munizioni e armi. Nebenzya ha poi specificato: “Crediamo che il Consiglio supremo (cioè la presidenza della Repubblica, ndr) sia la più alta autorità statale legittima in Sudan. Siamo a favore dell’unità, dell’integrità territoriale e della sovranità del Sudan”.

In guerra succede davvero di tutto. Anche le alleanze possono cambiare.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Elicotteri italiani a Israele: ormai siamo complici nel genocidio a Gaza

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
1° novembre 2024

Non solo “ricambi e assistenza tecnica da remoto” per i 30 caccia addestratori M-346 venduti ad Israele nel 2012 ma anche i primi velivoli Agusta Westland “Koala-Ofer” per formare i piloti degli elicotteri da guerra della Israeli Air Force.

“Koala-Ofer” di Leonardo

La holding italiana Leonardo SpA continua a trasferire sistemi bellici alle forze armate di Tel Aviv impegnate nelle operazioni di sterminio della popolazione di Gaza e di bombardamento in Libano, Siria, Yemen e Iran.

Prima consegne

Nelle scorse settimane i manager di Leonardo avevano ammesso ai giornalisti di Altreconomia che nel corso dell’ultimo anno avevano garantito il “supporto logistico” alla flotta dei caccia impiegati per l’addestramento dei top gun israeliani, fatturando 7 milioni di euro circa.

Oggi scopriamo che gli stabilimenti della controllata Leonardo Helicopters, negli Stati Uniti d’America, hanno avviato la consegna degli elicotteri AW119Kx alla Flight Training School “Vihiys Latisah” dell’Aeronautica militare israeliana, ospitata nella base aerea di Hatzerim, nel deserto del Negev.

Annuncio mattutino

Benvenuto Ofer! Con particolare enfasi, il Comando della Israeli Air Force annunciava la mattina del 26 maggio 2024 sul proprio profilo Facebook l’avvio delle operazioni di addestramento dei piloti a bordo dell’elicottero prodotto da Leonardo.

“Il primo volo dell’elicottero Ofer (AW119KX) che è stato ricevuto dalla Scuola di volo – ha scritto – è avvenuto oggi (domenica). L’elicottero sostituirà gradualmente il modello Saifan (Bell-206) come elicottero da addestramento nella fase elicotteri di base”.

“I cadetti della Scuola di volo voleranno a bordo dell’Ofer prima di passare alle attività addestrative sugli elicotteri Yanshuf (UH-60 Black Hawk) nella fase successiva del corso”, aggiungeva la Israeli Air Force.

“Le maggiori capacità del nuovo elicottero – concludeva permetteranno un addestramento più avanzato come preparazione per gli elicotteri che voleranno negli squadroni operativi”.

Foto nell’hangar

In aggiunta al post, i militari israeliani pubblicavano alcune foto del velivolo in volo di addestramento e in sosta presso l’hangar della base aerea di Hatzerim.

Va detto che sempre il 26 maggio gli organi di stampa italiani specializzati nel settore difesa avevano riportato la notizia che “la prima sortita” dell’aeromobile era avvenuta nei cieli di Filadelfia (Pennsylvania), dopo il decollo dallo stabilimento di Leonardo Helicopters che ne aveva curato l’assemblaggio.

Un’inesattezza, dunque: il primo “Koala-Ofer” era in dotazione da giorni all’Accademia di volo israeliana.

Battesimo operativo

Un lungo reportage di Helis.com (website specializzato sul mercato internazionale degli elicotteri civili e militari), pubblicato proprio il 26 maggio 2024, fornisce ulteriori particolari sul “battesimo” operativo in Israele del velivolo di Leonardo.

“Il nuovo elicottero di addestramento della Israel Air Force, l’AW119Kx prodotto da Leonardo, ha completato il suo primo volo nel Paese”, esordiva Helis.com.

Poi continuava: “Stamani l’elicottero ‘Oferì, selezionato nel 2019 in una competizione che vedeva presenti l’Airbus H125 ed il Bell 407, è decollato per la prima volta per volare nei cieli di Israele”.

Quindi spiegava. “Un pilota israeliano in forza al Flight Test Center, insieme ad un pilota statunitense, sono decollati a bordo dell’“Ofer” per testare le sue capacità di futuro elicottero di addestramento”.

Entusiastico commento

L’evento era commentato con entusiasmo dal generale Gilad Bar-Tal, comandante del gruppo elicotteri della base di Hatzerim: “E’ l’inizio di una nuova era che darà ai cadetti dei corsi piloti un’esperienza di volo del tutto differente e si aprirà un nuovo mondo nell’addestramento e nella formazione dell’Aeronautica militare”, dichiarava il generale.

“Si realizzerà una transizione dalle attività addestrative sugli elicotteri degli anni Settanta a quelle innovative che influenzeranno l’intera percezione del mondo in termini di training, avionica e strumentazione. Questo giorno segna per noi un salto tecnologico, e non abbiamo dubbi che saranno formati piloti ancora migliori in futuro”, concludeva poi.

Tre differenti test

Significativo anche il commento del vicecomandante del team costruzioni dell’Israeli Air Force. “Negli ultimi anni, l’Aeronautica ha testato tre differenti modelli grazie ad ufficiali esperti e a piloti di droni, valutandone le qualità tecniche, la sostenibilità per le missioni addestrative, il livello di sicurezza e la compatibilità con gli elicotteri impiegati operativamente”, dichiarava l’ufficiale.

E poi  ancora: “Dopo un lavoro in profondità sul campo e a livello di comandi, abbiamo verificato che l’elicottero Ofer è il più adatto per gli stage iniziali di formazione piloti”.

“Uno dei principali obiettivi del nuovo elicottero è quello di accrescere incisivamente l’apprendimento professionale dei futuri piloti, in modo da consentire loro di fronteggiare diversi scenari”, commentava il generale Gilad Bar-Tal.

“L’addestramento sarà ancora più in profondità e rilevante per le sfide presenti e future che grazie all’Ofer, quelle tecniche si ridurranno, e così gli equipaggi aerei saranno in grado di svolgere nel migliore dei modi le loro principali missioni, come ad esempio quella di salvare i feriti e assistere le nostre forze sul terreno”, concludeva.

Elogi per Koala-Ofer

Il 15 luglio 2024 è stato l’ufficio stampa di una delle principali aziende del complesso militare-industriale israeliano, Elbit Systems Ltd., a spiegare i vantaggi addestrativi e qualitativi del nuovo velivolo di Leonardo.

Un team di Elbit Systems Ltd. davanti all’elicottero prodotto dall’azienda italiana

“Fuori da un hangar, con il ronzio dei macchinari e l’annuncio di una nuova era, il primo elicottero Ofer atterra”, riporta enfatico il gruppo bellico.

“La sua eleganza, il design moderno, sono in netto contrasto con i vecchi elicotteri Bell-206 “Saifan” che saranno sostituiti – sembra di stare a n concorso di bellezza -. Mentre il veterano velivolo continuerà ad operare accanto alla nuova generazione di elicotteri per almeno un anno ancora, l’eccitazione degli esperti piloti e dei giovani cadetti è palpabile, poiché tutti sono ansiosi di imbarcarsi su questo nuovo capitolo della leggendaria storia della Israeli Air Force”.

Vantaggi significativi

“Eliezer (Ezer) Katabi – prosegue la nota – è il presidente del consiglio di amministrazione di Snunit Aviation Services, una società controllata da Elbit, che ha operato nelle attività di manutenzione della flotta dei velivoli Saifan per l’Accademia di Volo dell’Aeronautica militare negli ultimi 20 anni. Snunit continuerà a farlo ancora nei prossimi anni con gli elicotteri acquistati e di proprietà del ministero della Difesa israeliano”.

“Il nuovo elicottero Ofer dell’italiana Leonardo (AW119KX), garantirà significativi vantaggi tecnologici rispetto agli odierni Saifan helicopters”, certifica Elbit Systems. “L’elicottero è anche più confortevole in volo e con un sistema avionico più avanzato; inoltre è predisposto particolarmente per le operazioni notturne”.

Registrazione digitale

“Oltre al suo sofisticato telaio, esso si caratterizza per alcuni sistemi israeliani, incluse le tecnologie di navigazione e comunicazione e i sistemi di alta qualità di registrazione digitale ed analisi dei dati. Per l’Ofer è stato sviluppatopure un simulatore terrestre che consente ai piloti di raffinare le proprie competenze in un ambiente controllato che riproduce gli scenari della vita reale. Il simulatore è gestito da una differente unità di Elbit Systems e gioca un ruolo cruciale nei programmi di addestramento comprensivo dei nuovi piloti”.

Accordo Difesa Israele – Leonardo SpA

Nel suo comunicato del 15 luglio 2024, l’azienda israeliana aggiunge che l’accordo sottoscritto da Leonardo SpA con il ministero della Difesa di Tel Aviv prevede la consegna di 12 elicotteri, con l’opzione di altri quattro.

“Alla data odierna il primo dei 12 elicotteri è stato ricevuto, con l’infrastruttura logistica a posto”, spiegano i manager di Elbit Systems. “Noi lo abbiamo ricevuto tre settimane fa, e abbiamo completato successivamente i suoi voli iniziali con un pilota da test di Leonardo ed uno israeliano. Un altro elicottero è in arrivo a breve”.

Presenza di personale dell’azienda italiana nella base aerea del Negev e perlomeno due elicotteri operativi alla data odierna, dunque.

Differenti missioni

Gli Agusta Westland AW119Kx “Koala-Ofer sono elicotteri impiegati in ambito militare per differenti missioni: dall’addestramento e la formazione dei piloti dei velivoli d’attacco, al trasporto VIP, ai servizi di assistenza medica e SAR (ricerca e soccorso), alla vigilanza e sicurezza, ecc.. Equipaggiati con un motore a turbina Pratt & Whitney PT6B-37A (potenza 747 kW), i velivoli possono raggiungere una velocità massima di 267 km/h(volando sino a 3.352 metri dal suolo), ed un’autonomia di 954 km o 5 ore e 20 minuti.

“L’AW119 è il miglior elicottero monomotore multiruolo disponibile oggi nella sua categoria e il suo successo è cresciuto in maniera significativa in anni recenti sul mercato mondiale della difesa”, enfatizza il management di Leonardo. “Dotato di grande versatilità, questo modello offre prestazioni senza confronti con elevati margini di potenza e la cabina più ampia nella sua categoria, in grado di ospitare fino a sei passeggeri in base alla configurazione”.

Contratto di fornitura

La decisione di acquistare un nuovo velivolo per l’addestramento dei piloti di elicotteri da guerra è stata assunta dalle forze armate di Tel Aviv nei primi mesi del 2018.

Il contratto per la fornitura del modello AW119Kx è stato firmato da Leonardo Helicopters nel dicembre del 2019 con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, nell’ambito della Foreign Military Sale (FMS), il programma di assistenza alla sicurezza del governo USA per l’acquisto di armi da parte dei Paesi partner.

L’accordo prevedeva inizialmente la consegna di sette elicotteri AW119Kx, unitamente a un pacchetto di servizi, attività addestrative, simulatori di volo e altri equipaggiamenti, con il supporto tecnico per venti anni. Il valore complessivo della commessa era di 38 milioni di dollari circa.

Cinque velivoli

Nel settembre 2020 il gruppo italiano e le forze armate israeliane avviarono una trattativa per la fornitura di altri cinque elicotteri, congiuntamente alla consegna da parte di Elbit Systems di due simulatori per la Scuola di Volo di Hatzerim.

Il 6 aprile 2022 veniva sottoscritto un nuovo contratto tra la divisione statunitense di Leonardo Helicopters e l’US Army Contracting Command, portando a 12 il numero di elicotteri AW119Kx da consegnare ad Israele ed un incremento del valore della commessa di 29,24 milioni di dollari.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Gli israeliani mattatori alla fiera delle armi tecnologiche a Roma

Quando Il Foglio si fa portavoce della propaganda Israeliana

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 29 ottobre 2024

Il 24 ottobre il Foglio ha pubblicato un articolo che, purtroppo, attingendo a piene mani dalla propaganda israeliana, mira a bollare come falso e tendenzioso un pezzo che Federica d’Alessio, redattrice di MicroMega, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook.

Violenze 7 ottobre in Israele

In quel suo post la d’Alessio rivolge la sua indignazione al mondo femminista, responsabile a suo dire di un clamoroso doppio standard: continuare a ripetere in modo vittimistico la propaganda sugli stupri riguardo al 7 ottobre e nello stesso tempo ignorare le sofferenze che stanno subendo decine di migliaia di bambini e donne colpiti dalle bombe e anche i tanti uomini vittime di stupro nelle prigioni israeliane.

Diceva Totò

“L’ignoranza è una patologia che colpisce molte persone. I sintomi sono: la cattiveria, la presunzione, l’invidia e la cattiva educazione”, diceva Totò. E a leggere l’articolo pubblicato dal Foglio le persone perbene, quelle che sanno e s’informano da fonti più diverse senza essere facilmente catturate dalla propaganda, ricordando Totò, non possono che scoppiare a ridere a crepapelle.

Nell’articolo del Foglio, non giornale di informazione ma strumento di lotta politica, viene ancora una volta riproposta la narrazione sugli stupri di massa accaduti quel maledetto 7 ottobre 2023, con l’accusa alla d’Alessio di non aver capito il resoconto di quel disumano attacco e di averlo voluto contestare.

Violenze generalizzate

La storia delle violenze generalizzate di quel giorno è stata raccontata con una certa enfasi dal New York Times con un reportage da Israele pubblicato nella sua edizione del 27 dicembre successivo all’orrendo massacro perpetrato da Hamas contro civili (non tutti, però. Sono stati attaccati anche militari israeliani).

Il reportage del Times è stato ripreso da diversi siti sionisti che l’hanno rilanciato urbi et orbi, senza verificarne l’attendibilità.

Informarsi meglio

Se l’autrice dell’articolo del Foglio si fosse informata da altre fonti, non acriticamente sioniste, avrebbe scoperto che quella narrazione è stata contestata pesantemente e puntualmente perché falsa. Noi di Africa ExPress abbiamo pubblicato diversi articoli che analizzano in profondità il reportage del New York Times.

Federica D’Alessio durante un Convegno sulla violenza istituzionale contro madri e bambini, ottobre 2023

Li linkiamo qui sotto – assieme al testo del reportage dei NYT – affinché l’autrice dell’articolo del Foglio, donna d’onore (parafrasiamo Shakespeare) e di cultura giacché professoressa all’Università di Torino, possa prenderne visone, possa informarsi e quindi possa aggiornare la sua posizione sulla questione.

Parafrasando Luigi Einaudi (“Conoscere per deliberare”) noi le suggeriamo “Conoscere per giudicare”, ribaltando l’accusa che lei fa alla d’Alessio: “Se avessi aperto gli occhi avresti capito”.

Il testimone Raz Cohen

Per esempio, la professoressa che firma il pezzo sul Foglio scrive:” Significativa è anche la testimonianza di Raz Cohen e Shoham Gueta, sopravvissuti perché nascosti lungo un tratto di autostrada”.

Dan Gertler

Come Africa ExPress ha scritto, il 7 ottobre Raz Cohen non si trovava in Israele e neppure in Palestina, ma in Congo-K impegnato, ad addestrare militari locali (e mercenari non locali) per difendere le concessioni minerarie del magnate israeliano, amico del premier Netanyahu, Dan Gertler.

Raz Cohen, rientrato in Israele subito dopo l’eccidio, quindi non si può essere nascosto durante l’attacco di Hamas, semplicemente perché, non avendo il dono dell’ubiquità, non c’era. Invece viene paradossalmente citato dal reportage del New York Times come uno dei pochi testimoni oculari. Tutti gli altri raccontano gli stupri per sentito dire.

Opinioni e notizie

Quel reportage del prestigioso quotidiano americano è stato contestato anche da siti statunitensi per il metodo giornalistico con cui è stato scritto, con una certa sciatteria. Inoltre mescola opinioni con notizie, in modo tale da fare apparire le interpretazioni soggettive come informazioni indipendenti.

Un sistema informativo che il mio direttore maestro di giornalismo, Piero Ottone, condannava con forza: “Le notizie devono essere separate dalle opinioni”, mi ha insegnato.

Bellicosa autrice

La bellicosa autrice del pezzo stampato dal Foglio cita anche le testimonianze dei volontari dell’organizzazione ultraortodossa Zaka, che si occupa di identificazione dei cadaveri.

Si scorda però di ricordare che il suo fondatore, Yehuda Meshi-Zahav, fu accusato di violenze sessuali e pedofilia, fu costretto a dimettersi e restituire l’Israel Prize , la più alta onorificenza del Paese.

Yehuda Meshi-Zahav, fondatore di ZAKA, morto per le conseguenze di un tentativo di suicidio il 29.06.2022

Ma non solo. Il quotidiano israeliano Haaretz, nella sua edizione in inglese, poco dopo il vile attacco di Hamas indagando sull’attivismo di Zaka, ha pubblicato un rapporto pesante nel quale sostiene che per ottenere visibilità mediatica e per assicurarsi finanziamenti (ha raccolto ben 13,7 milioni di dollari), l’organizzazione ha diffuso resoconti di atrocità mai avvenute e ha pubblicato foto delicate e descrizioni grafiche nel tentativo di scioccare le persone e indurle a donare.

Accuse di negligenza

L’inchiesta di Haaretz ha accusato Zaka di “negligenza, disinformazione e una campagna di raccolta fondi che ha usato i morti come oggetti di scena”.

Il rapporto del quotidiano israeliano sostiene anche che, mentre centinaia di volontari dello Zaka hanno svolto un lavoro importante in condizioni difficili, l’organizzazione ha agito in modo non professionale sul campo, spesso confondendo i resti di più vittime nello stesso sacco e creando poca o nessuna documentazione.

Bastava internet

Inoltre che credibilità può avere un’organizzazione come Zaka che lavora con il ministero degli Esteri, con l’esercito e con altri dipartimenti del governo israeliano?

L’autrice dell’articolo avrebbe potuto fare delle ricerche per sapere cos’è questa organizzazione: bastava cercare su internet.

Guerra da vicino

Ed ha quindi ragione la d’Alessio quando nel suo post sottolinea e scrive che non ci sono testimonianze dirette.

L’autrice professoressa di Torino, inoltre, non deve mai aver visto una guerra da vicino, perché mostra di non conoscere i comportamenti che miliziani e terroristi tengono durante assalti come quello odioso del 7 ottobre.

Obiettivo della narrazione

Lei crede veramente che durante la concitazione del momento un miliziano in action abbia il tempo (e la voglia) di violentare una donna, tagliarle il seno o seviziarla pesantemente? No, semplicemente prende un fucile e l’ammazza.

Non escludo che qualcuno abbia compiuti atti di violenza sessuale ma dubito fortemente che siano stati commessi stupri generalizzati come sostiene la propaganda israeliana e maliziosamente l’autrice dell’articolo.

Aspetto grave

L’obiettivo di questa narrazione è quello di presentare i palestinesi come animali che non possono quindi avere quel rispetto riservato agli esseri umani.

Ma l’aspetto più grave di quell’articolo è che fomenta un sentimento ripugnante e insopportabile: l’antisemitismo. Quando si pretende di equiparare le critiche alla violenta politica sionista israeliana a quelle di tutti gli ebrei (e quindi identificare l’antisionismo con l’antisemitismo) si commette un errore grossolano che può avere effetti devastanti.

Giustificare il genocidio

La falsa narrazione degli stupri di massa presentata come ben orchestrata e organizzata da Hamas ha l’esatto compito di giustificare il genocidio dei palestinesi.

Ma è proprio la giustificazione impropria e a tutti costi di quel genocidio che sta provocando rigurgiti antisemiti che devono essere combattuti con forza.

Secondo questa interpretazione, chi non condivide il diritto di Israele di difendersi anche sterminando i palestinesi è contro Israele è perciò contro gli ebrei e quindi antisemita. Niente di più falso.

Abbastanza stucchevole 

Ma l’autrice dell’articolo del Foglio già in passato ha dimostrato di condividere il pensiero di chi vuol considerare sinonimi antisionismo e antisemitismo, quando durante un’intervista ha sfacciatamente dichiarato: “Sono sempre stata convinta del fatto che, alla base di tutto l’antisemitismo (definirlo antisionismo mi sembra abbastanza stucchevole) che sta rimettendo radici nel mondo, ci sia una grande ignoranza”.

Abbastanza stucchevole? Cioè la critica a una politica è “abbastanza stucchevole” e viene equiparata a un comportamento razzista? Il ricordo di quanto diceva Totò ci fa rispondere con una sonora risata.

Sono queste affermazioni che provocano i rigurgiti di antisemitismo. Rigurgiti che vanno combattuti con convinzione soprattutto analizzando con animo sereno e scevro da tifoserie calcistiche ciò che accade a Gaza.

I massacri di Gaza

Invece il pezzo del Foglio non dice una parola sui massacri a Gaza, sull’illegale invasione del Libano, sui bombardamenti contro le popolazioni civili. E chi tace solitamente acconsente.

Ed è questo il senso che io ho letto nel pezzo di Federica d’Alessio che voleva semplicemente mettere l’accento sulla narrazione falsa e tendenziosa della propaganda israeliana riguardo alla vicenda degli stupri, senza negare affatto “l’orrore realmente accaduto” il 7 ottobre, come c’è scritto chiaramente nel suo post.

Reazione scomposta

Infatti, quell’articolo ha provocato la reazione scomposta delle comunità sioniste che a loro volta, curiosa coincidenza, hanno sollecitato l’articolo sul Foglio.

Per noi giornalisti è assai difficile in guerra districarsi tra verità e fake news. Le notizie anche quelle provenienti dalla propaganda palestinese, vanno valutate con accuratezza e serenità, non con i toni accesi da curva sud come quelli dell’autrice del Foglio. Il tifo non fa bene alla pace.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmailcom
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Questo il pezzo di Federica d’Alessio
pubblicato sulla sua pagina Facebook

Continuare a frignare sugli stupri immaginari del 7 ottobre – non c’è una sola vittima che si sia fatta avanti dicendo di essere stata stuprata, c’è solo un racconto senza prove, senza testimonianze, senza persone reali, senza nient’altro che una fiction già pronta il giorno stesso, da mandare per veline nei desk dei giornali proni alla propaganda e poi ripetuta a pappagallo per un anno intero da tutti i politici e le politiche che dovevano giustificare il loro filoisraelismo genocidario, nonostante fosse stata smentita dalle stesse tizie che se l’erano inventata – da parte di sedicenti femministe, ha lo stesso statuto morale degli MRA che frignano una continuazione su una violenza delle donne che non esiste.

Inventarsi una condizione di vittima che non è stata nella realtà, ma che ha un potenziale drammatico e narrativo altissimo (per questo non era sufficiente l’orrore realmente accaduto quel giorno), per continuare a incentrare tutto il discorso su di sé e rifiutarsi, con una legittimazione morale autoattribuita, di riconoscere il male che si sta infliggendo ad altre persone. Questo mentre in Palestina e in Libano i bambini, i figli di quelle donne che tanto rivendicano il sacro potere della maternità, stanno vivendo l’inferno in terra, resi orfani, mutilati, ammazzati, traumatizzati per sempre.

Io sono disgustata da queste persone. Profondamente, irrimediabilmente disgustata. E trovo insopportabile l’idea di condividere con loro non soltanto una qualsiasi battaglia, ma la presenza in uno stesso spazio.

E questo l’articolo pubblicato
dal Foglio il 24 ottobre ’24

Negazionisti del 7/10

C’è ancora chi spaccia per fake news gli stupri di Hamas. Basterebbe aprire gli occhi Alcuni giorni fa Federica D’Alessio, giornalista e redattrice di MicroMega, su Facebook ha scritto un post dal titolo “Continuare a frignare sugli stupri immaginari del 7 ottobre” in cui afferma che “non c’è una sola vittima che si sia fatta avanti dicendo di essere stata stuprata, c’è solo un racconto senza prove, senza testimonianze, senza persone reali”.

IL FOGLIO CONTRO D’ALESSIO

Occorre coraggio, tanto, a negare l’evidenza. E questo nonostante Amit Sosna – una donna rapita da Hamas e poi liberata nel corso delle prime trattative – si fosse fatta forza e avesse parlato delle violenze che aveva subìto nei suoi giorni da ostaggio. Ma non tutte le donne israeliane violentate sono rimaste in vita per poter denunciare. Nel kibbutz Be’eri sono state raccolte diverse testimonianze riguardanti i corpi di donne e ragazze violentate, denudate, con segni di sperma sul corpo e coltelli conficcati nei genitali. Sono sufficienti? Si vogliono i nomi dei testimoni? Uno di questi è Chaim Otmazgin, comandante di Zaka (squadre che si occupano dell’identificazione e del recupero di vittime del terrorismo), che ha parlato di corpi nudi di donne con oggetti che li avevano penetrati.

O Noam Mark, che ha fornito alla polizia la sua testimonianza e un video a sostegno delle sue parole, dopo aver rinvenuto corpi nudi con evidenti segni di violenza. Significativa è anche la testimonianza di Raz Cohen e Shoham Gueta, sopravvissuti perché nascosti lungo un tratto di autostrada. Hanno raccontato di aver visto i terroristi violentare una ragazza nuda e pugnalarla più volte, letteralmente massacrandola: “La ragazza non si muoveva più, ma il terrorista continuava a violentarla”. Shari Mendes, che ha avuto il compito di identificare i corpi femminili, ha riferito che gli atti di stupro sono stati diretti nei confronti di donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane e sono stati così brutali da portare in molti casi alla frattura delle ossa pelviche. Molti degli stupri, secondo i testimoni, sono stati stupri di gruppo. Itzik Itach, un volontario di Zaka, ha descritto una coppia, uomo e donna trovati legati l’uno all’altra, nudi, con evidenti segni di stupro sul corpo della donna.

Che dire, poi, delle testimonianze offerte dai pochi ostaggi liberati? Dalle loro parole si evince come donne, ragazze e ragazzi prigionieri a Gaza, siano stati abusati costantemente. Chen e Agam Goldestein, madre e figlia, hanno raccontato di aver conosciuto almeno tre donne ostaggio vittime di violenza sessuale durante la prigionia. Stessa testimonianza è stata offerta da Aviva Sigal, che ha aggiunto che i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in burattini per il loro divertimento.

 

Le squadre mediche, che hanno curato gli ostaggi liberati dalla prigionia, hanno testimoniato che anche gli uomini erano stati violentati e mutilati dei genitali. Ancora Chaim Otmazgin racconta del corpo di un uomo, al Nova Festival, denudato e incatenato. I terroristi hanno anche cercato di bruciarlo.

Quando si cercano prove, se le si cercano davvero, perché non affidarsi ai video girati dagli stessi terroristi? In uno di questi si vede una donna morta al festival, nuda dalla vita in giù, con le gambe divaricate e il corpo parzialmente bruciato. Un’altra immagine, diffusa dai terroristi, mostra il corpo di una ragazza, anche lei nuda dalla vita in giù, appesa a un albero per una gamba sul luogo del Nova Festival.

Che i nostri negazionisti non abbiano mai visto il video, diffuso da Hamas, della giovane donna rapita e trasportata a Gaza, sul retro di una jeep, con le mani legate dietro la schiena e una grande macchia di sangue tra le cosce? E il video di Shani Louk? Anche questo è stato girato e diffuso da Hamas! Si vede la ragazza, quasi completamente nuda e priva di sensi, con le gambe spezzate, che viene fatta sfilare sul retro di un pick-up per le strade di Gaza, mentre la folla applaude e i bimbi le sputano addosso.

Sui social è poi girato un altro video, particolarmente raccapricciante, registrato dai terroristi intenti a torturare una donna incinta. Mentre è ancora viva – ci dice la dott.ssa Cohav Elkayam Levy della Scuola di Medicina di Harvard – legata e imbavagliata, le aprono il ventre, estraggono il feto, lo pugnalano e poi, mentre la picchiano, le tagliano il seno. Afferma il terrorista Manar Muhammad Qassem, durante un interrogatorio: “Il diavolo è entrato in me e l’ho violentata”.

Già, il diavolo. Di quali altre testimonianze sentono la necessità i negazionisti di oggi? Shirel Golan non potrà più testimoniare: come altre decine di sopravvissuti non ha retto al trauma e si è suicidata a soli 22 anni. Proprio come fecero molti sopravvissuti alla Shoah. Ma come spiegare l’evidenza e l’orrore a chi copre i suoi occhi e offusca la sua mente con la benda del pregiudizio? La storia vorrebbe ripetersi, non ci riuscirà.

Daniela Santus

Stupri e violenze sulle donne: anche il New York Times cade nella trappola della propaganda

‘Screams Without Words’: How Hamas Weaponized Sexual Violence on Oct. 7

Dossier Gaza/1 – La guerra si combatte tra tanta propaganda e poca informazione

Dossier Gaza/2 – La montatura mediatica degli stupri di Hamas nei kibutz ha giustificato 30 mila morti

Dossier Gaza/3a – “Tra incudine e martello”: la storia del racconto del New York Times sugli stupri di massa

Dossier Gaza/3b – “Tra incudine e martello”. Le news inaccurate nell’articolo del NYT sugli stupri di massa

Dossier Gaza/3c – “Tra incudine e martello”. Le notizie smentite dell’articolo del NYT sugli stupri di massa

Dossier Gaza/3d – “Tra incudine e martello”. Incongruenze e contraddizioni di testimone citato dal New York Times

Dossier Gaza/3e – “Tra incudine e martello”. Le pressioni israeliane sugli autori dell’articolo del New York Times

Dossier Gaza/4a – Israele finanzia la guerra con le miniere del Congo in mano a un sionista, protetto da Netanyahu

Dossier Gaza/4b – Miniere e guerra: i rapporti inquietanti che legano Israele al Congo-K

Massacro firmato dai nigeriani di Boko Haram sul lago Ciad: uccisi 40 soldati di N’Djamena

Africa ExPress
29 ottobre 2024

Il gruppo armato Boko Haram non demorde, i terroristi nigeriani sono sempre attivi e più feroci che mai. Durante il fine settimana hanno attaccato una base militare ciadiana a Barkaram, un’isola sul lago Ciad, a ovest di Ngouboua, al confine con la Nigeria, uccidendo almeno 40 soldati, altri venti sono stati feriti.

I sanguinari guerriglieri islamici Boko Haram,

Lanciata controffensiva

Ieri mattina all’alba il presidente dell’ex colonia francese, Mahamat Idriss Déby Itno, si è recato sul luogo della strage per dare il via all’operazione Haskanite, una controffensiva volta a rintracciare i sanguinari terroristi.

Secondo quanto riportato da fonti locali citate dall’agenzia France Presse, nella serata di domenica i miliziani hanno attaccato una guarnigione di oltre 200 soldati, prendendo il controllo dell’avamposto militare. I terroristi si sono impossessati di armi e munizioni e, prima di fuggire, hanno incendiato tutti veicoli dotati di armi pesanti.

Sostegno internazionale

Il regime di N’Djamena ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Intanto si susseguono messaggi di cordoglio dal mondo intero. E questa mattina il presidente ciadiano ha lanciato un appello alla comunità internazionale perché intensifichi il sostegno e aiuto nella lotta contro il terrorismo.

Recentemente il capo di Stato ha licenziato alcuni alti ufficiali dell’esercito e ne ha nominati altri. Questo perché alcuni quadri militari erano in netta opposizione con il regime per quanto riguarda la sua posizione nella guerra in Sudan.

Le autorità di N’Djamena sono state accusate di sostenere le RFS (Rapid Support Forces gli ex janjaweed) e aver favorito la consegna a loro di armi provenienti dagli Emirati Arabi Uniti.

Dall’aprile 2023 le RFS, capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, combattono contro le forze armate sudanesi (SAF) di Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, il de facto presidente e capo dell’esercito, guerra che ha causato migliaia di morti e milioni di sfollati e profughi, molti dei quali si sono rifugiati nel vicino Ciad.

Nel 2020 Boko Haram aveva compiuto una carneficina in Ciad, uccidendo un centinaio di persone sulla penisola di Bohoma (Lago Ciad). Allora Idriss Déby Itno, padre dell’attuale presidente, aveva lanciato un’offensiva senza precedenti, chiamata “colère de Bohoma”, volta a dare la caccia ai terroristi.

Intervento fallito

E solo poche settimane fa è terminata l’operazione Lake Sanity di MNJTF (Multinational Joint Task Force, della quale fanno parte le forze armate della Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin, organizzata per combattere i terroristi Boko Haram e dell’ISWAP (Stato islamico della Provincia dell’Africa Occidentale) nel bacino del Lago Ciad.

Bacino del Lago Ciad

L’operazione non ha ovviamente raggiunto gli effetti desiderati, visto che le aggressioni dei sanguinari gruppi armati continuano senza sosta in tutta la regione, saccheggiando agricoltori e pescatori.

Il bacino del Lago Ciad, situato nella parte centro-settentrionale dell’Africa sui confini di Nigeria, Niger, Ciad e Camerun è abitato da quasi 30 milioni di persone, tra questi oltre 5 milioni sono sfollati o rifugiati in fuga dai sanguinari terroristi Boko Haram di matrice jihadista e dei loro cugini di ISWAP, affiliati allo stato islamico, che nel 2016 si sono separati dal gruppo originale.

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Ciad: armi da EAU verso Sudan

Mistero sulla morte dell’addetto militare ungherese in Ciad

Tra Libia e Nigeria scoppia la guerra del pallone

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
28 ottobre 2024

“La partita N.87 Libia v. Nigeria delle qualificazioni alla Coppa d’Africa TotalEnergies CAF 2025 (era prevista per il 15 ottobre 2024 a Bengasi), viene dichiarata persa per forfait della Libia con il punteggio di 3-0.

La Federcalcio libica è condannata a pagare una multa di 50.000 dollari. L’ammenda deve essere pagata entro 60 giorni dalla notifica della presente decisione”.

CAF sanziona Libia

Conflitto aperto

Questo il secco verdetto emesso sabato 26 ottobre dalla Confederazione Africana Calcio (CAF), presieduta da Patrice Motsepe, 62 anni, sudafricano.

La sentenza calcistica doveva porre fine a incertezze, dubbi, accuse incrociate, tentativi di accomodamento. È stata, invece, l’inizio di un conflitto che va al di là della partita di pallone.

Ebbene sì, la Libia ha dichiarato guerra alla Nigeria. Un Paese dilaniato tra ovest ed est, con due governi, sempre sull’orlo di esplodere, ora deve affrontare la potenza calcistica nigeriana “per la difesa della dignità nazionale e della sovranità”. (Proprio in questi giorni si tiene a Tripoli il Business forum italico libico per studiare accordi in settori chiave come energia, sanità, agricoltura e infrastrutture, ndr).

Nigeria lamenta boicottaggio

Tutto è nato dopo il dirottamento del volo dei Super Eagles (la nazionale calcistica maschile nigeriana) all’aeroporto di Al Abraq, a oltre 200 km dalla sede di gioco.

Lì i giocatori, sono stati tenuti “per oltre 12 ore senza acqua né cibo né connessione telefonica”, aveva scritto su Instagram il capitano William Troost-Ekong, 31 anni, (già Udinese e Salernitana).

Un palese boicottaggio, aveva denunciato la federazione calcistica nigeriana, che aveva deciso di non far disputare l’incontro di qualificazione, facendo tornare a casa i suoi atleti.

Inutilmente la federazione libica (LFF) si era scusata, spiegando che l’incidente “era stato causato da normali protocolli di traffico aereo, da controlli di sicurezza e/o problemi logistici che condizionano i viaggi internazionali”.

Vittoria a tavolino deciso da CAF
Nigeria 3 v 0 Libia

E comunque – ha sottolineato la LFF – la settimana precedente la nazionale libica aveva affrontato diversi problemi all’arrivo in Nigeria, per la terza partita delle qualificazioni per la Coppa d’Africa (persa 1-0, a Uyo, nel sud del Paese, gol del laziale Fisayo Dele-Bashiru, 23 anni), ma non aveva sollevato tanto putiferio.

Ad esempio, la squadra era stata bloccata dalle autorità nigeriane nel lontano aeroporto di Port Harcourt e costretta a un viaggio defatigante prima di scendere in campo.

Violazione regolamento CAF

Niente da fare. Il Collegio disciplinare ha aperto un’inchiesta, ha indagato e sabato ha concluso che “la Federcalcio libica ha violato l’articolo 31 del regolamento della Coppa d’Africa TotalEnergies CAF e gli articoli 82 e 151 del codice disciplinare CAF”.

Che cosa prevedono questi articoli? In estrema sintesi, dicono che “La federazione ospitante che non fornisce alla squadra ospite e agli ufficiali di gara designati tutte le agevolazioni previste dal presente regolamento è tenuta a rimborsare tutte le relative spese, fatte salve le sanzioni che possono essere imposte dal Comitato Organizzatore”.

Immediata la soddisfazione per la vittoria a tavolino del capitano Troost-Ekong, che ha parlato di “gradita forma di giustizia e di un passo avanti verso il nostro obiettivo AFCON 2025“.

Ricorso dei libici

Altrettanto immediata, ma quasi furibonda, la reazione della federazione del tormentato Stato nordafricano, che ha ingaggiato senza indugi un luminare tunisino del diritto, l’avvocato Ali Abbas e ha già fatto ricorso al CAF.

“È una grave ingiustizia – ha tuonato il segretario generale della Federazione Libica, Nasser Al-Suw – basata su accuse maliziose e tendenziose. Oltre alla CAF siamo pronti a esplorare opzioni diplomatiche a livello internazionale”.

La Federazione, infatti, è pronta a portare la questione alla Corte Arbitrale dello Sport (CAS), che ha sede a Losanna in Svizzera, definita come “una Corte suprema internazionale per controversie sportive”.

Problema non solo calcistico

Il caso, insomma, è entrato in una dimensione che va oltre la rivalità sportiva e sta portando a una escalation legale e diplomatica – ha scritto il sito arabo Akhbarlibya24.net – perché ci sono richieste dall’interno del Paese per lottare per i diritti della squadra nazionale e proteggere il suo valore internazionale.

Per giunta i libici hanno osservato che l’incidente ha aperto la necessità di riforme all’interno del sistema sportivo africano.

Per questo è stata già chiesta una revisione del quadro giuridico della CAF onde prevenire questioni simili e garantire un giusto giudizio. Secondo alcuni osservatori la Nigeria sta tentando di rafforzare la propria presenza sportiva alla luce della feroce concorrenza, utilizzando questioni di sovranità e competizione come mezzo per raggiungere i propri interessi nazionali.

Difficile dire se le cose stiano proprio così. Di sicuro la sentenza della Commissione disciplinare significa che la Nigeria è vicina alla qualificazione per la Coppa d’Africa 2025, con due partite di anticipo.

I Super Eagles, infatti, sono ora a 10 punti in quattro partite, con 4 punti di vantaggio sulla Repubblica del Benin, seconda in classifica, mentre il Ruanda ha 5 punti.

I Cavalieri del Mediterraneo, ovvero i nazionali libici, sono ultimi in classifica, con un solo punto e ormai senza speranza di passare alla fase finale in Marocco, nel dicembre 2025/gennaio 2026.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Sequestri e rapine tra calciatori libici e nigeriani: salta l’incontro per la coppa d’Africa

 

Mozambico elezioni 2024: tra brogli e omicidi Daniel Chapo è il nuovo presidente. Forse

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
27 ottobre 2024

In Mozambico, nella capitale Maputo,il 24 ottobre, la Commissione Elettorale Nazionale (CNE) ha reso noti i risultati delle settime elezioni presidenziali e per l’Assemblea nazionale.

Come da copione conosciuto da 25 anni, la vittoria è andata al Frelimo, partito al potere dal 1975, anno dell’indipendenza dell’ex colonia portoghese.

Elezioni Mozambico 2024
Elezioni Mozambico 2024, annuncio del risultato delle elezioni

Secondo i dati ufficiali, Daniel Chapo (FRELIMO) è il nuovo presidente del Mozambico: ha vinto con il 70,67 per cento dei voti. Venancio Mondlane di Podemos è secondo con poco più del 20 per cento.

FRELIMO con maggioranza assoluta

Anche all’Assemblea nazionale (il Parlamento) il FRELIMO ha ottenuto  la maggioranza assoluta: 195 seggi sui 250, 11 in più delle elezioni del 2019. A Podemos – non era presente nel 2019 – vanno 31 seggi, diventando così il secondo partito.

Per RENAMO, partito di Ossufo Momade, è una disfatta. Da secondo partito passa al 3° posto con 20 seggi – nel 2019 ne aveva 40. Il Movimento Democratico del Mozambico (MDM) di Lutero Simango ottiene 4 seggi, erano 6 nel 2019.

Le proteste dell’opposizione

Mondlane, Momade e Simango non accettano i risultati del voto e accusano il partito al potere di brogli. Il 19 ottobre Mondlane, dopo l’assassinio di Elvino Dias e Paulo Guambe di Podemos, ha indetto uno sciopero generale con manifestazione di piazza. Il 21 ottobre, nonostante i divieti le strade di Maputo e di altre città mozambicane si sono riempite.

Il candidato di Podemos ha quindi indicato il 24 ottobre giornata di protesta pacifica in concomitanza con l’annuncio dei risultati elettorali. Anche queste proteste sono finite con attacchi della polizia.

Elezioni Mozambico 2024, manifestazione contro la corruzione
Elezioni Mozambico 2024, manifestazione contro la corruzione

I partiti dell’opposizione e la società civile accusano la Commissione Elettorale Nazionale e la Segretaria tecnica dell’amministrazione elettorale (STAE) di essere colluse con il FRELIMO. Il Centro per la democrazia e i diritti umani, (CDD), Centro di integrità pubblica (CIP) e Centro di apprendimento e potere della società civile (CESC) hanno pubblicato un comunicato congiunto.

“Queste elezioni sono state le più fraudolente dal 1999 perché, passo dopo passo, il Frelimo ha preso il controllo dell’intero processo elettorale”, si legge. Il documento chiede il riconteggio dei voti in ogni seggio elettorale del Paese.

Riconteggio pubblico

“Il riconteggio deve avvenire pubblicamente, alla presenza di osservatori e dei media. Chiediamo anche la pubblicazione degli avvisi originali di tutti i seggi elettorali. La legge esistente consente al CNE di ordinarlo ora. Se il CNE si rifiuta, il Consiglio costituzionale ha il potere di emettere tale ordine”.

Anche la Missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea (MoE-Ue) auspica trasparenza sui risultati elettorali annunciati dal CNE. Condanna la violenza delle proteste, chiedendo il rispetto delle libertà fondamentali.

Vietato opporsi

Dopo la macchina dei brogli anche la macchina della repressione contro le proteste ha funzionato benissimo. Durante le manifestazioni per ripristinare la giustizia elettorale la polizia (PRM) ha ucciso nove persone, i feriti sono stati decine e gli arresti arbitrari quarantasette. Le proteste sono state in tutto il Paese ma soprattutto a Maputo, Nampula e Manica.

Secondo il giornale online 360 Moçambique il portavoce della PRM, Orlando Mudumane, ha dichiarato che sono state arrestate 371 persone. Alla Procura della Repubblica è stata inviata documentazione per ulteriori procedimenti legali di 44 casi penali.

Video spedito ad Africa ExPress dal Mozambico. La polizia spara ad altezza d’uomo e ferisce un giovane in fuga

Spari contro i giornalisti

Oltre alla gente comune che protestava contro i brogli sono stati presi di mira anche i giornalisti che documentavano le proteste. Si legge in un rapporto di MISA-Moçambique, organizzazione per la difesa della libertà di espressione.

“Eravamo sul posto, debitamente identificati, per raccontare i fatti che stavano accadendo quella mattina del 21 ottobre – racconta una fonte protetta -. I manifestanti stavano cantando pacificamente e reggendo cartelli nel luogo in cui Elvino Dias e Paulo Guambe sono stati assassinati. All’improvviso, abbiamo sentito il comandante dell’Unità di intervento rapido dare l’ordine di aprire il fuoco contro le persone”.

“Ero vicino a lui e ho sentito tutto. È stato il primo a sparare e la polizia lo ha seguito. Tra la folla c’erano anche dei giornalisti, ma questo non ha preoccupato il comandante della polizia”. Soffocati dai gas lacrimogeni, ce ne siamo andati di corsa, in cerca di un posto migliore per continuare il nostro lavoro”.

Video spedito ad Africa ExPress dal Mozambico. La polizia spara lacrimogeni

Bloccato Internet

Per 18 ore tutto il Mozambico è rimasto senza la connessione internet mobile. Il blackout è iniziato alle tredici di giovedì 25 ottobre ed è terminato alle 7 di mattina di venerdì 26 ottobre. L’interruzione è stata criticata da attivisti e osservatori locali e internazionali che hanno denunciato una minaccia al diritto all’informazione e un tentativo di mettere il bavaglio alla voce pubblica.

Si aprono i colloqui?

Mentre scriviamo apprendiamo che il FRELIMO, attraverso la portavoce Ludmila Maguni, vorrebbe aprire i colloqui con Mondlane. “Il nostro candidato presidenziale, dichiarato vincitore dal CNE, Daniel Chapo, ha detto di essere aperto al dialogo – ha confermato la portavoce venerdì 25 -. Nel frattempo dobbiamo tenere conto che siamo ancora nel processo dei risultati. E questi risultati stanno ancora andando al Consiglio Costituzionale”.

“Il dialogo è positivo. Siamo aperti al dialogo – ha detto il candidato presidente di Podemos – ma abbiamo delle linee rosse. Una delle questioni che vogliamo è ripristinare la volontà del popolo”.

La sfida tra FRELIMO e Podemos, tra Chapo e Mondlane continua. E lunedì 28 partirà la terza fase di proteste con manifestazioni pacifiche di Podemos.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Mistero sulla morte dell’addetto militare ungherese in Ciad

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
26 ottobre 2024

L’addetto militare ungherese, tenente colonnello Imre Vékás-Kovács, è stato trovato morto nella sua camera d’albergo a N’Djamena, pochi giorni dopo aver preso servizio presso l’ambasciata di Budapest accreditata in Ciad. Lo ha reso noto in un breve comunicato il ministero della Difesa ungherese il 22 ottobre scorso.

Ciad: indagini in corso dopo la morte dell’addetto militare ungherese in Ciad

Anche se con forte ritardo sulla tabella di marcia, l’arrivo in Ciad delle truppe di Orban, composta da 200 uomini, dovrebbe essere ormai imminente. Ecco perché pochi giorni fa era stato nominato addetto militare, nella persona appunto del 56enne Vékás-Kovács.

Secondo la Difesa di Budapest, il loro ufficiale avrebbe accusato problemi di salute già da qualche giorno. Un’inchiesta dovrà chiarire le cause della sua morte.

Arrivo di truppe magiare

La rappresentanza diplomatica di Budapest è stata aperta ufficialmente dal ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, solo nel dicembre 2023. Per completare l’organico dell’ambasciata magiara non poteva mancare un attaché militare, visto che già un anno fa il Parlamento di Budapest aveva approvato l’invio di un loro contingente in Ciad.

Il compito delle truppe ungheresi consiste nel rafforzare le capacità dell’esercito ciadiano e sostenere la lotta contro il terrorismo. Sembra che ora si avvicini l’arrivo dei militari di Orban, giacché oltre all’insediamento di Vékás-Kovács, da qualche tempo a N’Djamena c’è anche un gran via vai di ufficiali ungheresi

Nel frattempo anche parecchie delegazioni diplomatiche ungheresi hanno fatto tappa nel Paese. Infatti l’Ungheria non ha perso tempo nel rafforzare la sua cooperazione con il Ciad. Le autorità magiare stanno presentando una serie di progetti di sviluppo in diversi settori, come l’approvvigionamento idrico, la produzione di occhiali e la lavorazione del latte di cammello.

Aiuti finanziari

Tutti questi programmi saranno finanziati grazie a un prestito di 200 milioni di euro, concordato a settembre durante la visita del presidente ciadiano, Mahamat Idriss Déby, a Budapest. A novembre, la diplomazia ungherese vorrebbe organizzare un incontro a N’Djamena con gli inviati speciali per il Sahel degli Stati membri dell’Unione Europea (UE).

Il premier ungherese, Viktor Orban, a destra e il presidente ciadiano, Mahamat Idriss Déby

La recente “amicizia” tra l’Ungheria e il Ciad non è del tutto casuale. Orban è ossessionato dall’arrivo dei migranti e tenta in tutti modi di intensificare la lotta volta a frenare l’immigrazione, il suo cavallo di battaglia durante il semestre di presidenza del Consiglio dell’UE.

Lotta contro i migranti

L’Ungheria è uno dei Paesi più poveri d’Europa e attualmente non ha partecipazioni economiche in Ciad o in altri Paesi del Sahel. Tuttavia Orban punta sul fatto che rispondendo direttamente ai problemi di sviluppo, come povertà, assistenza sanitaria insufficiente, le persone potrebbero decidere di rinunciare al sogno europeo.

Secondo i dati del Programma Alimentare Mondiale, il Ciad è uno dei Paesi più poveri dell’Africa. Il 42 per cento dei suoi 20 milioni di abitanti vive con meno di 2,15 dollari al giorno. L’interruzione del commercio con il vicino Sudan, da un anno e mezzo devastato da un conflitto interno, ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari. Fatto che ha messo ulteriormente sotto pressione l’economia ciadiana.

Il Paese sta inoltre accogliendo decine di migliaia di profughi in fuga dall’ex protettorato anglo-egiziano e da altri nazioni confinanti, flusso in continua crescita, che fa tremare Budapest.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Orban: lotta ai migranti