Speciale per Africa-ExPress Sergio Pizzini*
Bologna, 5 marzo 2025 (English translation at the end)
L’affermazione sui falsi depositi di terre rare in Ucraina, destinati agli Stati Uniti, avanzata dagli esperti della Società Geologica Italiana, è formalmente corretta.
Il termine terre rare, una famiglia di 15 elementi, i lantanidi, viene usato impropriamente dai politici, e riportato senza commenti dalla stampa, quando si tratta dei giacimenti di minerali critici di cui l’Ucraina è ricca.
Le ricchezze dell’Ucraina
Ricco sottosuolo
L’Ucraina, infatti, possiede depositi di 22 dei 34 minerali che l’UE classifica come critici, alcuni dei quali si trovano in zone controllate dalla Russia. Le diverse zone geologiche dell’Ucraina ne fanno un fornitore di prim’ordine di risorse minerarie, detenendo circa il 5 per cento del totale mondiale.
Per fare un primo esempio, l’Ucraina possiede una delle più grandi riserve di litio d’Europa, stimata in 500.000 tonnellate, circa il 3 per cento delle riserve totali mondiali, ma al momento non viene estratto nulla del litio ucraino.
Un ulteriore problema per il litio ucraino è che il minerale di litio presente è la petalite, un fillosilicato di litio e alluminio (Li Al Si4 O10), considerato più costoso per estrarre il litio metallico rispetto allo spodumene (LiAlSi2O6), il minerale primario utilizzato dai produttori di litio.
Indispensabili in molti settori
Nel 2022, l’Ucraina si è classificata al 69° posto nella produzione mondiale di cobalto, esportando solo 41.400 dollari di questo metallo. Sia il cobalto che il litio sono essenziali per la produzione di veicoli elettrici.
L’Ucraina è anche un potenziale fornitore chiave di titanio, berillio, manganese, gallio, uranio, zirconio, grafite e detiene il 7 per cento delle riserve mondiali. È uno dei pochi Paesi che estrae minerali di titanio, fondamentali per l’industria aerospaziale, medica, automobilistica e navale.
Interessanti giacimenti
Infine, l’Ucraina è ricca di depositi accertati di berillio, fondamentale per l’energia nucleare, l’industria aerospaziale, militare, acustica ed elettronica, nonché di minerali di uranio e zirconio, quest’ultimo importante per la produzione di ZrO2, che opportunamente drogato potrebbe funzionare come elettrolita solido per le celle a combustibile.
Donald Trump, presidente degli Stati Uniti
È quindi facile comprendere l’interesse di Trump per i minerali critici (lui li ha chiamati rare minerals) dell’Ucraina.
http://www.sergiopizzini.eu/curriculum.html *Già professore ordinario di Chimica Fisica all’università degli studi di Milano
English translation
The claim about fakes concerning the rare earths deposits in Ukraine, to be to the USA, rised by experts of the Italian Geological Society, is formally correct.
The term rare earths, a family of 15 elements, the lantanides, is improperly used by politicians, and reported without comments by the press, when dealing with the deposits of critical minerals of which Ukraine is rich. Ukraine, in fact, holds deposits of 22 out of 34 minerals that EU classifies as critical, of which some are in parts controlled by Russia. Ukraine’s diverse geological zones make of it a top supplier of mineral resources, holding around 5% of the world’s total.
As a first example, Ukraine holds one of Europe’s largest lithium reserves, estimated at 500.000 tons, approximately the 3% of global total reserves, but none of Ukraine's lithium is being mined at present. The additional problem for Ukrainian lithium is that the lithium mineral present is petalite, a lithium aluminium phyllosilicate (Li Al Si 4 O 10 ), considered more costly to extract lithium metal than the spodumene (LiAlSi 2 O 6 ), the primary ore used by lithium producers.
In 2022, Ukraine ranked 69th in world’s cobalt production, exporting just $41,400 worth of the metal. Both cobalt and lithium are essential for electric vehicle production.
Ukraine is also a key potential supplier of titanium, beryllium, manganese, gallium, uranium, zirconium, graphite, and holds the 7% of the world’s reserves. It is one of the few countries that mine titanium ores, crucial for the aerospace, medical, automotive and marine industries.
Eventually, Ukraine is rich of confirmed deposits of beryllium, crucial for nuclear power, aerospace, military, acoustic and electronic industries, as well as of uranium and zirconium ores, the last important for the production of ZrO 2, that suitably doped could work as solid electrolyte for fuel cells.
It is, therefore, easily to understand the Trump’s interest for Ukraine’s critical minerals.
Sergio Pizzini* *Former professor of physical chemistry at the University of Milan.
http://www.sergiopizzini.eu/curriculum.html
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Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau
Nairobi, 4 marzo 2025
Era partito sotto un bel cielo, il 23 febbDalraio scorso, il 17esimo Tour ciclistico del Rwanda. È finito sotto una cattiva stella, domenica 2 marzo. Per “colpa” di un acquazzone tropicale, che ha stravolto l’ultima tappa, ha scatenato polemiche tra il francese vincitore, Fabian Doubey, 31 anni, e l’eritreo Henok Mulubrhan, 25 anni, (giunto secondo), ha lasciato l’amaro in bocca agli organizzatori e seminato dubbi sul prossimo mondiale.
Il francese Fabien Doubey, vincitore del 17esimo tour del Rwanda
L’avvio di quella che negli anni è diventata una delle più importante manifestazioni ciclistiche continentali, era stato dato, al Kigali Amahoro Stadium, con una molta enfasi dal presidente della repubblica, Sua Eccellenza Paul Kagame, 67 anni, e dal presidente dell’Unione ciclistica internazionale (UCI), il francese David Lappartient, 51 anni.
Regime verso campionato
La solennità dell’evento era legata al fatto che – come ha dichiarato la ministra dello Sport, Nelly Mukazayire, 43 anni, – il Paese delle mille colline, o la Svizzera africana, si appresta a ospitare, nel prossimo settembre ”lo storico campionato mondiale su strada, il primo del genere a onorare il continente africano”.
Tappa vicino a zona conflitto
Niente sembrava oscurare lo svolgimento festoso e spettacolare delle 7 tappe per complessivi 804 km, nonostante alla vigilia della corsa una squadra di livello mondiale, la belga Soudal-QuickStep, si fosse ritirata: era preoccupata per incolumità dei suoi atleti a causa della guerra in corso al confine tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo.
In effetti la terza tappa del Giro prevedeva l’arrivo dei 69 pedalatori a Rubavu. E’ una pittoresca città poco distante dalle zone del conflitto che devasta da anni la zona orientale del Congo-K, dove avrebbero un ruolo determinante anche le forze armate ruandesi che sostengono – secondo l’ONU – i ribelli del gruppo M23.
Strasburgo no a finanziamenti
Sempre a questo proposito, anche il Parlamento europeo ha chiesto all’Unione europea di sospendere l’accordo di cooperazione tra la Commissione europea e il Ruanda sul commercio di materie prime con il Paese e di fare pressione per annullare i mondiali di ciclismo in programma il 21-28 settembre a Kigali.
Pioggia tropicale
Al di là, o al di sopra di queste nubi, e nonostante la qualità dei ciclisti al 17esimo Tour del Rwanda non fosse proprio eccelsa, la gara si è svolta regolarmente con la partecipazione di un pubblico entusiasta fino a domenica 2 marzo.
Quel giorno le nuvole si sono scatenate in una pioggia equatoriale rendendo le strade scivolose proprio – beffa di Giove pluvio – quelle strade che dovevano fare da test per la rassegna iridata di settembre.
Dopo una caduta di 30 corridori, gli organizzatori si sono decisi a neutralizzare la gara e ridurre la parte del percorso che comprendeva la parte più dura (l’ascesa del Monte Kigali e l’omonimo muro).
Stop gara
Tornati tutti in sella, sei atleti si sono lanciati in una fuga, che è riuscita ad accumulare oltre un minuto di vantaggio sul plotone. Acque e vento però sono tornati a essere violenti, quel punto, il leader della classifica, la maglia gialla, Fabien Doubey, della TotalEnergies, si è improvvisato capo popolo e ha invitato i colleghi a rallentare e a fermare la gara.
La frazione così è stata definitivamente annullata. Immediata la reazione indignata dell’eritreo Henok Mulubrhan,25 anni, della Astana, distante in classifica solo 6 secondi, che mirava a spodestare il francese negli ultimi durissimi 13 km.
Proteste atleta eritreo
Tour Rwanda: interruzione ultima tappa per pioggia
Henok, già campione africano e vincitore del Tour del Rwanda nel 2023, al giro d’Italia di due anni fa era stato premiato e ammirato per la sua combattività: “Una vergogna – ha dichiarato -. In Europa per queste gocce non avremmo mai fermato la corsa. Certo gli faceva comodo una soluzione del genere”.
Anche il terzo in graduatoria, a 11 secondi, Il tedesco Oliver Mattheis, 29 anni, ha ribadito: “Se annulliamo questa tappa, nelle Fiandre non ci saranno più corse”. (E nessuno si ricorda una Milano Sanremo finita sotto la neve).
Lo stesso direttore della competizione, Freddy Kamuzinzi, ha commentato: “Tutto è andato bene fino all’ultimo giorno. Ma non sapevamo che un solo corridore potesse impedire la conclusione della gara”.
Vincitore – portavoce sanzionato
Il vincitore si è, invece, giustificato dicendo: “Mi sono fatto il portavoce del gruppo, ho pensato alla nostra sicurezza”.
Non si è mostrata d’accordo la giuria, che gli ha inflitto un’ammenda di 200 franchi svizzeri “per comportamento scorretto e per aver danneggiato l’immagine dello sport”. Ora il vincitore rischia di comparire davanti alla commissione disciplinare dell’UCI.
Paese sicuro
Proteste anche di molti tifosi sui social, che hanno denunciato un certo strapotere della TotalEnergies. Sarà un caso – è stato fatto notare – che il responsabile della TotalEnergies, Jean-René Bernaudeau, avesse dichiarato di ritenere il Rwanda un Paese assolutamente sicuro e di avere fiducia nelle forze armate.
È difficile negare che il cammino verso i primi mondialiin Africa in 103 anni non stia diventando impervio, tra la guerra sulla porta di casa, pressioni internazionali, veri o presunti favoritismi, dubbi sulla sicurezza stradale.
Questo tour del Rwanda numero 17, infatti, è stato seguito attentamente dalla delegazione dell’UCI e dalle potentissime organizzazioni ASO e Golazo, incaricate dalla FederaIone ciclistica ruandese di organizzare i campionati del mondo su cui il “regime” di Kagame ha puntato alla grande.
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Kampala spedisce nuove truppe nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. Stavolta non per dare la caccia al gruppo terrorista ADF, affiliato allo stato islamico. Allied Democratic Forces è un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995. E nemmeno per dar man forte all’esercito congolese nella lotta contro M23, supportato dai soldati ruandesi (RDF). Le autorità di Kinshasa hanno chiesto aiuto a UPDF (Forza di Difesa del Popolo Ugandese) per stanare insieme a FARDC i miliziani di CODECO (acronimo per Cooperativa per lo sviluppo nel Congo, formato da combattenti di etnia Lendu), molto attivo nella provincia di Ituri, nella parte orientale del Paese.
Residenti decapitati
L’11 febbraio il gruppo armato ha ucciso oltre 50 persone a Djaiba (Ituri). Secondo quanto riferito alla stampa locale da testimoni oculari, i miliziani hanno bruciato parecchie case mentre gli abitanti si trovavano ancora all’interno. Hanno anche sparato contro chiunque si trovasse in strada, altri residenti sono stati decapitati con machete. Un massacro in piena regola.
Il giorno precedente avevano preso di mira un campo per sfollati nella stessa zona, ma per fortuna sono stati cacciati dai caschi blu di MONUSCO.
Miliziani CODECO, Congo-K
Miniere d’oro
Anche l’autunno scorso CODECO ha compiuto altre stragi nell’Ituri. Il gruppo è rinomato per la sua violenza e i suoi sanguinosi attacchi. Ma non è sempre stato così. Negli anni ’70 non era altro che una cooperativa agricola della comunità di Lendu (un’etnia di contadini), poi i componenti del gruppo hanno fiutato l’odore dell’oro e adesso controllano parecchi siti minerari nella provincia.
Ituri sotto attacco
La provincia dell’Ituri è sotto attacco di vari gruppi armati, tra questi CODECO e la milizia Zaïre, che sostiene di difendere la comunità Hema (formata essenzialmente da pastori). Dal 2017 a oggi le continue aggressioni hanno causato la morte di migliaia di civili e la fuga di massiccia di abitanti in campi per sfollati.
Attraversata la frontiera
Insomma l’Uganda ha accolto la nuova richiesta di aiuto e un convoglio ha attraversato la frontiera diretto a Mahagi. E ieri, Felix Kulayigye, portavoce di UPDF ha dichiarato ai giornalisti che la città è già sotto il loro controllo.
Già due settimane fa Kampala ha dispiegate un migliaio di soldati a Bunia, capoluogo di Ituri, rinforzi arrivati nel momento in cui M23 ha conquistato altri territori più a sud nell’est della ex colonia belga.
Muhoozi Kainerugaba, figlio del presidente Yoweri Museveni e capo delle Forze di Difesa dell’Uganda
A metà febbraio, Muhoozi Kainerugaba, figlio del presidente Yoweri Museveni e capo di UPDF aveva annunciato sul suo account X (ex Twitter) che le sue truppe avrebbero “invaso” l’Ituri, se tutte le forze presenti non dovessero consegnare le armi entro 24 ore. Allora il suo comunicato non era stato nemmeno commentato dal primo ministro congolese, Judith Suminwa, visto che Muhoozi è conosciuto per i suoi post provocatori sui social network.
A dirla tutta, i militari ugandesi sono presenti nel Congo-K dal 2021 per contrastare insieme ai soldati di FARDC i terroristi ADF, ma questo gruppo armato opera in tutt’altra zona, molto distante da Mahagi e dal raggio d’azione dove UPDF è già presente.
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Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes
1° marzo 2025
Dopo quasi due anni dall’inizio della guerra, in Sudan la popolazione è costretta a affrontare giornalmente nuove sofferenze. Oltre alle bombe, violenze di ogni genere, anche la fame è una vera e propria arma da guerra. Mentre continuano a arrivare i rifornimenti di armi, è nuovamente stata sospesa la distribuzione di cibo in alcune zone del Paese.
Stop di PAM e MSF
Anche per lo stop degli aiuti umanitari di USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale), imposto dall’amministrazione Trump, l’80 per cento delle cucine d’emergenza ha dovuto chiudere i battenti.
MSF chiude per il momento operazioni nel campo per sfollati di Zamzam per continue violenze
E non solo. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha momentaneamente sospeso l’attività nel campo per sfollati Zamzam, nel Darfur settentrionale, per l’intensificarsi dei combattimenti nell’area. “Senza gli aiuti alimentari salvavita, migliaia di famiglie potrebbero morire di fame nelle prossime settimane”, ha evidenziato Laurent Bukera, Direttore regionale per l’Africa orientale e Direttore nazionale ad interim di PAM per il Sudan.
Già nell’agosto dello scorso anno era stata dichiarata un’emergenza carestia nel sito per gli evacuati.
Come PAM, pure l’ONG Medici senza Frontiere è stata costretta a ritirarsi da Zamzam, vicino a Al-Fashir, capoluogo del Nord-Darfur, accerchiata da oltre 10 mesi dai paramilitari RFS.
Anche nel campo di Abu Shouk, situato a circa quattro chilometri da Al-Fashir, la situazione è drammatica. Gli 800.000 sfollati sono intrappolati tra i militari e i paramilitari.
Guerra senza sosta
Gran parte del Paese è teatro di continui combattimenti tra le due fazioni: le Rapid Support Forces (RFS), capeggiate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, da un lato e le Forze armate sudanesi (SAF) capitanate da Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, capo del Consiglio sovrano e de facto presidente del Sudan.
Sia Hemetti, un ex capo janjaweed, sia il capo dello Stato sudanese sono stati sanzionati dal Tesoro dell’amministrazione Biden, poco prima di cedere il testimone a quella di Donald Trump. Le due fazioni sono accusate di aver commessi crimini contro i civili in questa assurda guerra di lotta per il potere.
Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha denunciato le inimmaginabili sofferenze del popolo sudanese. Ha poi sottolineato che le violazioni del diritto internazionale continuano nella più totale impunità.
Convoglio armi
Pochi giorni fa, secondo quanto riportato da Reuters, alcuni combattenti che sostengono i governativi hanno affermato di aver intercettato un convoglio carico di armi destinato alle RFS nei pressi di Al-Fashir. Gli alleati di al-Bashir sostengono di aver neutralizzato anche alcuni mercenari stranieri, senza però precisare la loro nazionalità. Alcuni mesi fa i gruppi armati a sostegno di SAF avevano scovato paramilitari colombiani al soldo delle RFS.
Gli irregolari di Hemetti hanno smentito l’attacco a un convoglio di armi destinato a rinforzare i loro arsenali. “Si tratta di pure menzogne”, hanno commentato.
Rapporto HRW
Intanto Human Rights Watch ha accusato i combattenti alleati dei governativi di aver attaccato intenzionalmente gli abitanti di un villaggio nel Sudan centrale.
Nel rapporto, pubblicato martedì scorso, HRW non esclude che gruppi allineati a SAF, tra questi Sudan Shield Forces, il battaglione al-Baraa Ibn Malik e milizie locali, potrebbero aver commesso crimini di guerra nello Stato di Al-Gezira, riconquistato dai governativi il mese scorso.
Ventisei civili sarebbero stati uccisi durante l’attacco del 10 gennaio contro una delle numerose aggressioni contro alcune comunità, accusate di aver sostenuto i paramilitari di RFS mentre la regione era sotto il loro controllo.
Alleati di SAF attaccano villaggio a Al-Gezira (Sudan)
SAF ha fatto sapere che in questo casi si tratterebbe di aggressioni personali e si sta indagando su quanto accaduto nel villaggio di Tayba. Nel frattempo ha inviato truppe per proteggere gli abitanti.
Governo parallelo RFS
Colpo di scena la scorsa settimana a Nairobi, dove le RSF e una coalizione di gruppi armati e politici hanno siglato un documento volto alla formazione di un governo parallelo (“Political Charter for the Government of Peace and Unity”) nelle aree sotto il loro controllo. Il fatto che il Kenya abbia concesso ospitalità ai ribelli e associati ha irritato non poco il governo di Khartoum e ha creato frizioni a livello diplomatico tra le due Paesi.
Nairobi: RFS e alleati firmano documento per creazione di un governo parallelo a Nairobi
Secondo l’AFP, tra i firmatari risulta anche una fazione del Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese del Nord (SPLM-N) guidata da Abdelaziz Al-Hilu. Il gruppo controlla parti degli Stati del Kordofan e del Nilo Blu.
Mohammed Hamdan Dagalo, capo dell’RSF, non era presente al vertice di Nairobi. Il documento è stato siglato da Abdel Rahim Dagalo, fratello di Hemetti e numero due dei paramilitari.
I firmatari intendono creare un governo che abbia come obiettivo di porre fine alla guerra e di garantire l’accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari. AFP, che ha potuto consultare il testo, riporta che nel documento i vari componenti si impegnano a “costruire uno Stato laico, democratico e decentrato, basato sulla libertà, l’uguaglianza e la giustizia, senza pregiudizi culturali, etnici, religiosi o regionali”.
Prevede inoltre la creazione di un “nuovo esercito nazionale unificato e professionale”, che rifletta la “diversità e la pluralità” dello Stato del Sudan.
Rischio divisione Paese
L’intenzione di voler creare un governo parallelo ha suscitato non poche perplessità nella comunità internazionale. Il portavoce del segretario generale dell’ONU ha evidenziato che si rischia di dividere ulteriormente il Paese e potrebbe portare addirittura a un peggioramento della crisi in atto.
La Lega Araba ha condannato atti volti a mettere a rischio l’unità del Sudan o di esporre il Paese a una possibile divisione o frammentazione.
E durante una conferenza stampa al Cairo, Ali Youssef, ministro degli Esteri sudanese, ha dichiarato che il suo governo non potrà mai accettare che un altro Paese riconosca un governo parallelo.
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Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 28 febbraio 2025
Forse siamo vicini alla soluzione dell’inquinamento di plastica in Africa. Un team di quattro scienziati e scienziate kenioti del Centro Internazionale di Fisiologia ed Ecologia degli Insetti (ICIPE) di Nairobi, Kenya, ha scoperto un super-verme mangia plastica. La ricerca è stata pubblicata su Nature da Evalyne Ndotono, Chrysantus Tanga, Segenet Kelemu e Fathiya Khamis.
Supereroe africano
Il super-verme africano si chiama Alphitobius ed è la larva di un “riciclatore”. E se, grazie al suo importante lavoro, riusciremo a eliminare la plastica dal grande continente, sarà veramente un supereroe africano.
Video dei super-vermi Alphitobius mentre mangiano polistirolo (Courtesy ICIPE)
Sì, perché ha cittadinanza e vive nell’Africa sub-sahariana e avrà parecchio lavoro da smaltire visto l’enorme inquinamento da plastiche. Alphitobius viene chiamato anche verme della farina minore perché vive soprattutto negli allevamenti di pollame. È la forma larvale, che dura otto/dieci settimane, dello scarafaggio Alphitobius.
Negli allevamenti l’insetto trova calore, riparo e soprattutto grande e costante quantità di cibo, situazione ottimale che permette la sua crescita e la riproduzione.
Il lavoro degli scienziati
La scienziata senior del team, Fathiya Khamis dell’ICIPE, in un articolo pubblicato su The Conversation spiega l’esperimento.
“Abbiamo scoperto che i vermi della farina alimentati con polistirolo e crusca sono sopravvissuti in misura maggiore rispetto a quelli alimentati con il solo polistirolo – spiega -. Si aggiungono a un piccolo gruppo di insetti che sono in grado di scomporre la plastica inquinante. È la prima volta che una specie di insetto originaria dell’Africa è stata trovata in grado di farlo”.
Pasto a base di polistirolo
La sperimentazione è durata oltre un mese con tre campioni di larve. Un gruppo è stato alimentato con sola crusca, un altro con crusca e polistirolo e un terzo con solo polistirolo.
“Abbiamo scoperto che i vermi della farina nutriti con polistirolo e crusca sono sopravvissuti in misura maggiore rispetto a quelli alimentati con il solo polistirolo.
Il microbiota intestinale
Ma la scoperta più importante è il microbiota intestinale della larva come “Il nostro studio ha esaminato anche i batteri intestinali dell’insetto – spiega la scienziata -. Volevamo identificare le comunità batteriche che possono sostenere il processo di degradazione della plastica”.
Secondo lo studio “I batteri predominanti osservati nelle larve alimentate con dieta a base di polistirolo sono stati Kluyvera, Lactococcus, Klebsiella, Enterobacter ed Enterococcus. Ma lo Stenotrophomonas ha dominato la dieta di controllo”.
L’indagine ha confermato che il verme può sopravvivere con una dieta a base di polistirolo. Questo succede grazie a un consorzio batteri fortemente associati alla degradazione di questo tipo di plastica.
La plastica in Africa
Purtroppo in Africa, secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) solo il 4 per cento della plastica viene riciclato.
Congo, strada allagata piena bottiglie di plastica
Tutti i Paesi africani hanno presente il problema dei rifiuti delle plastiche, dal polistitolo ai PET, comprese le buste. Alcuni di questi hanno preso provvedimenti per arginare l’inquinamento. In 16 hanno hanno messo al bando la plastica purtroppo senza introdurre regolamenti e farli rispettare.
Ma non tutti sanno che il verme della farina minore (Alphitobius diaperinus) dal gennaio 2023 può essere venduto anche anche nell’Unione Europea. Dopo la farina di grillo è il quarto tipo di insetti approvato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
Mentre continua l’avanzata del gruppo armato AFC/M23 nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, iniziano a piovere sanzioni sul governo di Kigali.
M23 è un gruppo armato, composto soprattutto da tutsi e sostenuto dal Ruanda, mentre AFC, che significa Alleanza del Fiume Congo, è una coalizione politico militare, fondata il 15 dicembre 2023 in Kenya e della quale fa parte anche M23.
Consiglio di Sicurezza dell’ONU
Risoluzione Consiglio Sicurezza
Durante la seduta di venerdì scorso al Palazzo di Vetro, il Consiglio di Sicurezza ha condannato con una risoluzione il sostegno del Ruanda al gruppo M23. Kigali, secondo rapporti degli esperti indipendenti delle Nazioni Unite, è presente nel Congo-K con almeno 4.000 uomini. La condanna, votata all’unanimità, ha chiesto al governo ruandese di ritirare immediatamente le proprie truppe. Ha altresì intimato ai ribelli M23 di liberare i territori sotto loro controllo nel Nord e Sud Kivu, in particolare i rispettivi capoluoghi, Goma e Bukavu.
Sanzioni
Londra ha deciso di bloccare gran parte degli aiuti al Ruanda e Washington ha sanzionato il portavoce civile di AFC/M23 e un politico ruandese.
Durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea di lunedì sono stati presi i primi provvedimenti contro il Paese delle Mille Colline per il suo sostegno ai ribelli nel Congo-K. La prima tranche di sanzioni, che include lo stop di qualsiasi dialogo politico in materia di difesa e sicurezza, è già attiva.
Per il momento non è stato ancora sospeso il Memorandum of Understanding, siglato con il Ruanda un anno fa e “volto a favorire lo sviluppo di catene di valore durature e resilienti per le materie prime critiche”. Peccato però che questi minerali si trovino in RDC e da anni il regime di Paul Kagame cerca di impossessarsene, anche grazie al gruppo M23. Secondo quanto riferito da Kaja Kallas, capo della politica Estera della Commissione Europea, il MoU, sarà soggetto a una revisione.
Veto Lussemburgo
Inaspettatamente però, Xavier Bettel, ministro degli Esteri del Lussemburgo, l’unica monarchia al mondo retta da un granduca, si è avvalso del diritto di veto e ha bloccato le sanzioni contro funzionari ruandesi. La decisione del capo della diplomazia lussemburghese ritarda i provvedimenti contro Kigali, poiché tali misure devono essere adottate all’unanimità.
Bettelha giustificato la sua mossa con il fatto che bisogna dare spazio ai negoziati in corso. In particolare è necessario attendere quanto emergerà dalla riunione ministeriale congiunta tra i Paesi della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC) e la Comunità dell’Africa Orientale (EAC), prevista per il 28 febbraio prossimo.
Corte Penale Internazionale
Intanto nella giornata di ieri è atterrato a Kinshasa Karim Khan, procuratore generale della Corte Penale Internazionale dell’Aja, che da tempo sta indagando sui gravissimi crimini commessi nella parte orientale del Congo-K dopo la ripresa delle ostilità di M23.
Karim Khan, procuratore della Corte Penale Internazionale a Kinshasa, Congo-K
Giacché la diplomazia è al lavoro per riportare la Pace, nell’est della ex colonia belga la popolazione continua a pagare il prezzo più alto di questo conflitto. Secondo le autorità di Kinshasa, da gennaio a oggi sarebbero morte oltre 7mila persone. E le stragi non si fermano. Anche oggi Radio Okapi (emittente della MONUSCO, la missione di pace dell’ONU nel Paese) ha denunciato la vile uccisione di tre giovani a Uvira (Sud-Kivu), crimine commesso da uomini armati in divisa. L’assassinio dei tre potrebbe essere collegato all’uccisione di un uomo, fatto avvenuto la sera precedente. La vittima, che indossava una tuta militare, è stata bruciata viva martedì sera nello stesso quartiere della città.
Insicurezza
L’insicurezza sta aumentando in tutto il centro abitato, e, come riferito da Medici senza Frontiere, oltre 30mila persone sono già scappate. La gente ha paura, le case si stanno svuotando. Molte attività commerciali sono chiuse e il cibo comincia a scarseggiare.
Congo-K, Uvira: popolazione sotto tensione
Persino gli ospedali non vengono risparmiati dalle sparatorie, mettendo in serio pericolo pazienti e staff.
Casi di colera a Goma e dintorni
Anche a Goma, capoluogo del Nord-Kivu, sotto controllo di M23/AFC, la situazione è a dir poco catastrofica. OCHA (Ufficio degli Affari Umanitari dell’ONU) ha registrato un aumento degli episodi criminali, come sequestri, aggressioni, rapine in casa e furti. L’Organizzazione ha anche messo in guardia la popolazione del pericolo di mine e proiettili non esplosi, disseminati sia in città che nelle zone periferiche, per non parlare della sanità, ormai al collasso. Ci sono inoltre casi sospetti di colera nel campo di MONUSCO, dove si sono rifugiati molti soldati disarmati dell’esercito congolese (FARDC).
Ora si teme che l’epidemia possa espandersi. Nelle ultime due settimane è morta una persona a causa dell’infezione batterica, mentre sono stati riscontrati 420 casi a Goma e zone circostanti.
Agenti di polizia e soldati di FARDC sono passati nelle fila di M23
Defezione truppe
Nei giorni scorsi centinaia di poliziotti e militari di FARDC si sono uniti al gruppo armato AFC/M23.
Intanto i ribelli sono solo a una quarantina di chilometri da Uvira, la seconda città più importante del Sud-Kivu. Se dovessero conquistare anche questo grande centro abitato, gli irregolari potrebbero aprirsi un corridoio per raggiungere la provincia di Tanganyika.
Partenza soldati sudafricani
Nei giorni scorsi il gruppo armato AFC/M23 ha ordinato a tutte le forze armate straniere presenti sul territorio di lasciare immediatamente Goma. Quasi duecento militari sudafricani del contingente della Comunità Economica dell’Africa Australe (SADC) hanno già lasciato il Congo-K, dove è presente dal 2023 in appoggio dell’esercito regolare nella lotta contro M23. Le truppe di Pretoria hanno dovuto attraversare il confine verso il Ruanda, per poi imbarcarsi all’aeroporto internazionale di Kigali. Stessa sorte era toccata ai mercenari rumeni qualche settimana fa.
Altri componenti del contingente SADC (tra questi ancora parecchi sudafricani, oltre a malawiani e tanzaniani) sono chiusi nella loro base all’aeroporto e a Mubambiro, all’uscita di Goma.
Blocco aiuti USA
Molte ONG congolesi sono in grave difficoltà, non solo a causa del teatro di guerra nella parte orientale del Congo-K, ma anche per il blocco dei finanziamenti di USAID, imposto dall’amministrazione di Donald Trump. Il Congo-K è stato il maggiore beneficiario degli aiuti umanitari statunitensi nell’Africa francofona.
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EDITORIALE
da Haaretz Gideon Levy
Tel Aviv, 16 febbraio 2025
Un’immagine vale più di 1000 parole: centinaia di detenuti palestinesi rilasciati sabato scorso sono visti in ginocchio, in prigione, costretti ad indossare magliette con la stella di David blu e le parole “non dimenticheremo né perdoneremo“.
Israele li ha così costretti a diventare stendardi ambulanti del sionismo nella sua forma più spregevole. La settimana prima i detenuti liberati avevano braccialetti con un messaggio simile: “Il popolo eterno non dimentica. Perseguiteremo e troveremo i nostri nemici.”
Foto, diffusa sabato dal servizio carcerario israeliano, di prigionieri palestinesi con magliette con il logo del servizio carcerario e la frase “Non perdoneremo né dimenticheremo”, Credit: Israeli Prison Service
Non c’è niente di meglio di queste immagini ridicole per riflettere quanto in basso possa scendere la propaganda di uno Stato moderno.
Quelle magliette, le scritte, la stella di David fanno parte di un processo narrativo che ha plasmato la psicologia di una nazione, disumanizza.
Il mondo, compreso Israele, ha dimenticato la Germania nazista, il Vietnam ha dimenticato gli Stati Uniti, gli algerini hanno dimenticato la Francia e gli indiani hanno fatto lo stesso con la Gran Bretagna: solo il “popolo eterno” non dimentica. Che cosa ridicola.
Se c’è qualcuno che un giorno “non dimenticherà né perdonerà”, saranno i palestinesi, dopo 100 anni di tormenti, compresi i prigionieri che sono stati rilasciati due sabati fa. Non dimenticheranno in quali condizioni sono stati detenuti e alcuni non perdoneranno la loro ingiusta detenzione, senza che si sia mai tenuto un processo sul loro caso.
Le emozioni si sono scatenate di nuovo sabato scorso, e a ragione. Altre tre vite sono state liberate dall’inferno. (…)
Ma mentre tutti gli occhi umidi erano rivolti alla base militare di Re’im – primo punto di arrivo degli ostaggi, e poi al Centro Medico Sheba e all’Ospedale Ichilov, dove subito dopo sono stati portati – sono stati rilasciati altri 369 detenuti e prigionieri palestinesi, tutti esseri umani, esattamente come i nostri Sagui, Iair e Sasha.
La folla brucia le magliette indossate dai prigionieri palestinesi liberati a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, sabato.Credit: Abdel Kareem Hana / AP
Le telecamere dei media stranieri si sono concentrate meno sui palestinesi, mentre quelle israeliane li hanno quasi del tutto ignorati. Dopotutto, sono tutti “assassini”.
Nessun elicottero li ha aspettati per portarli in ospedale e alcuni sono stati immediatamente espulsi dal loro Paese.
Una minoranza di loro aveva le mani sporche di sangue; gli altri erano prigionieri politici, oppositori del regime. La maggior parte di loro era residente a Gaza ed è stata coinvolta in quell’inferno.
Non è certo che tutte le centinaia di gazawi rilasciati sabato abbiano mai alzato una mano contro un soldato delle Forze di Difesa Israeliane o contro i residenti delle comunità di confine di Israele.
Alcuni di loro sono stati rapiti da Khan Yunis, proprio come gli israeliani sono stati rapiti da Nir Oz. Ma per quanto riguarda Israele, tutti loro facevano parte della forza Nukhba di Hamas.
Anche loro erano attesi da famiglie entusiaste, non meno delle famiglie Dekel Chen, Troufanov e Horn. Anche loro amano i loro figli. Alcuni di loro non sapevano cosa fosse successo ai loro cari dall’inizio della guerra, proprio come le nostre famiglie.
Ma mentre alle nostre famiglie, come a tutta la nazione, è stato permesso di gioire quanto volevano, guidati dalle trasmissioni di propaganda di Israele che trasformano ogni celebrazione umana in un festival di indottrinamento in stile nordcoreano, ai palestinesi è stato vietato di gioire.
Un prigioniero palestinese che indossa una maglietta del servizio carcerario israeliano viene salutato dopo essere stato rilasciato dalla prigione israeliana, nella città cisgiordana di Ramallah, sabato. Credit: Mahmoud Illean/AP
A Gerusalemme Est e in Cisgiordania, ogni manifestazione di gioia è stata nuovamente proibita. Non è stato permesso loro di esprimere la felicità. È così crudele la nostra tirannia, che si estende fino al controllo delle loro emozioni.
A giudicare dal trattamento dei prigionieri e degli ostaggi – un indice molto significativo – è difficile capire quale società sia più umana.
Israele rispetta la Convenzione di Ginevra più di Hamas? Non può più affermarlo. Questa dura impressione non può più essere modificata, nemmeno con le magliette con la Stella di David blu.
Gideon Levy
Haaretz è in quotidiano d’opposizione pubblicato anche in lingua inglese. L’originale di questo articolo si trovaqui
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Uno studio del 2018 ha rilevato che il 79 per cento dei zambiani crede ancora nella stregoneria. Generalmente chi è accusato di utilizzare poteri nefasti viene giudicato da un tribunale tradizionale. Ma stavolta due uomini, accusati di tali reati, sono dovuti comparire davanti ai giudici di una Corte civile.
Il presidente dello Zambia, Hakainde Hichilema
Magia e fenomeni soprannaturali
Non c’è da meravigliarsi, visto che il destinatario delle pratiche occulte dei due accusati è il presidente dello Zambia, Hakainde Hichilema.
Tutto il Paese sta seguendo con curiosità e interesse il processo e riflette chiaramente la credenza nella magia e nei fenomeni soprannaturali, ancora molto presente in alcune parti dell’Africa meridionale e non solo.
Legge coloniale
Torna alla ribalta anche una legge del 1914, risalente all’epoca colonia, che criminalizza tali pratiche. In molti, tra questi studiosi e anche politici, stanno criticando questa normativa.
E, Gankhanani Moyo, docente di beni culturali all’Università dello Zambia, ha sottolineato che il legislatore di allora non ha tenuto conto delle sfumature delle credenze tradizionali africane. “La nostra società e gli individui tradizionali del mio Paese credono in una forte relazione tra il mondo umano e il soprannaturale”, ha chiarito il professore.
Licenza per amuleti
I due uomini, di 42 e 43 anni, sotto processo, sono stati arrestati a dicembre per stregoneria mentre tentavano di vendere diversi amuleti, tra questi anche un camaleonte vivo. Durante le perquisizioni nelle loro case, la polizia ha trovato, oltre al rettile, 14 bottiglie vuote di medicinali tradizionali, la coda di un animale non meglio identificato e altro materiale ridotto in polvere.
Statuette utilizzate nelle pratiche di stregoneria.In Africa cono chiamate juju o grigri
Gli accusati hanno negato di praticare la stregoneria, ma di essere in possesso di una licenza per vendere amuleti.
Intrighi politici
Durante il processo sono emersi anche intrighi politici. Nella fase delle indagini preliminari è stato evidenziato che il mandante dei due indagati sarebbe il fratello di Emmanuel Banda, ex membro indipendente del Parlamento di Lusaka, con lo scopo di nuocere e maledire il presidente.
Qualcuno ritiene però che l’accusa nei confronti di un congiunto di Banda non sia altro che una trovata di Hichilema in previsione delle prossime presidenziali che si svolgeranno nel 2026.
Visto l’interesse che il processo sta suscitando nel Paese – durante la prima udienza il tribunale era stracolmo – la magistratura aveva autorizzato che le altre udienze fossero trasmesse in diretta TV. Ma poi ha fatto marcia indietro, forse perché il potente Consiglio delle Chiese dello Zambia aveva espresso parere contrario alla messa in onda dei dibattimenti in aula.
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da BBC Eye Investigations Katy Ling 11 febbraio 2025
Quando un’importante donna trans saudita ha pubblicato il suo biglietto d’addio su X, i suoi amici e seguaci sono rimasti sconvolti. Il biglietto, visto da milioni di persone, diceva che un avvocato negli Stati Uniti – dove aveva cercato di chiedere asilo – l’aveva convinta a tornare in patria in una famiglia e in un Paese che non avrebbero accettato la sua nuova identità.
Il BBC World Service ha identificato quest’uomo come Bader Alomair, che ha lavorato presso l’ambasciata dell’Arabia Saudita a Washington DC.
Rientri controversi
Il legale è collegato ai controversi rientri dagli Stati Uniti di diversi altri studenti sauditi, tra cui due accusati di aver commesso un omicidio durante il periodo universitario.
Eden Knight si è tolta la vita nel 2023 dopo essere tornata in Arabia Saudita con l’avvocato Bader Alomair
Alomair non ha risposto alle accuse sollevate nella nostra inchiesta.
Eden Knight apparteneva a una delle famiglie più rispettate del regno mediorientale.
Dopo essersi trasferita in Virginia nel 2019 con una borsa di studio del governo saudita per studiare alla George Mason University, all’inizio del 2022, Eden ha deciso di passare dal presentarsi come uomo al presentarsi come donna, indossando abiti femminili e assumendo ormoni sessuali femminili.
Seguito online
Eden ha trovato una comunità su X e Discord in cui si è sentita accettata e ha iniziato ad avere un seguito online. In un post, ha condiviso una foto della sua carta d’identità saudita accanto al suo nuovo look femminile e il post è diventato virale.
Questo tweet di Eden Knight ha dato il via a una tendenza a postare vecchie fototessere di persone transgender in tutto il mondo
Essere transgender in Arabia Saudita non è tollerato né dalla società né dal governo: abbiamo parlato con diversi sauditi transgender, che ora vivono fuori dal regno, che ci hanno raccontato delle molestie e, in alcuni casi, delle violenze subite.
Il ritorno in Arabia Saudita poteva quindi essere difficile per Eden. Sappiamo che il suo visto da studentessa è scaduto all’incirca all’epoca del suo tweet virale, così ha deciso di chiedere asilo negli Stati Uniti per rimanervi in modo permanente.
Un vecchio amico
Eden ha raccontato di essere stata contattata da un vecchio amico che a sua volta le ha presentato un investigatore privato americano, Michael Pocalyko.
Questi si è offerto di aiutarla nella richiesta di asilo e di ricucire i rapporti con la sua famiglia, come ha spiegato un altro amico, Hayden, con cui Eden viveva in Georgia all’epoca.
L’amico di Eden, Hayden (a sinistra), dice di aver ascoltato la conversazione iniziale di Eden con l’investigatore privato Michael Pocalyko
Altri amici hanno condiviso con noi i messaggi di Eden, secondo i quali il signor Pocalyko le avrebbe detto che doveva trasferirsi dalla Georgia a Washington DC per presentare la sua richiesta di risarcimento.
Secondo l’ultimo messaggio pubblicato su X, alla fine di ottobre del 2022, l’investigatore privato ha incontrato Eden scendendo dal treno nella capitale statunitense. Era accompagnato da un avvocato saudita di nome Bader, ha scritto la ragazza.
Sinceramente ottimista
“Ero sinceramente ottimista e credevo che potesse funzionare”, ha confessato Eden nel suo ultimo messaggio. Ha raccontato poi che Bader l’ha ospitata in un bell’appartamento vicino a Washington DC e l’ha portata in giro per la città.
Ma col tempo sembra che abbia iniziato a mettere in dubbio le sue motivazioni. Eden ha scritto agli amici, nei messaggi condivisi con la BBC, che Bader la stava “detronizzando”. Ha raccontato che Bader ha cercato di buttare via tutti i suoi abiti femminili e le ha chiesto di interrompere la terapia ormonale.
Eden ha anche raccontato agli amici che Bader le ha detto che non poteva chiedere asilo negli Stati Uniti e che doveva tornare in Arabia Saudita per farlo. Un esperto di immigrazione statunitense ha spiegato che questo consiglio non è corretto.
Messaggio agli amici
Nel dicembre 2022, Eden ha inviato un messaggio agli amici dicendo: “Sto tornando [in Arabia Saudita] con un avvocato e spero per il meglio”. La sua nota di suicidio su X chiarisce che l’avvocato in questione si chiamava “Bader”.
Non è passato molto tempo prima che Eden chiarisse agli amici che il ritorno era stato un errore. Ha inviato loro un messaggio per dire che i suoi genitori avevano preso il suo passaporto e che il governo le aveva ordinato di chiudere il suo account su X.
Eden ha scritto agli amici di avere le prove che i suoi genitori avevano ingaggiato delle persone per farla tornare in Arabia Saudita. “L’avvocato che mi stava aiutando a ottenere l’asilo lavorava con i miei genitori alle mie spalle”, ha detto a uno di loro.
Nei mesi successivi, dicono gli amici, Eden ha perso ogni speranza di fuggire dall’Arabia Saudita.
Ha lavorato in una posizione junior in un’azienda tecnologica e in pubblico ha assunto la sua identità originale maschile.
Abusi continui
Eden ha scritto a un’amica per raccontarle che stava cercando di continuare a prendere ormoni femminili, ma che i suoi genitori glieli avevano ripetutamente confiscati.
Ha spiegato agli amici di aver subito continui abusi verbali e ha inviato loro un video – che noi abbiamo visto – registrato di nascosto in cui un membro della famiglia le gridava che le avevano fatto il lavaggio del cervello con le idee occidentali.
Eden si è tolta la vita il 12 marzo 2023.
Volevamo trovare “Bader”, l’avvocato che Eden ha accusato di averla detronizzata e di averla convinta a tornare a casa, per chiedergli di più sugli eventi che hanno preceduto la sua morte.
Abbiamo cercato avvocati con questo nome nell’area di Washington e ne è venuto fuori uno: Bader Alomair. Le informazioni online su di lui erano limitate, ma un elenco obsoleto di professionisti che lavoravano a Riyadh riportava il suo nome completo in arabo, che a sua volta ci ha portato a un account Facebook inattivo che mostrava una sua foto alla Harvard Law School.
Foto cruciale
Nei messaggi che Eden ha inviato agli amici, ha detto che il suo avvocato aveva studiato ad Harvard.
Poi, una fonte ha condiviso una foto cruciale – scattata da Eden dall’appartamento in cui il signor Alomair l’aveva installata. Siamo riusciti a geolocalizzarla in un quartiere residenziale alla periferia di Washington DC.
Una persona che si trovava lì ci ha detto di aver conosciuto Eden e di averla vista con il signor Alomair.
Abiti femminili
Ha spiegato che Eden possedeva abiti femminili, gioielli e trucchi, ma che doveva nasconderli quando veniva il signor Alomair. La costringeva a tagliarsi i capelli e le diceva di non radersi, ha detto il testimone.
Abbiamo cercato più volte di contattare il signor Alomair, ma non ha risposto. Quando abbiamo visitato l’indirizzo indicato sul registro dell’Ordine degli Avvocati di Washington, abbiamo visto un uomo che corrispondeva alle sue foto salire su un SUV e allontanarsi.
Il codice sulla targa di Bader Alomair ci ha aiutato a scoprire di più su di lui
L’abbiamo seguita, notando l’insolita targa dell’auto: il codice indicava che l’auto era stata rilasciata dall’ambasciata dell’Arabia Saudita a Washington DC e che il proprietario del veicolo era un dipendente dell’ambasciata.
Il ruolo di Alomair all’interno dell’ambasciata era quello di sostenere gli studenti sauditi negli Stati Uniti – ci ha detto un avvocato che ha lavorato con lui in precedenza.
Abbiamo scoperto articoli di giornale che evidenziavano casi in cui Alomair aveva aiutato i senzatetto a causa di un uragano in Florida, per esempio. Ma abbiamo anche scoperto che la sua assistenza si è estesa a situazioni più controverse.
Accusati di omicidio
Il 13 ottobre 2018, due studenti sauditi sono stati interrogati dalla polizia statunitense per la morte di un aspirante rapper in North Carolina – accoltellato, secondo quanto riferito, dopo un alterco con i due.
Circa due mesi dopo, Abdullah Hariri e Sultan Alsuhaymi sono stati accusati di omicidio, ma ormai avevano lasciato gli Stati Uniti.
Appena quattro giorni dopo l’accoltellamento, il signor Hariri era su un volo di ritorno in Arabia Saudita, come suggerisce un’e-mail condivisa con noi. La mail contiene i dettagli dei voli di ritorno che, secondo la nostra fonte, il signor Alomair ha organizzato sia per il signor Hariri che per il signor Alsuhaymi.
Fattura per i voli
Nessuno dei due studenti ha mai commentato pubblicamente il caso.
Un mese dopo, secondo un’altra e-mail, Alomair ha ricevuto una fattura per i voli, che, secondo la nostra fonte, gli sarebbe servita per ottenere il rimborso dall’ambasciata saudita.
Una foto di Bader Alomair, condivisa con noi da una fonte anonima
Un’altra fonte afferma di aver lavorato con lui per rappresentare decine di altri studenti sauditi negli Stati Uniti contro accuse che vanno dall’eccesso di velocità alla guida in stato di ebbrezza.
“Bader si presentava agli incontri con un modulo in arabo, redatto dall’ambasciata saudita, che gli studenti dovevano firmare [e che] prometteva di rimborsare le spese legali al governo saudita una volta tornati in patria”.
La fonte ci ha detto che gli studenti si presentavano alla prima udienza ma sparivano prima delle udienze successive, anche se non sappiamo se il signor Alomair abbia avuto un ruolo in questo.
Facilitato la fuga
Nel 2019, l’FBI ha avvertito che i funzionari sauditi hanno probabilmente facilitato la fuga di cittadini sauditi dai procedimenti giudiziari statunitensi.
“L’FBI valuta che i funzionari del regno dell’Arabia Saudita quasi certamente assistono i cittadini sauditi con sede negli Stati Uniti per evitare problemi legali, minando il processo giudiziario statunitense. Questa valutazione è fatta con grande fiducia”.
Secondo le fonti, Alomair continua a vivere e lavorare negli Stati Uniti. Possiede diverse proprietà commerciali nei dintorni di Washington DC e nell’agosto 2024 sembra aver fondato un nuovo studio legale in Virginia, di cui è socio titolare.
Michael Pocalyko, Bader Alomair e l’ambasciata saudita a Washington DC non hanno risposto alle nostre domande.
Abbiamo contattato la famiglia di Eden per chiedere se volessero partecipare a questa storia, ma non hanno risposto.
Katy Ling
Se siete interessati da uno dei temi trattati in questo articolo, potete trovare informazioni sulle organizzazioni che possono aiutarvi tramite la BBC Action Line.
Nel Regno Unito è possibile chiamare gratuitamente, in qualsiasi momento, per ascoltare informazioni registrate al numero 0800 066 066. Nel resto del mondo, potete trovare aiuto qui.
People outside the UK can watch the documentary on YouTube
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Nell’est della Repubblica Democratica del Congo regna il caos più totale. Giovedì mattina Africa-Express ha ricevuto un whatsapp da Uvira, le seconda città del Sud-Kivu. “Tre uomini in divisa dell’esercito congolese (FARDC) sono entrati nel vescovado per saccheggiarlo”.
Militari governativi allo sbando
“Il vescovo Sébastien-Joseph Muyengo Mulombe e due sacerdoti – continua il messaggio – hanno rischiato di essere ammazzati. Per fortuna stanno bene, ma i tre militari hanno rubato tutto il denaro e i loro telefoni”.
Monsignor Joseph-Sébastien Muyengo, vecovo della diocesi di Uvira, Sud-Kivu, Congo-K
Ieri sera la nostra redazione ha parlato telefonicamente con monsignor Muyengo, che ha spiegato quanto è accaduto giovedì scorso. I tre militari governativi hanno ordinato al prelato e due sacerdoti, con i fucili puntati alla testa, di stendersi per tessa. Poi sono stati derubati di tutto, trascinati e chiusi nelle loro camere e minacciati di morte nel caso avessero aperto bocca o opposto resistenza.
Popolazione abbandonata
“La situazione è davvero grave – ha commentato il prelato -. La popolazione di Uvira è abbandonata a sé stessa. Le autorità civili e militari e gran parte dei soldati e agenti di polizia sono scappati. Altri, invece, sono rimasti bloccati qui, perché i battelli verso Kalamie (capoluogo della provincia congolese di Tanganyika) non partono più. Uvira è nelle mani di governativi sbandati. Si tratta soprattutto di militari e poliziotti fuggiti da Bukavu, capoluogo del Sud-Kivu, oramai in mano ai ribelli M23 e dei ruandesi”.
Due fotografia del vescovado di Uvira
Saccheggi
“Nel frattempo gli uomini di FARDC e i loro “alleati” Wazalendo (patrioti in swahili), hanno iniziato a avere divergenze che non di rado finiscono in scaramucce. Ma le due fazioni restano complici quando si tratta di saccheggiare e depredare i residenti di tutti i loro averi. Ecco perché molti abitanti attendono ora l’arrivo dei combattenti di AFC/M23 come “liberatori”. La popolazione è stanca della guerra, di violenze e vessazioni”.
L’AFC vuol dire Alleanza del fiume Congo, una coalizione politico militare, fondata il 15 dicembre 2023 in Kenya e della quale fa parte anche M23.
Migliaia di congolesi in fuga verso il vicino Burundi
Fuga in Burundi
Secondo un operatore umanitario, le violenze nella zona di Uvira hanno causato diversi morti e feriti. Molti residenti sono fuggiti verso il sud o il vicino Burundi, che sta accogliendo migliaia e migliaia di rifugiati congolesi. “Un’ondata tale non si è vista dall’inizio degli anni 2000”, ha spiegato Brigitte Mukanga-Eno, rappresentante di UNHCR nel Paese della Regione dei Grandi Laghi.
Gitega richiama truppe
L’ex protettorato belga sta richiamando i suoi 10mila uomini in patria. Nel 2023 le autorità di Gitega (dal 2018 capitale del Burundi) avevano inviato le proprie truppe in Congo-K a sostegno di FARDC, per combattere i miliziani M23. Da mercoledì il rimpatrio dei militari di stanza nelle piana di Rusizi (nelle vicinanze della frontiera con il Burundi) è stato accelerato per evitare che restino intrappolati nella ex colonia belga con l’arrivo dei ribelli e i loro alleati ruandesi.
Un alto ufficiale di Gitega ha fatto sapere che alcune unità militari sono già praticamente nelle mani del nemico. Attualmente ci sono già problemi di approvvigionamento dei propri soldati rimasti ancora nella RDC.
Colpito centro MSF
L’M23 continua a guadagnare terreno nell’est del Congo-K. Nel Nord-Kivu i ribelli stanno procedendo verso Butembo e Beni, due centri abitati importanti della provincia. Mentre vicino a Goma, a Masisi, durante scontri con i militari governativi, sostenuti dai suoi alleati Wazalendo, è stato ferito gravemente un impiegato di Medici senza Frontiere (MSF). L’organizzazione ha condannato questo ennesimo episodio di violenza che ha direttamente colpito una struttura umanitaria.
UE: invito al dialogo
L’Unione Europea ha convocato venerdì l’ambasciatore di Kigali accreditato a Bruxelles, criticando l’offensiva degli M23 e dei suoi alleati ruandesi in corso in RDC. L’UE ha poi chiesto l’immediato ritiro dei militari del governo di Paul Kagame. Ha invitato tutte le parti implicate nel conflitto di cessare le ostilità e di riprendere il dialogo.
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