Israele studia nuovi giri di vite a Gerusalemme e giustifica la guerra facendo pubblicità sul Washington Post

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Speciale per Africa ExPress
Eric Salerno
21 febbraio, 2024

Nelle vicende di una terra – quella “santa” della Palestina soprattutto – intrisa di ricordi, di memorie, di storie di conquiste legate alle tre religioni monoteistiche, ogni data, ogni evento, ogni scelta di vita o morte porta a guardare con attenzione alle vicende del passato, ai ricordi, a come e da chi furono tramandate e a come il rispetto reciproco, il buonsenso impongono o suggeriscono di agire nel presente.

Slogan, annunci a pagamento sui giornali, americani specialmente ma non solo, propaganda tivù e ancora di più sul web, sui sociali, diretta ai grandi ma che arriva alle nuove generazioni, turbano, confondono e trasformano una guerra tra due popoli in lotta per la stessa terra in un arcaico conflitto tra i fedeli, credenti, di religioni diverse.

Sul Washington Post di ieri è apparso un grande annuncio pagato dallo stato di Israele. Due concetti, due frasi in contrapposizione. “Se Hamas abbassa le armi non ci sarebbe più guerra” si legge in alto. E accanto, più piccolo: “Il giorno del giudizio non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e li uccideranno. Poi gli ebrei si nasconderanno dietro alle pietre e agli alberi e le pietre e gli alberi urleranno “o musulmano, dove si nasconde un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo.  Articoli 7 Carta della fondazione di Hamas.”

Pagina di pubblicità sul Washington Post del 21 febbraio. Non si dice che fine fanno i palestinesi

 

“Se Israele abbassa le armi non ci sarebbe più Israele”, è scritto subito sotto. E accanto, più piccolo:“Lo Stato di Israele garantirà uguaglianza complete dei diritti sociali e politici ai suoi abitanti di qualsivoglia religione, razza o sesso”.

Articolo 13 – La dichiarazione d’Indipendenza d’Israele

Furono gli ebrei a scrivere la dichiarazione d’indipendenza; furono gli ebrei israeliani a finanziare, quasi dal suo inizio, Hamas e i suoi leader.

L’altro giorno Itamar Ben Gvir, il ministro per la sicurezza nazionale, uno degli esponenti più a destra e più nazional-religiosi del governo Netanyahu ha detto che le forze di sicurezza israeliane dovrebbero impedire ai residenti palestinesi della Cisgiordania occupata di entrare sulla spianata sacra di Gerusalemme e pregare nella moschea di Al-Aqsa durante il mese del Ramadan, una delle festività più importanti del calendario islamico.

Secondo Ben Gvir, che vive in un insediamento ebraico nella Cisgiordania occupata, il divieto andrebbe esteso anche ai palestinesi con cittadinanza israeliana di età inferiore ai settanta anni. “Non dovremmo consentire in alcun modo ai residenti dell’Autorità [palestinese] di entrare in Israele”, ha ripetuto più volte, perché non possiamo “correre rischi”.

La moschea Al Aqsa a Gerusalemme, una delle più importanti per i musulmani

Categorico, su posizioni diametralmente opposte il capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano. “Una restrizione del genere potrebbe allargare il conflitto e, sopratutto, assumere i connotati di guerra di religione”.

Il premier Netanyahu ha subito chiesto ai suoi collaboratori di studiare la questione e decidere eventuali – probabili – limiti di età per chi vuole accedere al luogo santo. Non sarebbe la prima volta.

E ieri, per ridurre timori e la rabbia crescente nella popolazione palestinese musulmana, il ministro Benny Gantz si è rivolto mercoledì ai cittadini arabi di Israele: “Siete una parte inseparabile della società israeliana. Cittadini con uguali diritti. Lo Stato di Israele rispetta la libertà di religione e agirà per consentire al maggior numero di fedeli di visitare il Monte del Tempio in modo sicuro durante il Ramadan. Anche in questo periodo di minaccia alla sicurezza, garantiremo la libertà di religione e la santità della festa. Agiremo solo contro coloro che mettono in pericolo la sicurezza, e non contro coloro che vengono a adorare. Tutti i membri del gabinetto di guerra sono uniti su questi principi, e questi saranno gli ordini dati alle forze di sicurezza”.

Molti siti musulmani raccontano storie vecchie, spesso antiche, collegate al mese di Ramadan. Nel 1187, Saladino – quello che siamo stati abituati a chiamare “il feroce” ma che, invece, lo era molto meno di altri guerrieri del passato e del nostro presente, era in guerra contro il regno crociato di Gerusalemme. Fu durante la grande festa dei musulmani che ebbe luogo la battaglia di Hattin, a ridosso del lago di Tiberiade definita “la più grande vittoria per i musulmani da quando Khalid ibn al-Walid sconfisse i romani nella battaglia di Yarmouk”.

Forze di sicurezza israeliane pattugliano la spianata davanti alla moschea Al Aqsa. Questa foto, come quella più in basso, è stata scattata nel 2022

Non facevo il cronista o l’inviato di guerra, allora, e ci sono versioni appena differenti di come andarono le vicende ma, nell’insieme, gli storici sembrano concordare sopratutto sui comportamenti dei leader di allora nei confronti di combattenti e non combattenti.

Riprendo una versione musulmana. Umar ibn al-Khattab aveva conquistato Gerusalemme nel 637; Papa Urbano II indisse le Crociate nel 1095 per portare la Terra Santa sotto il dominio cristiano e la città santa fu strappata ai musulmani solo quattro anni dopo. “I crociati massacrarono oltre 70.000 musulmani ed ebrei e per la prima volta dai tempi di Umar ibn al-Khattab non ci furono preghiere nelle moschee di Gerusalemme”.

Facciamo un salto in avanti. La battaglia di Hattin aprì la strada a Gerusalemme ed entro 3 mesi Gerusalemme fu riconquistata da Saladino e le sue armate. “Laddove i crociati massacrarono migliaia di musulmani ed ebrei per conquistare Gerusalemme nella prima crociata, Salahuddin fu magnanimo e li lasciò andare pacificamente con tutti i loro averi dopo aver pagato un piccolo riscatto e coloro che non potevano pagare andarono completamente liberi”.

 

Torniamo a oggi. Le ultime proposte di Ben-Gvir hanno suscitato costernazione a Gerusalemme. Mustafa Abu Sway, membro del consiglio consultivo della moschea di Al-Aqsa, ha affermato che è deludente vedere il complesso utilizzato come strumento politico.

“Al Aqsa avrebbe dovuto essere risparmiata dalla politica interna israeliana”, ha aggiunto ricordando come la Seconda Intifada scoppiò allindomani della visita nel settembre 2000 al complesso di Al-Aqsa di Ariel Sharon, che allepoca era candidato alla carica di primo ministro. Le rivolte e i disordini durarono cinque anni. Era una tattica elettorale e ha funzionato, ha detto Abu Sway, poiché Sharon fu eletto premier l’anno successivo.

Eric Salerno
eric2sal@yahoo.com
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