Usa fiancheggia Israele alla Corte internazionale: no a fine occupazione West Bank

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Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
21 febbraio 2024

Sarà difficile che lo Stato palestinese veda la luce. Almeno a breve. Il presidente americano Biden da settimane dice che il governo israeliano deve contemplare la nascita di uno stato palestinese e che questo punto deve far parte delle trattative per la liberazione degli ostaggi. Ma gli Usa ieri sono intervenuti per dire che la Corte internazionale di giustizia, dove è in corso un processo sull’argomento (il verdetto è previsto per la fine dell’anno e sono 52 paesi appellanti), non può ordinare a Israele di lasciare la West Bank e Gaza se non ci sono le condizioni di sicurezza (per Israele).

Proprio oggi la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato a larghissima maggioranza la mozione del premier per il no a una dichiarazione unilaterale per la fondazione di uno stato palestinese e la fine dell’occupazione della Cisgiordania (99 a favore e solo 9 parlamentari contro).

Morale da mesi è evidente che il premier Benjamin Nethanyahu parla poco ma quando lo fa appoggia le decisioni dell’estrema destra della sua compagine governativa. L’ultima decisione presa è di vietare l’accesso ad uomini dai 10 ai 60 anni alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme per tutto il Ramadan. Risultato la piazza è militarizzata e la maggior parte dei fedeli non possono accedere. L’inizio, la metà, i venerdì e la fine del Ramadan erano l’occasione per chi sta nella West Bank per andare a Gerusalemme e a Gerusalemme est anni fa si vedeva arrivare a piedi una fiumana di gente che arrivava a celebrare i suoi riti. Tempi passati.

Gerusalemme Al-Aqsa
La moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme nella Città vecchia – foto Al Jazeera

Il governo al potere, criticatissimo sulla stampa (“il peggior governo della storia di Israele” scrive Haaretz), resiste e il partito minoritario Partito di Unità Nazionale alleatosi dopo l’attacco di Hamas non si stacca con la motivazione che andare subito a elezioni sarebbe un disastro. La verità è che tuti i sondaggi danno Netanyahu in calo e Benny Gantz in ascesa (uno dei leader di Uità nazionale appunto).

Benny Gantz -foto Times of Israel

I media progressisti dicono che il governo ultranazionalista sta buttando benzina sul fuoco: sta incentivando l’occupazione della West Bank con nuove colonie, sta distribuendo porto d’armi a chi lo chiede con grande liberalità col mantra “se tutti nei kibutz del Negev avessero avuto un’arma, l’assalto di Hamas sarebbe un’altra storia”, intende negare i diritti delle minoranze, compresi i drusi che infatti sono piuttosto preoccupati.


Ultimamente Netanyahu sta anche aspettando le scuse del primo ministro brasiliano Lula Ignazio da Silva che ha paragonato la strage nella Striscia di Gaza (29.195 morti il 20 di febbraio) alla Shoa, violando un altro tabù della storia di Israele e cioè l’unicità e irrepetibilità del Soluzione finale nazista.

In contemporanea il governo ha attaccato l’Unrwa anche dopo il licenziamento di 12 dipendenti (di cui alcuni defunti) sospettati di aver partecipato all’attacco del 7 ottobre. I principali finanziatori hanno sospeso le donazioni, compresa l’Italia che aveva ritenuto opportuno farlo già dopo il 7 ottobre. Ma nel giro di una settimana è emerso che secondo un rapporto militare israeliano ci sarebbe un’altissima percentuale di militanti di Hamas dentro all’Agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati. Unrwa continua ad operare per ora, come leggiamo in un recente report: https://news.un.org/en/story/2024/02/1146597


Per delegittimare qualsiasi interlocutore internazionale pro Stato Palestinese e sventare l’ipotesi di un cessate il fuoco definitivo, sono piovuti attacchi anche contro la relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, l’italiana Francesca Albanese, che come ricorda in questa intervista a Corrado Formigli a Piazza Pulita non ha accesso ai territori palestinesi di cui si dovrebbe occupare dal 2008:

La strategia del governo suprematista è evidente: attaccare tutte le agenzie dell’Onu, che potrebbero intervenire nel caso si volesse istituire uno Stato Palestinese accanto a Israele. Spariti tutti i mediatori lo Stato Palestinese, caldeggiato (forse) anche dagli Usa, non si fa. E infatti leggiamo su Jerusalem Post frasi come “sarebbe un regalo ad Hamas”, oppure creare uno stato palestinese vuol dire avere accanto nemici che ci attaccheranno anche in futuro, cercando di negare che i diritti dei palestinesi sono sempre stati parecchio risicati, che l’accesso alle risorse energetiche dipende sempre da Israele, che l’Autorità palestinese non ha mai potuto avere un porto neppure per la pesca, né sfruttare il gas naturale di sua competenza nel Mediterraneo.

Insomma la costruzione del nemico continua. Prima era l’Olp e Arafat. Oggi è Hamas. E il continuo ritorno all’assalto sanguinoso del 7 ottobre non fa che rinverdire l’odio. Ma la pace si fa con i nemici che si chiamino Hamas o altro.

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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