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Salviamo la cappella di Malindi! Firma la petizione di Africa Express

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Malindi, 6 febbraio 2025

English translation at the end

Un’importante testimonianza di enorme valore storico a Malindi rischia di scomparire, ingoiata dal cemento. E Africa Ex-Press lancia una petizione per salvarla.

Chi pensa che Malindi sia solo sole, mare, cielo azzurro si sbaglia. Nella città costiera keniota ci sono anche dei gioiellini storici che val la pena di visitare, giusto per far qualcosa di culturale e non solo di ludico.

Per esempio, è interessante una visita alla piccola cappella costruita nel 1502 dai membri dell’equipaggio portoghese che accompagnò Vasco de Gama nel suo secondo viaggio verso le Indie.

La piccola cappella di Vasco de Gama che sta per essere sommersa da una palazzina di cemento

Certo, non crediate di trovare affreschi o immagini come nelle chiese europee o etiopiche. Il valore di quella cappella è prevalentemente storico. E’ il primo edificio cristiano costruito in Africa orientale dove già per altro esistevano moschee, giacché quella costa del continente faceva parte del sultanato di Zanzibar, a sua volta tributario del sultano dell’Oman.

Il piccolo gioiellino storico è stato preservato nei secoli e in questi anni sottratto agli appetiti di chi voleva abbatterlo per costruire un edificio residenziale. Ora però, come si vede dalle immagini, rischia di venire ingoiato dal cemento di una palazzina che un’azienda cinese gli sta costruendo accanto. La sua destinazione è una sorta di mercato del pesce o un laboratorio per la lavorazione del pescato.

Al di là della legittima domanda “Chi gli ha dato i permessi necessari?” (la cui risposta è scontata in un Paese ad alto tasso di corruzione, ndr) la parte più sensibile della popolazione di Malindi, è insorta, si è rivolta ai giudici che hanno bloccato i lavori.

Ma i pescatori di Malindi, aizzati dai cinesi (probabilmente anche con cospicui versamenti di denaro), hanno risposto raccogliendo firme per invitare i magistrati a ribaltare la loro decisione.

Tra gli indignati contro questo mostro Franco De Paoli, chargé d’affaire dell’Ordine di Malta in Kenya, che ha mobilitato l’ambasciatore del Portogallo, il vescovo di Malindi, Willybar Lagho, la direttrice del museo di Malindi, Doris Kamuye, il nunzio apostolico in Kenya, vanMegen, il rappresentante dell’UNESCO e altre personalità politiche e del mondo diplomatico del Kenya. Tutti a difesa della piccola perla di Malindi.

Massimo A. Alberizzi
X: @malberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com

FIRMA LA PETIZIONE CLICCANDO SUL LINK QUI SOTTO

English translation:

An important landmark of enormous historical value in Malindi is in danger of disappearing, swallowed by concrete. And Africa Ex-Press launches a petition to save it.

Those who think Malindi is just sun, sea, and blue skies are wrong. There are also historical gems in the Kenyan coastal city that are worth visiting, just to do something cultural and not just playful.

For example, it can be important a visit to the small chapel, built in 1502 by members of the Portuguese crew that accompanied Vasco de Gama on his second voyage to the Indies.

While the curch does not have frescoes or images it has an important historical value. It is the first Christian building built in East Africa where, by the way, mosques already existed, since that coast of the continent was part of the Sultanate of Zanzibar, itself a tributary of the Sultan of Oman.

The little historic gem has been preserved over the centuries and in recent years rescued from the appetites of those who wanted to tear it down to build a residential building now, however, as can be seen from the pictures, it is in danger of being swallowed up by the concrete of a building that a Chinese company is building next to it. Its intended use is as a kind of fish market or a workshop for processing the catch.

Beyond the legitimate question “Who gave him the necessary permits?” (the answer to which is a foregone conclusion in a country with a high rate of corruption, ed.) the most sensitive part of the population of Malindi rose up and turned to the judges who stopped the work.

But the fishermen of Malindi, egged on by the Chinese (probably also with hefty payments of money), responded by collecting signatures urging the magistrates to overturn their decision.

Among those outraged against this monster Franco De Paoli, chargé d’affaire of the Order of Malta in Kenya, who mobilized the ambassador of Portugal, the bishop of Malindi, the director of the Malindi museum, and other political and diplomatic figures in Kenya. All in defense of the little pearl of Malindi.

Massimo A. Alberizzi
X: @malberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com

SIGN THE PETITION BY CLICKING ON THIS LINK
https://chng.it/622qJK5mM2

Si continua a morire in Sudan ma la guerra è sempre più lontana dai riflettori dei media

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
7 febbraio 2025

I dati dell’Organizzazioni delle Nazioni Unite parlano chiaro: la guerra che sta flagellando il Sudan da poco meno di 22 mesi, ha costretto a 11,3 milioni di persone a lasciare le proprie case. Tra questi 2,5 hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi, mentre 8,8 sono sfollati. Ben 14 milioni di bambini necessitano assistenza urgente. I più non possono frequentare la scuola, derubati della loro infanzia, dell’istruzione. E non hanno nemmeno accesso all’assistenza sanitaria perché, nelle zone di conflitto, il 70 per cento degli ospedali non è operativo.

Crisi umanitaria

Impossibile contare i morti. Sono decine di migliaia e si continua a morire sotto le bombe, di stenti, di fame.

La sofferenza della popolazione sudanese

Eppure il conflitto in Sudan e la sua popolazione continuano ad essere ignorati da gran parte della dei media e dalla comunità internazionale.

I due generali, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, de facto presidente e capo dell’esercito (SAF), continuano incessantemente la loro lotta per conquistare il potere. Entrambe le fazioni sono accusate di crimini di guerra. Sia Hemetti, un ex capo dei famigerati janjaweed, sia il capo dello Stato sudanese sono stati sanzionati dal Tesoro dell’amministrazione Biden, poco prima di cedere il testimone a quella di Donald Trump.

Marcia verso Khartoum

Intanto l’esercito sta avanzando verso il centro di Khartoum, nelle mani dei paramilitari sin dall’inizio della guerra. Le RSF negano però che i loro uomini stiano fuggendo dalla capitale. “I combattimenti continuano”, ha dichiarato sui social network Mek Abu Shotal, uno dei leader dei miliziani. Mentre Hassan al-Turabi, un altro responsabile delle RSF, durante una conferenza stampa di pochi giorni fa ha sottolineato che “Il gruppo è sempre coeso e in grado di sconfiggere il nemico e non permetterà all’esercito di entrare a Khartoum”.

Nelle ultime settimane gli attacchi si sono nuovamente intensificati in diverse aree del Paese.

SAF riconquista Wad Madira nello Stato di La Gezira

E l’esercito ha fatto sapere di aver riconquistato Umm Rawaba, situata su un’autostrada strategica che collega il Nord Kordofan al Sudan centrale. Da fine gennaio anche Wad Madira, nello Stato di La Gezira è nuovamente nelle mani dei governativi. Migliaia di sfollati stanno tornando a casa, ma molti non troveranno più nulla. Molte abitazioni sono state saccheggiate, danneggiate, distrutte mentre la zona era sotto il controllo dei miliziani.

Chiesta no-fly zone

Bombardamenti su bombardamenti in molte zone. Anche questa settimana l’aeronautica militare di Khartoum ha lanciato bombe su Nyala, capoluogo del Sud Darfur. Ben 34 persone sono state uccise. Mohamed Ahmed Hassan, capo dell’amministrazione civile del Sud Darfur ha rinnovato il suo appello alla comunità internazionale affinché imponga una no-fly zone in Darfur, in particolare sul capoluogo del Sud Darfur, già oggetto di numerosi attacchi da quando è in mano ai ribelli dall’ottobre 2023.

Civili morti

Clémentine Nkweta-Salami, coordinatrice di OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) in Sudan, ha denunciato un sanguinoso attacco a Omdurman, città gemella di Khartoum, sull’altra sponda del Nilo, in un’area controllata dai governativi. In seguito a bombardamenti aerei e artiglieria pesante, gli uomini di Hemetti avrebbero ucciso almeno 56 persone e ferito altre 158 che si trovavano in un mercato orto-frutticolo del centro abitato. E prontamente martedì scorso le RSF, con nuovi raid aerei, hanno centrato un ospedale della città, causando almeno una quarantina di vittime.

La coordinatrice ha severamente condannato anche le altre recenti aggressioni nel Nord-Kordofan (nel centro del Paese) e nel Darfur occidentale. Ovviamente a farne le spese è sempre la popolazione civile e, secondo l’ONU, tali offensive rappresentano gravissime violazioni dei diritti umani. Basti pensare che solamente la scorsa settimana, secondo stime di AFP (riprendendo i dati dell’ONU e dei soccorritori) sarebbero state uccise almeno 191 persone.

Crisi con Sud-Sudan

Intanto non si placano nemmeno le tensioni tra Juba e Khartoum, che accusa il Sud Sudan di appoggiare le RFS. E’ risaputo che almeno 5000 sud sudanesi combattono nei ranghi delle RFS, fatto che il governo di Salva Kiir non nega affatto. “Ma, ha precisato il ministro degli Esteri del Sud Sudan, il mio Paese ha sempre dichiarato la propria neutralità nel conflitto del Sudan”. Ha poi aggiunto che le dichiarazioni di Yasser al-Atta, vice comandante in capo dell’esercito sudanese, sarebbero false e pericolose e Juba le condanna fermamente. Il 20 gennaio al-Atta aveva detto che le RSF – che conta oltre centomila uomini – sono composte per il 65 per cento da sud sudanesi.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Sudan: esercito accusato di torture e omicidi di sud sudanesi

Addio all’Aga Khan: il Kenya è stato la sua seconda patria

Dal Nostro Corrispondente
Costantino Muscau
Nairobi, 5 febbraio 2025

Ei fu. Anche il Kenya, potremmo dire, ha il suo 5 maggio. È vero che l’annuncio ufficiale è arrivato poco dopo le 22,30 del 4 febbraio, direttamente dall’AKDN, (Aga Khan Development Network, ndr), ma è stato oggi, 5 febbraio, che il Paese ha preso coscienza e conoscenza della scomparsa di un personaggio che in 70 anni ha lasciato tracce profonde nella sanità, istruzione, cultura, economia di Nairobi e dintorni.

Aga Khan Hospital, Nairobi, Kenya

“Il principe Karim Al-Hussaini, Aga Khan IV, 49esimo Imam ereditario dei musulmani sciiti ismailiti e diretto discendente del profeta Maometto – si legge nell’annuncio –  è deceduto pacificamente ieri nella sua residenza di Lisbona, all’età di 88 anni, circondato dalla sua famiglia.

 

Giovani laureati all’università Aga Khan di Nairobi

Il Kenya è colpito, attonito, ma non muto. Anzi, ricordi e commemorazioni nella mattinata odierna si sono succeduti a ondate. L’Aga Khan University apre il suo sito con una foto del sorridente “leader visionario“ che nel 1983 la fondò“, per migliorare la qualità della vita nei Paesi in via di sviluppo attraverso l’insegnamento, ricerca e assistenza sanitaria di livello mondiale”.

Condoglianze dal mondo intero

Il presidente della Repubblica, William Ruto, ha dichiarato: ”Il mondo ha perso un leader straordinario che è andato oltre ciò che sembrava impossibile per aiutare i più vulnerabili attraverso le sue opere di beneficenza negli ospedali e nelle scuole”.

Il quotidiano Daily Nation, corazzata informativa, assieme al canale NTV, del National Media Group, la più grande società mediatica indipendente di Kenya, Tanzania, Uganda e Ruanda, di proprietà di Karim, trabocca di condoglianze e celebrazioni di ogni parte del pianeta: dal segretario dell’ONU, Antonio Guterres, a Re Carlo III, al primo ministro canadese, Justin Trudeau, al premio Nobel per la pace, la giovane pakistana Malala Yousafzai.

Agenzie sviluppo private

L’Aga Khan Development Network (AKDN), la rete di agenzie di sviluppo private e non confessionali fondata dal principe, che impiega 96 mila persone, “mentre onora l’eredità del fondatore ribadisce l’impegno a continuare a lavorare per migliorare la qualità della vita di individui e comunità in tutto il mondo, come lui desiderava, indipendentemente dalle loro affiliazioni religiose o origini”.

Può sembrare il tutto enfatico ed esagerato, ma spesso si sottovaluta che cosa abbiano significato per il Kenya, forse più che per il Pakistan, Bangladesh, Tajikistan, Afghanistan, Canada, Sardegna (con la Costa Smeralda), la figura e l’opera di questo miliardario amante del lusso, ma riservato e filantropo (seppure non proprio… disinteressato).

Karim Al-Hussaini, Aga Khan IV, 49esimo Imam ereditario dei musulmani sciiti ismailiti

Padre di 3 figli e una figlia, due mogli, padrone di un’isola alle Bahamas, di un jet, un superyacht, di cavalli di razza (famoso il leggendario Sherman), aveva la cittadinanza onoraria del Canada, quella britannica e quella portoghese, dove si trova una notevole comunità ismaelitica.

Seconda patria

Tuttavia il  Kenya e questa parte dell’Africa, per Karim, sono stati una seconda patria. Era nato a Ginevra il 13 dicembre 1936, da Aly Khan e dalla britannica Joan Buller, ma parte della sua infanzia la ha trascorsa proprio a Nairobi e a Mombasa, sull’oceano Indiano.-

E nel 1957 si trovava in Tanzania, dove si era trasferito con il padre, quando succedette al nonno quale discendente di Maometto e guida dei venti milioni di ismailiti. Il papà, infatti, era stato cacciato dalla linea di successione a causa del suo tumultuoso matrimonio con l’attrice americana Rita Hayworth.

Nominato successore

Dopo l’apertura del testamento, Aga Khan Development Network ha annunciato poche ore fa il successore di Karim Aga Khan. E, secondo le volontà del padre, Rahim Al-Hussaini Aga Khan V, il secondo dei quattro figli – il primo dei tre maschi – sarà il 50esimo Imam ereditario dei musulmani sciiti ismailiti e diretto discendente del profeta Maometto.

Istruzione e Sanità

A Nairobi, le più grandi istituzioni riguardanti l’istruzione e la sanità sono due punti di riferimento non solo storici, ma anche fisici.

Svettano infatti, nel quartiere indiano Parkland, le due torri di 37500 metri quadri, collegate da un ponte, progettate dallo studio di architetti di fama internazionale, Payette.

I rapporti tra la sua famiglia e il Kenya durano da oltre un secolo, la catena di ospedali e i centri medici distribuiti in tutto lo Stato (da Kisumu, a Mombasa, a Kericho, a Eldoret, a Kisi) è stata avviata oltre 70 anni fa. Intendiamoci: l’assistenza è qualificata, ma tutta privata.

Se non si hanno soldi, non si entra: le assicurazioni sanitarie, indispensabili per viaggiatori, operatori e turisti, sono  tutte convenzionate, ma se si vuole un trattamento adeguato è preferibile evitare la classe – diciamo così- popolare (cameroni che un paziente non si aspetterebbe in una struttura di questo, livello).

Meglio scegliere  la “business”, ovvero la stanza singola. Altrimenti son dolori: non solo si paga anche l’aria (o, meglio, l’acqua fisiologica, cerotti, insomma tutto), anche con prezzi un pochino più economici ma l’assistenza non è proprio il massimo.

Contrasto alla povertà

Comunque l’opera complessiva dell’AKDN in Kenya è stata utile, massiccia, ammirevole non solo nell’istruzione e salute, ma anche nel contrasto alla povertà, nella promozione del turismo e nella difesa dell’ambiente.

Nel 1996, Karim, in visita ufficiale, rafforzò i rapporti con il governo firmando un accordo di Cooperazione. Si calcola che gli interventi umanitari abbiano coinvolto in modo diretto 7 milioni di kenyani e 4 milioni in modo indiretto.

Protezione ambiente e natura

Un anno fa il principe Hussain Aga Khan, 50 anni, terzogenito di Karim, appassionato di immersioni, inaugurò una mostra di foto marine al museo nazionale del Kenya, a conferma del coinvolgimento della sua famiglia nella protezione della natura.

Nel 2009 aveva dato vita alla organizzazione senza scopo di lucro FON,  (Focused on nature) per sostenere gli habitat minacciati o in via di estinzione. L’anno prima suo padre era tornato nella capitale per l’ampliamento delle facoltà di Scienze della Salute e di Cardiologia e Cancro.

Emancipazione economica donne

Esattamente un anno fa era venuta in Kenya anche la primogenita, Zahara Aga Khan, 54 anni, per continuare, in pratica, il lavoro paterno. Incontrando il presidente Williams Ruto e la First Lady Rachel Ruto, “hanno esplorato opportunità di collaborazione in nuovi settori, quali, ad esempio, il progresso della emancipazione economica delle donne”.

Zahara Aga Khan con il presidente del Kenya, William Ruto

Come disse una volta lo scomparso principe “essere ricchi non è un peccato e l’Islam insegna tolleranza, compassione per i più vulnerabili e sostiene la dignità umana”.

Campione di pluralismo

Per questo, probabilmente, il riconoscimento più giusto e più degno per Aga Khan IV è quello riassunto nella biografia scritta dal giornalista viaggiatore e scrittore tanzaniano, Mansoor Ladha, “Aga Khan: bridge between East&West”.

“È stato la faccia moderata dell’Islam, campione di pluralismo, promotore dei valori dell’Islam miranti a ridurre l’estremismo e il radicalismo. Un ponte tra l’Oriente e l’Occidente”.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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Il Congo-K accusa: “La pubblicità calcistica ‘Visit Rwanda’ gronda di sangue”

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Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Nairobi, 4 febbraio 2025

Rwanda, Rwanda, il sole splende in Rwanda. Le nuvole scure della tristezza se ne sono andate. Dio le ha spazzate via. L’amore prevarrà”. Questa la colonna sonora eseguita dal cantante ivoriano Alpha Blondy di un toccante e suggestivo video pubblicitario. Ora però arrivano accuse che oscurano quelle meravigliose immagini del Paese dalle mille colline. Delle vere pallonate in faccia al regime di Kigali.

Sangue sulle sponsorizzazioni

Scende nel sanguinoso campo di battaglia dell’est del Congo un player inaspettato: il calcio. “Sono sponsorizzazioni grondanti di sangue, quelle fatte con il Rwanda. È ora di dire basta”.

Maglia dei giocatori dell’Arsenal

Questo ha messo per iscritto il ministro degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo, Therese Kayikwamba Wagner, 42 anni, in una lettera inviata a tre importantissimi club europei, l’Arsenal, di Londra, il tedesco Bayern Monaco e il francese Paris Saint Germain.

Basta pubblicità

Contiene l’invito esplicito a interrompere i loro accordi pubblicitari con “Visit Rwanda”, la colossale e patinata campagna di propaganda turistica per il piccolo Stato dell’Africa orientale.

Accuse pesanti

La ministra ha accusato i tre giganti del calcio mondiale di essere “direttamente responsabili della situazione disastrosa” nella guerra in corso da anni nel suo Paese. L‘Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che quest’anno oltre 400.000 persone siano state costrette ad abbandonare le proprie case con 4 mila soldati ruandesi attivi nell’area insieme al gruppo ribelle M23, sostenuto dal governo di Paul Kagame, presidente del Ruanda, e composto prevalentemente da elementi di etnia Tutsi.

Solo difesa

Il governo ruandese respinge ogni accusa. Dichiara di difendersi e denuncia l’esercito congolese di essersi alleato con gli hutu per attaccare i tutsi in Congo e minacciare quindi il Rwanda. Inutile ricordare che il Paese delle mille colline nel 1994 fu teatro dell’agghiacciante genocidio nello scontro fra Hutu e Tutsi, molti dei quali si rifugiarono in Congo.

Congo-K: civili in fuga

Risorse depredate

Pochi giorni fa la ministra congolese aveva chiesto sanzioni e l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’ONU, accusando il Rwanda di agire impunemente e di depredare le risorse del Congo. “Migliaia di persone sono intrappolate nella città di Goma, assediata, con accesso limitato a cibo, acqua, elettricità e sicurezza. Innumerevoli vite sono state perse. Quando è troppo, è troppo”, aveva detto la  Wagner.

Ora la ministra è scesa concretamente in campo, nel bellico e calcistico, con una trovata clamorosa, in pratica la richiesta di una “auto sanzione “.

Monito ai presidenti

Ha scritto alle tre società, in particolare al presidente del Bayern, Herbert Hainer, e ai proprietari dei Gunners (Arsenal), con i quali esiste il più antico accordo pubblicitario. In una lettera a Stan Kroenke e al figlio Josh, la Wagner ha ribadito quanto dichiarato all’Onu, ma puntando il dito: ”Il vostro sponsor è direttamente responsabile di quanto accade. Scrivo per mettere in discussione la moralità del vostro club, dei vostri sostenitori e dei vostri giocatori, sul perché continuate a collaborare con ‘Visit Rwanda”.

Secondo la Wagner, le forze sostenute dal Ruanda hanno saccheggiato “milioni di tonnellate di minerali”, riportandoli oltre confine e poi vendendoli sul mercato globale.

Minerali rubati

“Quanto siete certi che i soldi dei minerali ottenuti col sangue non vengano utilizzati per finanziare il vostro accordo?”, ha concluso.

L’appello è giunto proprio mentre il gruppo ribelle M23 ha conquistato Goma, la città più grande del Congo-K orientale. Il ministero della Salute della Repubblica Democratica del Congo ha commentato che negli obitori degli ospedali intorno a Goma, in seguito a questa offensiva, nella zona (ricca di oro, stagno e soprattutto di coltan) c’erano quasi 800 cadaveri.

Sportswashing

Da anni il Rwanda usa lo sport come strumento – ha ricordato l’altro giorno la BBC – per migliorare la propria immagine globale e la campagna Visit Rwanda ha sicuramente aumentato la notorietà del Paese, anche se la strategia pubblicitaria è definita dai critici come “sportswashing”.

Mondiali di ciclismo su strada

D’altra parte è nota la passione sportiva del presidente Paul Kagame, 67 anni, che ha annunciato la sua candidatura per organizzare una gara di Formula 1, mentre a settembre Kigali dovrebbe ospitare i Campionati mondiali di ciclismo su strada.

L’evento, il primo in terra d’Africa, è stato confermato il 31 gennaio dall’organismo di governo mondiale del ciclismo (UCI), perché – a suo dire -il Ruanda “rimane sicuro per il turismo e gli affari” e i combattimenti sono limitati alla Repubblica Democratica del Congo.

Tour du Rwanda

Così come è previsto il regolare svolgimento del 17esimo Tour du Rwanda, che inizia il 23 febbraio e si concluderà il 2 marzo, nonostante  le squadre in gara, tra la terza e la quarta tappa, pernottino a Rubavu, a 10 km da Goma.

Quanto al calcio, l’ Arsenal è stato il primo, con il logo sulla maglietta all’altezza dell’avambraccio sinistro, dei tre giganti calcistici a firmare, nel 2018, un accordo con la compagnia turistica statale ruandese, rinnovato nel 2021. Il valore economico sarebbe di 10 milioni di sterline (12,5 milioni di dollari/12 milioni di euro) all’anno per la squadra del nord di Londra.

Kagame tifoso dell’Arsenal

Non è un caso che il 9 aprile 2024, Paul Kagame, sia volato a Londra per assistere all’incontro di Champions League tra Arsenal e Bayern (in occasione del 30esimo anniversario del genocidio).

La società calcistica londinese in passato ha sostenuto che il contratto riguarda la promozione del  turismo, non il supporto alla leadership del Paese o a qualsiasi sua politica. “La  maglia dell’Arsenal viene vista 35 milioni di volte al giorno in tutto il mondo e la squadra è una delle più seguite a livello mondiale – avevano dichiarato i due contraenti al momento della stipula dell’accordo – il che consente a Visit Rwanda di essere vista nelle nazioni amanti del calcio ovunque e contribuisce a farla diventare una destinazione turistica e di investimento ancora più di successo”.

Visita ufficiale Arsenal 

Nonostante ciò, violente polemiche erano scoppiate quando la squadra non aveva rinunciato a una visita ufficiale nel Paese africano proprio nel momento in cui il  governo conservatore inglese aveva deciso di spedire in Rwanda gli immigrati senza documenti. (Un provvedimento poi fallito nella sua attuazione).

Football Academy

Nel 2019, è stato sottoscritto il contratto pubblicitario con il Paris St Germain valido fino al 2025. Nell’ambito della partnership, nel 2020 è stata fondata la Paris Saint-Germain Football Academy a Huye, nella provincia meridionale del Ruanda.

Football Academy del Paris Saint-Germain in Ruanda

Appena al 2023 risale invece la collaborazione con il Bayern Monaco: una partnership quinquennale per lo sviluppo del calcio e la promozione del turismo con il Rwanda.

Paradossalmente, l’FC Bayern Monaco, che sostiene di essere il più grande club sportivo del mondo con 150 milioni di follower sui social network, sarebbe la squadra più vicina alla ministra che lo ha messo nel mirino.

Origini anche tedesche

Therese Kayikwamba Wagner, ministro degli Esteri congolese

Therese Kayikwamba Wagner, infatti, è – come dice un suo cognome –  anche tedesca. Lo è da parte di padre, Johannes Wilhelm Wagner, originario del Nord Reno Vestfalia. Missionario cattolico, Wagner è giunto ventinovenne, nel 1966, in Congo, dove ha prestato servizio in una parrocchia popolare di Matete. Qui ha conosciuto Thérèse Kayikwamba Kabundji, per la quale, come si dice, ha gettato la tonaca alle ortiche, e l’ha sposata nel 1977, da cui ha avuto tre figli. Ora la ministra ha messo da parte i legami affettivi.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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Altri articolo sulla guerra in Congo-K li trovare cliccando QUI

 

Kagame finanzia l’Arsenal (sua squadra del cuore) per promuovere il turismo in Ruanda

 

Il checkpoint di Gaza sarà presidiato da decine di mercenari americani armati

Reuters
Jonathan Landay e Aram Roston
Washington, 30 gennaio 2025

Secondo un portavoce dell’azienda e una mail di ricerca del personale visionata da Reuters, una piccola società di sicurezza statunitense sta assumendo quasi 100 veterani delle forze speciali americane per aiutare a gestire un posto di blocco a Gaza durante la tregua tra Israele e Hamas

Vengono introdotti così contractor americani armati nel cuore di una delle zone di conflitto più violente del mondo.

UG Solutions – una società di basso profilo fondata nel 2023 e con sede a Davidson, nella Carolina del Nord – offre a chi assume una tariffa giornaliera a partire da 1.100 dollari con un anticipo di 10.000 dollari ai veterani, si legge nella mail.

La Reuters il 7 gennaio ha riportato che funzionari emiratini avevano suggerito l’uso di contractor privati come parte di una forza di pace post-bellica a Gaza, e che l’idea aveva suscitato preoccupazione tra le nazioni occidentali.

Scontri a fuoco

Il dispiegamento di contractor statunitensi armati a Gaza, dove Hamas rimane una forza potente dopo 14 mesi di guerra, è senza precedenti e comporta il rischio che gli americani possano essere coinvolti nei combattimenti, mentre l’amministrazione del Presidente Donald Trump cerca di evitare che il conflitto tra Hamas e Israele si riaccenda.

Tra i rischi che corrono gli americani ci sono gli scontri a fuoco con i militanti islamici o con i palestinesi arrabbiati per il sostegno di Washington all’offensiva di Israele a Gaza. “È ovvio che si troveranno di fronte a una minaccia”, ha dichiarato Avi Melamed, ex funzionario dell’intelligence israeliana.

Il documento spiega che i contractor saranno armati con fucili M4, utilizzati dall’esercito israeliano e statunitense, e pistole Glock.

Le regole di ingaggio, che stabiliscono quando il personale di UG Solutions può aprire il fuoco, sono state finalizzate, ha dichiarato il portavoce. Ma non ha voluto rivelarle: “Abbiamo il diritto di difenderci”. Non ha voluto parlare neppure di come l’azienda si sia aggiudicata il contratto.

Ruolo dell’Egitto

Il viceministro degli Esteri israeliano Sharren Haskel ha dichiarato martedì ai giornalisti, senza nominare la UG Solutions o gli Stati Uniti, che Israele aveva chiesto che l’accordo includesse l’uso di una società privata.

Il suo compito sarebbe stato quello di lavorare con “una o più società di sicurezza egiziane” per aiutare a mantenere l’ordine e i flussi di aiuti umanitari a Gaza. Ma, ha commentato, resta da vedere se l’accordo “funziona davvero”.

Le precedenti tornate di negoziati per il cessate il fuoco sono state bloccate dalla richiesta israeliana di stabilire nel posto di blocco proprie truppe.

Negli ultimi giorni, testimoni a Gaza hanno descritto che il personale di sicurezza egiziano al checkpoint utilizzava scanner per cercare armi nascoste nei veicoli.

Fonte egiziana

Una fonte egiziana ha raccontato che gli egiziani al checkpoint hanno schierato forze speciali antiterrorismo addestrate negli ultimi mesi.

Un funzionario palestinese vicino ai colloqui, ha confermato che anche i contractor statunitensi saranno presenti al checkpoint, all’incrocio tra il corridoio Netzarim, che divide il nord e il sud di Gaza, e Salah al-Din Street, che separa l’est e l’ovest dell’enclave.

Reuters

Le posizioni approssimative dei due corridoi controllati da Israele che attraversano la Striscia di Gaza

Tuttavia, il funzionario ha affermato che gli appaltatori statunitensi saranno dislocati lontano dai residenti di passaggio e non dovranno avere a che fare con la popolazione locale.

La mail di UG Solutions diceva che la sua missione principale era “la gestione dei checkpoint interni e l’ispezione dei veicoli”. “Ci concentriamo solo sui veicoli”, ha puntualizzato il portavoce.

L’ufficio del primo ministro israeliano ha rifiutato di fornire ulteriori commenti sugli accordi di sicurezza. Il Dipartimento di Stato americano, il Ministero degli Esteri egiziano e Hamas non hanno risposto immediatamente alle richieste di commento.

I disastri dei contractor

In passato, il ricorso degli Stati Uniti a società di sicurezza private ha portato a disastri. Nel 2007, gli appaltatori della società Blackwater, ora defunta, hanno ucciso 14 civili nella piazza Al Nisour di Baghdad, scatenando una crisi diplomatica e indignando gli iracheni.

Un tribunale statunitense ha condannato quattro membri della Blackwater poi graziati da Trump durante il suo primo mandato.

Appesi a un ponte

Nel 2004, gli insorti di Fallujah, in Iraq, hanno ucciso quattro americani che lavoravano per la Blackwater e hanno appeso due dei loro corpi a un ponte, provocando una massiccia risposta militare statunitense.

Secondo il portavoce e un’altra fonte che ha familiarità con il contratto, i reclutati da UG Solutions lavoreranno con la Safe Reach Solutions, con sede negli Stati Uniti e si occupa di logistica e pianificazione.

Ogni assunto – spiega la mail – sarà coperto da un’assicurazione per morte accidentale e smembramento di 500.000 dollari e la paga giornaliera per gli ex medici delle forze speciali statunitensi salirà a 1.250 dollari.

Consorzio finanziato

Una fonte separata che ha familiarità con l’accordo ha svelato che Israele e “Paesi arabi” non meglio precisati coautori all’intesa stanno finanziando il consorzio.

Il governo degli Stati Uniti non ha avuto alcun coinvolgimento diretto nella decisione di includere una società di sicurezza nell’accordo per il cessate il fuoco o nell’assegnazione del contratto, ha detto la fonte.

La narrazione della vittoria

Ahmed Fouad Alkhatib, un ricercatore del think-thank Atlantic Council, cresciuto a Gaza, ha minimizzato il pericolo per gli americani perché il loro ruolo nel ritorno dei civili palestinesi sfollati rafforza la rivendicazione di vittoria di Hamas su Israele.

“Persino Hamas, con tutta la sua orrenda retorica e le sue azioni, capisce che è proprio la presenza americana… ad alimentare la sua narrazione della vittoria”, ha affermato.

Devastata dai bombardamenti

Gaza è stata devastata dai bombardamenti israeliani durante 15 mesi di guerra iniziati dopo l’assalto di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023 che, secondo il bilancio israeliano, ha ucciso 1.200 persone e ne ha prese in ostaggio altre 250.

Quasi 47.000 palestinesi, per lo più civili, sono morti nei combattimenti.

Il 19 gennaio è iniziato un cessate il fuoco di 60 giorni: la prima fase dell’accordo mediato da Egitto e Qatar con il sostegno degli Stati Uniti.

Da allora, centinaia di migliaia di sfollati palestinesi hanno attraversato a piedi e in veicoli il checkpoint a nord verso Gaza City, in gran parte ridotta in macerie dai bombardamenti israeliani.

Società sconosciuta

Diversi operatori del settore della sicurezza privata hanno dichiarato a Reuters di non aver mai sentito parlare di UG Solutions.

L’unico funzionario della società elencato nei registri di costituzione dello Stato della Virginia è Jameson Govani, che non ha risposto ai messaggi telefonici. È descritto come un veterano delle Forze speciali statunitensi.

Una fonte del settore della sicurezza privata statunitense informata sul contratto di UG Solutions, parlando a condizione di non essere citata per nome, ha detto che sembrava rischioso dispiegare gli americani a Gaza e che temeva che il combattimento potesse scoppiare “molto velocemente”.

Attaccati o catturati

Non era chiaro cosa sarebbe successo se gli americani fossero stati attaccati o catturati, o quale legge nazionale avrebbe regolato le azioni dell’appaltatore.

La mail non spiega chi li avrebbe salvati. Il portavoce dell’UG ha detto che il documento era obsoleto e che le forze di reazione rapida sarebbero state disponibili. Non ha fornito ulteriori dettagli. “Siamo ben attrezzati per garantire la nostra sicurezza”, ha concluso.

Jonathan Landay e Aram Roston

L’articolo originale in inglese lo trovate qui

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Grida dal Silenzio: l’inferno delle donne afghane documentate da Maria Grazia Mazzola

Speciale per Africa ExPress
Francesca Canino
Febbraio 2025

Si è spenta la luce in Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani a Kabul nel 2021. Oggi il popolo afgano è solo, povero e senza mezzi, ma a cambiare è stata soprattutto la condizione delle donne, ben illustrata in un servizio di Maria Grazia Mazzola, dal titolo “Grida dal silenzio”, andato in onda sulla Rai.

Relegate in casa

Dopo lunghe battaglie per la parità di genere, le donne afgane sedevano in Parlamento, erano in magistratura, nell’esercito, ma oggi la dittatura talebana le ha relegate in casa, vittime della violenza maschile, delle fustigazioni tornate in auge, del carcere in cui troppo spesso sono rinchiuse.

L’inferno delle donne afghane, relegate nelle quattro mura di casa

Depressione

Molte di loro sono depresse e tentano il suicidio. La discriminazione femminile è adesso una grossa piaga che peggiora di giorno in giorno nel silenzio della comunità internazionale.

Il ritiro delle forze occidentali da Kabul ha escluso le donne dai negoziati e ha delineato per loro la condizione di schiave.

Carcere a cielo aperto

L’Afghanistan è un Paese carcere, da cui alcune donne sono riuscite a fuggire all’estero e si prodigano per aiutare chi è rimasto e vive murata nella propria casa. Ma perché le donne afgane subiscono violenze, vengono bruciate, sono schiave di una società in cui vige l’apartheid di genere?

Povertà

Perché tanta cattiveria da parte degli uomini? Frustrazioni e ignoranza maschile stanno lentamente uccidendo le donne afgane, mentre il Paese sprofonda nella povertà assoluta. È l’ennesimo capolavoro americano in giro per il mondo, su cui, forse, si dovrebbe discutere di più.

Francesca Canino
francescacanino7@gmail.com
@CaninoFrancesca
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Gaza: si parla di ricostruzione ma la tregua non è la pace

350 anni per ripresa

Secondo le Nazioni Unite servono 500 milioni di dollari per bonificare Gaza da 42 milioni di tonnellate di macerie dei palazzi distrutti dalle bombe in 470 giorni di guerra. Un precedente calcolo dell’Onu pubblicato a ottobre scorso sottolineava che “una volta stabilito il cessate il fuoco, ci vorranno 350 anni per tornare ai livelli di crescita del 2022”, infatti si calcola che solo il danno alle infrastrutture causato negli attacchi tra il 7 ottobre 2023 e gennaio 2024 ammontassero a 18,5 milioni di dollari, 7 volte il Pil di Gaza del 2022.

I giornali israeliani (editoriale su Jerusalem Post di qualche giorno fa) ridono ancora sulla storia dei 350 anni, ma è evidente che il calcolo è fatto senza aiuti esterni di sorta, come se l’amministrazione palestinese dovesse rimettere tutto a posto con fondi dell’area.
https://www.un.org/unispal/wp-content/uploads/2024/10/n2426074.pdf

Jabalya, a nord di Gaza, 25 gennaio 2025, foto UNRWA

Gaza sta tornando a respirare, le famiglie stanno rientrando a Nord. I camion entrano finalmente da varchi chiusi per mesi, Erez, Zikim e anche Kerem Shalom e distribuiscono viveri e aiuti anche nel martoriato Nord della Striscia. Ne passano oltre 600 al giorno. Negli incontri di pace, l’ONU si è impegnata a distribuire cibo, aiuti e tende.

Il lavoro è immane: ci sono esplosivi disseminati ovunque, spazzatura da raccogliere nei quartieri, detriti da rimuovere con le ruspe e gli impianti di desalinizzazione stanno tornando in attività grazie all’arrivo del petrolio con le autobotti.

L’UNICEF il 14 gennaio ha portato 500 sedie a rotelle per bambini che non possono camminare.

Normalità surreale

Chiamarlo ritorno alla normalità resta surreale: ad esempio, durante questa fase di tregua, l’esercito israeliano ha precisato che i palestinesi possono percorrere al Rashid Street a piedi dalle 5 di mattina in poi (è quella che i palestinesi fanno non lontano dalla costa, per passare da Sud al Nord della Striscia), mentre per imboccare al Salah al-Din Road (una via più centrale che prima era la costola di scorrimento di Gaza City e nuovamente collega Nord e Sud) bisogna aspettare le 7 di mattina, in auto.

Le indicazioni dell’esercito occupante dicono anche che è vietato avvicinarsi alle truppe israeliane e cooperare con terroristi che trasporti armi da Nord a Sud della Striscia.

Dall’inizio della guerra, sono morti 47.306 palestinesi e l’esercito israeliano ha perso 406 soldati (per un totale di 1.605 persone tra israeliani e stranieri). A ridosso della tregua, iniziata il 19 gennaio, tra il 14 e il 19 gennaio sono morte 268 persone e ne sono state ferite 738. Tra il 20 e il 23 gennaio sono morte altre 65 persone e ferite 416.

Anche Palestinian Civil Defence che funge da SOS, vigili del fuoco e aiuti di ogni genere ha perso 99 dipendenti, uccisi sotto le bombe, 319 sono rimasti feriti e 17 su 21 centri della Striscia sono stati distrutti. Nonostante ciò in questi due anni hanno spento 22 mila incendi e risposto a 500 mila richieste di aiuto.

10mila dispersi

A Gaza si cercano i morti sotto le macerie: risultano disperse circa 10 mila persone. I sopravvissuti vogliono dare una degna sepoltura alle vittime della guerra. Eppure qualche miracolo succede come l’abbraccio tra una ragazzina e suo padre dopo mesi di divisione (fonte verificata dalla tv Al Jazeera).

https://www.instagram.com/reel/DFUz9H6q5u1/

Sanità in ginocchio

La situazione sanitaria continua ad essere allarmante. Il ministro della Sanità di Gaza, Maher Shamiyeh, ha dichiarato che nessun ospedale a Gaza funziona. I nosocomi del Nord sono completamente distrutti e non è stato ancora liberato il direttore dell’ospedale Kamal Adwan, Hussam Abu Safia, arrestato insieme allo staff e alle infermiere.

Secondo l’intelligence israeliana era un colonnello di Hamas. Nel Nord della Striscia si sono contati oltre i 520 attacchi aerei e sono stati arrestati 2.260 lavoratori di centri medici e ospedali.

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Altri articoli sulla guerra a Gaza li trovate qui

Al-Masri: un criminale in libertà

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Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
31 gennaio 2025

Il governo italiano rilascia e rimanda a casa Najeem Osema Al-Masri Habish, su cui pende un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale, che lo accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi nel carcere di Mitiga, in Libia, a partire dal 2015.

Arrestato la scorsa domenica a Torino, è stato liberato martedì e rimandato in Libia a bordo di un aereo dei servizi segreti italiani. La corte d’appello liquida la vicenda come “errore procedurale nel suo arresto”. Un vizio di forma, insomma: non è consentito l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria senza l’interlocuzione preventiva tra il ministro della giustizia e la corte di appello di Roma.
Carcere di Mitiga, Tripoli – Libia [photo credit Human Rights Watch]
Tutto questo mentre Giorgia Meloni ancora non comprende appieno la differenza tra un avviso di garanzia e un’iscrizione al registro degli indagati.

Codice penale

Il nostro codice penale recita: “chiunque aiuti taluno a eludere le investigazioni della Corte Penale Internazionale è punito con la reclusione fino a quattro anni”. È per questo che il procuratore, Francesco Lo Voi, ha aperto un’indagine contro la Meloni. l’Italia è ancora un Paese in cui l’azione penale è obbligatoria.
Ed è anche uno stato di diritto, ciò significa che difendere i collaboratori di giustizia – l’avvocato Luigi Li Gotti, in questo caso, autore dell’iscrizione nel registro degli indagati della premier Meloni – non dovrebbe essere valutato come un oltraggio.

Segreto istruttorio

Intanto aumenta il caos in governo. Nordio e Piantedosi scappano dal dibattito parlamentare sullo scandalo Al-Masri dicendo di non poter violare il “segreto istruttorio”, peccato però che quest’ultimo è stato abrogato nel 1989 e la nozione vigente è segreto investigativo.
Ma chi è Al-Masri? Numero uno della polizia giudiziaria libica e capo della filiale di Tripoli dell’Istituto di Riforma e Riabilitazione – nota rete di centri di detenzione gestiti dalle Forze di Difesa Speciali (SDF), appoggiate dal governo – Al-Masri è uno dei criminali più feroci della Libia.
Spalleggiato sempre dalle SDF, un’unità di polizia militare implicata, in Libia occidentale, nelle atrocità della guerra civile che seguì il rovesciamento e l’uccisione del dittatore libico Muʿammar Gheddafi, nel 2011.

Agenzia governativa

Oggi SDF è una delle agenzie governative più potenti di Tripoli, con cui l’Italia, e l’Europa, hanno costruito un rapporto che vale milioni di euro di finanziamenti.
https://x.com/IntlCrimCourt/status/1882120000766615896
È dovere di tutti gli Stati che hanno ratificato la carta di Roma di cooperare pienamente con la Corte Penale Internazionale nelle sue indagini e nei procedimenti giudiziari dei crimini.
La liberazione, senza preavviso né consultazione della Corte stessa, di Al-Masri è un duro colpo per la giustizia internazionale ed è un’occasione persa per spezzare il ciclo di impunità in Libia.

Attenzione indesiderata

Un processo contro Al-Masri potrebbe attirare un’attenzione indesiderata sulle politiche migratorie dell’Italia e sul suo sostegno alla guardia costiera libica, nell’azione comune contro l’accoglienza di migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Gruppi per i diritti umani hanno documentato gravi abusi nelle strutture di detenzione libiche dove sono trattenuti i migranti, accusando l’Italia di essere complice di tali condotte.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il presidente congolese chiede aiuto all’Angola e lancia un appello alla mobilitazione

Africa ExPress
Kinshasa, 30 gennaio 2025

Dopo i violenti combattimenti dei giorni scorsi tra i ribelli M23, i soldati ruandesi e le truppe congolesi insieme ai suoi alleati, ora a Goma regna una relativa calma.

Ora nel capoluogo del Nord-Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, si sentono solo sporadici colpi di arma da fuoco, ma solo in alcuni quartieri. Comunque la situazione generale resta ancora assai confusa. Nella città manca tutto. Energia elettrica, internet e acqua non sono ancora stati ripristinati. E mancano i viveri.

Duranti i combattimenti per la conquista di Goma sono state uccise oltre 100 persone, e i feriti sono stati moltissimi. Gli ospedali fanno fatica a far fronte all’emergenza, perché mancano medicinali.

Truppe ruandesi entrano a Goma

Chi può, si sposta nel vicino Ruanda per acquistare beni di prima necessità. A Goma negozi, mercati, molti edifici pubblici e privati sono stati saccheggiati e distrutti.

I miliziani di M23, sostenuti dal  Ruanda, mercoledì hanno cominciato la marcia di avvicinamento a Bukavu, all’altra estremità del lago Kivu e capoluogo della vicina provincia del Sud-Kivu.

Discorso alla nazione

Ieri, Felix Tshisekedi, presidente del Congo-K, isolato diplomaticamente in sede internazionale, è volato a sorpresa in Angola. A Luanda ha incontrato il suo omologo João Manuel Gonçalves Lourenço. Ufficialmente non si sa nulla sul contenuto dei colloqui ma, come ha scritto l’autorevole newsletter Africa Intelligence, Kinshasa è alla disperata ricerca di un sostegno che nella regione può dargli solamente l’ex colonia portoghese.

In serata Tshisekedi è rientrato in Congo dove ha tenuto un discorso molto atteso alla nazione, invitando alla mobilitazione. Ha anche assicurato che una risposta è “in corso” e denunciato “l’inazione” della comunità internazionale. La sua “passività rasenta la complicità”, ha detto.

Ha poi accusato il Ruanda per la presenza di migliaia di suoi soldati sul territorio congolese e ha descritto i ribelli M23 come “marionette”. Non ha neppure risparmiato il Palazzo di Vetro, che, secondo lui, avrebbe commesso una flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite.

Felix Tshisekedi, presidente del Congo-K

Il presidente non ha escluso le vie diplomatiche per risolvere la crisi in atto, anzi, ha sottolineato “Privilegiamo la via del dialogo”.

Tshisekedi ha annunciato di aver dato istruzioni al governo di ridurre le spese delle istituzioni e ha fatto un appello al settore privato per sostenere le spese belliche.

Infine ha invitato i giovani ad arruolarsi nell’esercito, e ha concluso il suo intervento con queste parole: “Il Congo non si arrenderà. Non vi abbandonerò mai”.

Fuggiti i capi dell’esercito

Appena i miliziani dell’M23 sono entrati alla periferia di Goma, generali, colonnelli e alti ufficiali dell’esercito congolese (FARDC) si sono dati alla fuga. Sono saltati su un battello e si sono diretti a Bukavu, dalla parte opposta del lago Kivu.

A quel punto il resto degli effettivi dell’esercito, sottufficiali e truppa, si sono consegnati agli uomini dell’M23 e ai militari ruandesi.

Le forze armate di Kinshasa sono mal pagate, poco addestrate e il loro equipaggiamento non è stato ammodernato. I soldati, dopo essere stati abbandonati degli alti ufficiali, parlando con i giornalisti hanno denunciato i loro comandanti per essersi venduti gli armamenti, mitra, proiettili e perfino armi pesanti e di aver intascato i finanziamenti stanziati per comprare arsenali nuovi. Li hanno accusati di corruzione, una malattia endemica nell’ex colonia belga.

Mercenari in partenza  

Intanto 288 mercenari rumeni catturati dai miliziani e dall’esercito ruandese sono stati trasferiti in Ruanda attraverso il valico di confine “Grande Barrière”, che si trova a Goma. In abiti civili, sono stati perquisiti e controllati dagli agenti dell’immigrazione. In seguito il gruppo è salito a bordo di autobus con cui hanno raggiunto l’aeroporto di Kigali.

I soldati di ventura (rumeni, bulgari, bielorussi e georgiani) sono stati reclutati dalla Amani Sarl, filiale congolese della società bulgara Agemira, una compagnia controllata dai servizi segreti francesi.

Olivier Jean Patrick Nduhungirehe, ministro degli Esteri ruandese ha commentato in modo sarcastico l’impiego dei paramilitari da parte di Kinshasa.

Sul suo account X (ex twitter) ha postato: “Siamo stati l’unico Paese al mondo a denunciare l’impiego di mercenari al soldo del Congo-K, utilizzati per combattere accanto a FARDC e i suoi alleati wazalendo (patrioti in swahili, ndr). Questo fatto è in totale violazione di varie convenzioni dell’Unione Africana e dell’ONU. Sia il Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro, sia l’UE e tanto meno i Paesi di origine dei mercenari non hanno mai detto una parola sull’esternalizzazione della guerra da parte di Kinshasa (…)”.

Colloqui 

Il capo della diplomazia di Kigali ha poi affermato che il suo Paese è favorevole al cessate il fuoco in tutta la regione e al dialogo. Il suo governo chiede da tempo colloqui tra Kinshasa e M23.

Nduhungirehe ritiene che la perdita di Goma abbia indebolito Felix Tshisekedi e ora la sua unica opzione è quella di negoziare con i ribelli. Opzione che il presidente congolese ha già rifiutato quando il dialogo è stato tentato dal capo di Stato angolano João Manuel Gonçalves Lourenço.

Ora verso Sud-Kivu 

Intanto a Bukavu, dove si sono diretti i ruandesi e i miliziani M23 sono terrorizzati. I medici, infermieri e pazienti della Fondazione Panzi hanno lanciato un accorato appello: “Aiutateci, temiamo una mattanza”. Panzi è stata creata da Denis Mukwege, medico congolese, insignito del Premio Nobel per la Pace 2018, e poi candidato alla presidenza del Congo nella scorsa tornata elettorale.

Il ginecologo e ostetrico Denis Mukwege nel suo ospedale in Congo
Il ginecologo e ostetrico Denis Mukwege nel suo ospedale in Congo

Crispin Kashale, portavoce dell’ospedale di Bukavu (Sud-Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo), si è sfogato con i reporter di Eurobserver: “Siamo disperati, abbiamo già ricevuto diversi messaggi con minacce. Cosa dobbiamo fare con i nostri pazienti?

Kashale ha ricordato la carneficina dell’ottobre 1996 all’ospedale di Lemera, nel territorio di Uvira (città nel Sud Kivu). Allora, durante un attacco di miliziani di ADFL (Alleanza Democratica per la Liberazione del Congo, guidata dal capo ribelle e poi presidente Laurent Kabila) furono uccisi i pazienti e tutto lo staff medico e paramedico.

Gruppo armato M23

Gli M23 prendono il nome da una data, 23 marzo 2009, giorno nel quale fu siglato un accordo di pace tra il governo del Congo-K e da un’ex milizia filo-tutsi .

Il gruppo tutsi aveva accusato il governo congolese di emarginare la minoranza etnica tutsi presente nel Paese e di appoggiare l’FDLR (Forces démocratiques pour la libération du Rwanda) una milizia a maggioranza hutu.

Con la firma di un altro accordo di pace siglato nel 2013 a Nairobi, l’M23 aveva accettato lo scioglimento come gruppo armato e rinunciato alla violenza. In cambio Kinshasa aveva promesso ai ribelli l’integrazione nell’esercito regolare. Entrambe le parti non hanno mai tenuto fede agli impegni presi.

Azione difensiva

Nei mesi scorsi l’ONU aveva accusato il Ruanda di sostenere l’M23. Kigali aveva sempre negato e ora sostiene che le proprie truppe hanno sconfinato nell’ex colonia belga come azione puramente difensiva.

Anche nella capitale Kinshasa dove la popolazione era scesa in piazza – attaccate diverse ambasciate e saccheggiati alcuni negozi – ora è tornata la calma.

Angola: ritiro truppe ruandesi

Mercoledì, a fine mattinata, (come abbiamo scritto sopra) il presidente congolese è volato a Luanda per un colloquio riservato con il suo omonimo angolano Lourenço, che, incaricato dall’Unione Africana, aveva tentato di negoziare i colloqui tra Kinshasa e Kigali. Dialoghi falliti a metà dicembre dello scorso anno per il rifiuto di Tshisekedi di incontrare i ribelli M23.

Dal canto suo l’Angola già l’altro giorno ha chiesto il ritiro immediato dei miliziani da Goma e delle truppe ruandesi presenti sul territorio congolese. Lourenço auspica inoltre una ripresa urgente dei colloqui sulla questione degli M23 e degli altri gruppi armati attivi in Congo-K.

Situazione umanitaria

La situazione umanitaria è estremamente preoccupante. La distribuzione di aiuti alimentari è stata sospesa. A Goma (un milione di abitanti e altrettanti sfollati) e la sua regione vive una crisi umanitaria cronica da molti anni. E, secondo quanto riferito martedì dal ministro degli Esteri di Kinshasa, a causa dei combattimenti dall’inizio di gennaio hanno lasciato le loro case  altre 500.000 persone.

Africa ExPress
X: @africexp
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Congo-K: altri articoli li trovate QUI

Goma: caccia ai mercenari rumeni arruolati dal governo congolese

 

Piano Mattei per l’Africa: asso pigliatutto per quattro privati in agricoltura, energia e innovazione tecnologica

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
30 gennaio 2025

BF (ex Bonifiche Ferraresi), Leonardo, Eni e Coldiretti hanno fatto il pieno e, del Piano Mattei, hanno preso tutto. Occupano il settore agroindustriale, quello energetico e l’innovazione tecnologica.

Le quattro realtà hanno seguito l’iter del Piano Mattei con la Meloni durante i suoi viaggi in Africa. Hanno messo a punto con il governo i primi progetti che ne fanno un nuovo modello di cooperazione internazionale. Un nuovo modello che dovrebbe essere, secondo la premier, “non predatorio”.

Piano Mattei - Giorgia Meloni e Moussa Faki
La premier italiana Giorgia Meloni e il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki al summit Italia-Africa

I quattro del poker

BF, è diventata una holding leader nell’agroindustria. In Italia gestisce 11.000 ettari con tecnologie avanzate. La sua competenza, aggiunta alla tecnologia satellitare di Leonardo con cui si è alleata permette di aumentare le altissime tecnologie nella filiera alimentare.

Leonardo, si muove dalla difesa all’aerospazio. Nel Piano Mattei ha un ruolo fondamentale grazie alle tecnologie che permettono di trovare soluzioni tecnologiche nel settore agricolo, nella cyber sicurezza, nella digitalizzazione e nella sanità. La sinergia con BF contribuisce a migliorare l’applicazione delle sue sofisticate tecnologie nelle aree di intervento.

ENI, vuole rinnovare la propria immagine che la vede multinazionale del fossile. Intende diventare attore chiave nella transizione energetica del Piano Mattei nei Paesi emergenti attraverso la produzione di agroenergie.

Ha firmato un accordo con Coldiretti per promuovere produzioni agricole sostenibili e valorizzare gli scarti e i sottoprodotti. L’obiettivo è la fabbricazione di biocarburanti di seconda generazione ottenuti dall’idrogenazione di oli vegetali e grassi animali riciclati (HVO). Ma anche biometano per la filiera della chimica da fonti rinnovabili.

Coldiretti, ha aderito per prima al Piano Mattei, quando ancora non esisteva il programma. A novembre 2023, aveva annunciato il progetto “40mila ettari coltivati per la rinascita dell’Africa”. Un programma promosso con BF, Filiera Italia e Consorzi Agrari d’Italia. La proposta dell’organizzazione degli imprenditori agricoli intende garantire sovranità alimentare e rafforzare l’economia locale attraverso filiere corte e sostenibili.

Grafico del Piano Mattei (Courtesy GEA-WITHUB)

Cosa è il Piano Mattei

Il Piano Mattei per l’Africa, Giorgia Meloni, lo aveva annunciato già durante la campagna elettorale nel 2022. A Roma, il 28 e 29 gennaio 2024, al summit Italia-Africa il Piano ha avuto la sua presentazione ufficiale voluta dalla Meloni come Presidente del Consiglio. Presenti al Vertice capi di Stato, di Governo e ministri delle Nazioni africane, l’Unione Africana e i rappresentanti dell’Unione Europea.

Il Piano, ha spiegato la premier, dura quattro anni e ha a disposizione 5,5 miliardi di euro. Tre miliardi dal fondo italiano per il clima (stanziati dal governo Draghi) e 2,5 miliardi e mezzo dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo.

La cabina di regia prevede la premier come presidente e vice-presidente il ministro degli Esteri. Ma anche il presidente della Conferenza Stato-Regioni e l’Agenzia italiana alla cooperazione e lo sviluppo. Ne fanno parte il gruppo assicurativo-finanziario Sace, direttamente controllato dal Ministero dell’Economia; Ice, Agenzia per la promozione all’estero; imprese partecipate; terzo settore e università.

La tirata d’orecchi africana

Moussa Faki, presidente della Commissione dell’Unione africana, al vertice Italia-Africa, ha voluto togliersi un sassolino troppo fastidioso dalla scarpa.

Signora presidente, sul Piano Mattei che propone avremmo auspicato di essere consultati – ha sottolineato -. L’Africa è pronta a discutere contorni e modalità dell’attuazione. Insisto sulla necessità di passare dalle parole ai fatti, non ci possiamo più accontentare di promesse, spesso non mantenute”.

Piano Mattei Paesi Africani al gennaio 2025
Piano Mattei Paesi Africani al gennaio 2025 (Courtesy Mapchart)

I quattordici Paesi del Piano

Lo scorso ottobre, con un testo di 35 pagine, il governo ha presentato i primi 21 progetti. Riguardano nove Paesi: Algeria, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Marocco, Mozambico, Repubblica del Congo (Congo-B) e Tunisia. Con il 2025 si sono aggiunti anche Ghana, Mauritania, Senegal e Tanzania.

Giorgia Meloni ha pronunciato spesso le sue parole d’ordine riguardo al Piano Mattei: “approccio non predatorio” e “cooperazione da pari a pari”. Ci auguriamo che vengano messe in pratica e non siano parole vuote solo per ottenete materie prime e fermare i migranti.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Giorgia Meloni in Mozambico e Congo per negoziare il rifornimento di gas

Le illusioni di Meloni in Etiopia: coccola il premier che ha fatto invadere il suo Paese da una dittatura sanguinaria