Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
10 marzo 2025
Se la cosa non fosse tragica, ci si potrebbe fare una risata. Tutti corrono alla corte di Trump a offrire le proprie ricchezze minerarie in cambio di aiuti militari per sopravvivere. Sembra di assistere a Totò che vende ai turisti americani la Fontana di Trevi. Non solo Ucraina, quindi. Ora ci si è messa anche la Repubblica Democratica del Congo.
Cioè un Paese che ha subito la colonizzazione belga piuttosto selvaggia (l’amministrazione di re Leopoldo aveva ordinato di tagliare le mani agli indigeni che non portavano ai loro capi abbastanza bastoni di caucciù raccolti nelle foreste), ora offre le sue ricchezze del sottosuolo a un altro colonizzatore.
Qualche giorno fa l’agenzia economica finanziaria Bloomberg ha battuto la notizia secondo la quale il Congo-K ha offerto agli Stati Uniti l’accesso esclusivo a minerali critici e progetti infrastrutturali in cambio di assistenza per la sicurezza, contro i ribelli del M23/AFC, che assieme alle truppe del vicino Ruanda hanno invaso le ricche regioni minerarie dell’est del Paese.
Incontro urgente
In una lettera al Segretario di Stato americano Marco Rubio, Kinshasa ha chiesto un incontro urgente tra il presidente congolese, Felix Tshisekedi, e quello americano, Donald Trump, per discutere un patto che darebbe alle aziende americane l’accesso ad alcuni dei minerali più ambiti per la transizione energetica.
Ieri sera Reuters ha confermato che Washington ha accettato di aprire negoziati sulla questione.

Il messaggio pubblicato sul sito di Foreign Agents Registration Act è stata inviato dal lobbista Aaron Poynton dell’Africa-USA Business Council, una società imprenditoriale afro-americana che esercita pressioni a favore di Kinshasa per conto di Pierre Kanda Kalambayi, presidente della commissione del Senato congolese per la difesa, la sicurezza e la protezione delle frontiere.
Competitività industriale
“Le risorse della RDC sono parte integrante della competitività industriale e della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il Congo è il maggior produttore mondiale di cobalto e importante produttore di litio, tantalio e uranio”, c’è scritto nella lettera. Una partnership “sarebbe un’opportunità unica per gli Stati Uniti di stabilire una catena di approvvigionamento affidabile ed esclusiva”.
L’invito a sfruttare le vaste risorse del Congo ex belga dimostra che Tshisekedi è diventato sempre più disperato nella sua lotta contro l’M23/AFC e il Ruanda. I ribelli e i loro alleati minacciano di rovesciare il suo governo centrale e si sono già impadroniti di giacimenti importati.
Disponibilità a discutere
Il dipartimento di Stato ha dato quindi la sua disponibilità “a discutere di partnership in questo settore” con una mail di risposta alla ministra degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Therese Kaykwamba Wagner: “I partenariati con le aziende statunitensi rafforzeranno l’economia degli Stati Uniti e della RDC”.
Lettere simili sono state indirizzate anche ai capi delle commissioni Esteri di Camera e Senato, al senatore repubblicano Ted Cruz, al segretario al Commercio Howard Lutnick e al rappresentante repubblicano Rob Wittman, che presiede il gruppo di lavoro sulla politica dei minerali critici della Camera dei rappresentanti americana.
Accordo difficile
Ma secondo alcuni analisti sentiti da Africa ExPress, un accordo di questo tipo nell’immediato è abbastanza difficile.
Anche perché durante il suo mandato, Joe Biden aveva tentato senza successo di promuovere le risorse minerarie del Congo-K presso imprese statunitensi. Aveva trovato dinieghi diffusi e generalizzati a causa della pesante corruzione, delle condizioni di lavoro (anche minorile) e il degrado ambientale.
Ma ci sono altri ostacoli da superare. Nella RDC gli Stati Uniti sono schierati a sostegno dei due contendenti in guerra. Gli M23/AFC e soprattutto i loro alleati ruandesi hanno ricevuto armi e mezzi logistici da Washington. Nei video che mostrano l’ingresso dei ribelli a Bukavu (Sud-Kivu), si vedono mezzi militari e due fonti hanno confermato ad Africa ExPress che si tratta di veicoli della General Motors, apparentemente nuovi.
Magnate israeliano
Per altro contractor di società americane sono segnalati nelle miniere di oro e di diamanti in concessione a Dan Gertler, il magnate israeliano che è pure ancora sotto sanzioni da parte dell’amministrazione USA.

“Gli americani tengono i piedi in due paia di scarpe – suggerisce con un’immagine colorita un esperto di cose africane – così, comunque vada, il guadagno è assicurato”. Ma i trattati e le alleanze? “Business is business. Paper is paper. Carta straccia”, risponde sicuro.
E i francesi? Anche loro su due fronti. Dietro i congolesi, il cui presidente Felix Tshisekedi ha perso il sostegno degli USA e sta tentando un faticoso recupero, offrendo a Trump le miniere, ma anche dietro i ruandesi, entrati nel Commonwealth Britannico nel 2009, allentando i rapporti con Parigi, che invece tenta il riavvicinamento.
Società cinesi
Inoltre occorre considerare che le miniere del Congo-K sono dominate da società cinesi. Un accordo con gli Stati Uniti consentirebbe a Tshisekedi di “allontanarsi dall’influenza dominante della Cina e di rafforzare i legami economici con l’Occidente”, ha scritto il gruppo di pressione nell’evidente tentativo di convincere l’amministrazione trumpiana.
La proposta congolese offre alle aziende americane il controllo operativo e “diritti esclusivi di estrazione ed esportazione”. Concede agli USA l’accesso alle sue strutture militari (che comunque andrebbero profondamente ristrutturate date le condizioni di evidente degrado). Ma non solo. Prospetta la costruzione di una base comune con un porto in acque profonde sulla costa atlantica del Congo (lunga soltanto 37 chilometri) e la creazione di una riserva mineraria strategica comune.
In cambio il Congo-K chiede agli Stati Uniti di provvedere all’addestramento ed all’equipaggiamento delle forze armate del Congo e assistenza diretta alla sicurezza. Avrebbero accesso a basi militari “per proteggere le risorse strategiche”.
Massimo A. Alberizzi
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