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Il Cremlino non demorde: continua l’arruolamento di giovani africani per combattere in Ucraina

Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 18 dicembre...

Namibia, anche cambiando nome Adolf Hitler vince le elezioni per la quinta volta



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Bombardata dai ribelli base ONU in Sudan: uccisi 6 caschi blu

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Rapporto Interpol 2025: Africa sotto attacco dei cybercriminali con IA

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
15 luglio 2025

“RANDSOMWARE ATTACK, i tuoi file sono stati criptati. Hai 3 giorni per pagare o i tuoi documenti andranno persi”. Quando sul monitor del computer aziendale appare la schermata con questo testo e un teschio subentra il panico e poi la rabbia e l’impotenza.

In Africa, purtroppo, succede sempre più spesso. Lo documenta il 4° report di Interpol “Africa Cyber Threat Assessment Report 2025” che evidenzia i dati del 2024. Si basa su dati raccolti da 53 paesi membri africani.

Il ransomware è sono uno dei molteplici strumenti utilizzati dalla cybercriminalità. Secondo i report regionali sulla sicurezza informatica, ci sono anche altre minacce significative. Tra queste: malware, truffe online, compromissione delle email aziendali (BEC) e sextortion digitale.

Interpol - Ransomware-attack
Schermata tipica di un ransomware attack

Malware

Il Global Cyberthreat Index dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) ha confermato che questi programmi malevoli che danneggiano il sistema operativo sono molto utilizzati. I Paesi maggiormente colpiti nel 2024 sono stati Etiopia, Zimbabwe, Angola, Uganda, Nigeria, Kenya, Ghana e Mozambico.

Ransomware e LockBit

I Paesi con più attacchi da ransomware nel 2024 sono stati Sudafrica ed Egitto. Sono seguiti da Nigeria, Kenya, Gambia, Tunisia e Marocco che hanno, anche questi, economie altamente digitalizzate.

LockBit è una gang di cybercriminali filorussi conosciuta per i suoi metodi aggressivi a doppia estorsione. Criptano le reti delle vittime mentre minacciano di pubblicare i dati rubati. Nel febbraio 2024 ha rivendicato la responsabilità di un attacco al Fondo pensioni sudafricano degli impiegati (GEPF).

LockBit ha colpito oltre 2.000 aziende e ha estorto più di 120 milioni di dollari. È responsabile anche di attacchi informatici in Italia.

Sextortion

Oltre al ransomware i cybercriminali utilizzano anche sempre più la sextortion digitale, il ricatto sessuale con foto esplicite compromettenti. La minaccia è danneggiare la reputazione della vittima: “paghi o le pubblichiamo”. Sono immagini rubate dai PC o dagli smartphone delle vittime.

Il 60 per cento dei Paesi africani ha segnalato un aumento della sextorsion digitale, spesso facilitata dall’uso di immagini generate con intelligenza digitale per ricattare capitani d’industria.

La sextortion colpisce anche privati cittadini, soprattutto donne e adolescenti. In Egitto, nel 2024, una piattaforma di supporto digitale ha ricevuto oltre 250mila richieste di risarcimento legate questa terribile estorsione. Sono state principalmente richieste che provenivano da donne e ragazze.

I dati dei paesi africani membri dell’INTERPOL mostrano un notevole aumento delle segnalazioni di sextortion digitale: oltre il 60 per cento. Ma la vergogna nel denunciare nasconde una percentuale molto più alta. Il ricatto sessuale online viene perpetrato attraverso email, i social e soprattutto con la messaggeria istantanea.

Black Axe e la BEC

La BEC è la “compromissione delle email aziendali”. È diventata un business multimilionario gestito dalla criminalità organizzata. La maggiore concentrazione di attività BEC è in Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio e Sudafrica.

Le reti criminali, visto il vuoto legislativo e la lentezza della burocrazia dei Paesi africani, si sono evolute in imprese milionarie altamente organizzate. Tra queste c’è Black Axe che, in tutto il pianeta, conta migliaia di membri. La mutinazionale del cybercrimine è responsabile di truffe finanziarie su larga scala che hanno generato miliardi di euro.

Interpol percentuali di aumento della scam in Africa
Grafico Interpol con le percentuali di aumento della scam in Africa (Courtesy Interpol)

Scam

La criminalità informatica rappresenta oltre il 30 per cento di tutti i crimini denunciati sia nell’Africa occidentale che in quella orientale. Le truffe online (scam) in alcune economie africane hanno avuto crescite elevatissime.

In Zambia in dodici mesi, rispetto al 2023, la scam è cresciuta quasi del 3.000 per cento (+2.930); in Marocco +826 per cento. L’Egitto ha visto un aumento del 476 per cento; l’Angola +349; il Benin +242; l’Algeria +232; l’Uganda +204 e il Kenya +214.

Ingegneria sociale e IA

I Paesi africani membri di INTERPOL, confermano che i criminali informatici stanno costantemente affinando le loro tattiche. Oggi lanciano attacchi sempre più sofisticati utilizzando ingegneria sociale (per rubare con l’inganno informazioni personali) e intelligenza artificiale.

“Nessuna agenzia o Paese può affrontare queste sfide da solo” – ha affermato Neal Jetton, direttore dell’Unità criminalità informatica di INTERPOL.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

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Operazione Red Card: sette Paesi africani con Interpol contro la cybercriminalità: oltre 300 arresti

Interpol: falsi vaccini anti Covid-19 pericolosi sequestrati in Sudafrica e Cina

 

Iran ingarbugliato: Trump non vuole il cambio di regime ma vuole azzopparlo

Speciale per Africa ExPress
Pino Nicotri
13 Luglio 2025

Chi sperava, me compreso, che si arrivasse almeno a un cambio di regime che abbattesse finalmente l’odiosa e molto repressiva teocrazia iraniana è rimasto deluso. Tanto più che lo stesso presidente Trump, fresco di bombardamenti assieme a Israele, ha tenuto a dichiarare esplicitamente che lui in Iran non vuole alcun cambio di regime https://forbes.it/2025/06/24/trump-frena-sul-cambio-di-regime-in-iran-sarebbe-solo-un-caos .

La guida suprema dell’Iran, Ayatollah Seyed Ali Khamenei.

Trump ha così messo a nudo tutta l’ipocrisia di chi, da Netanyahu e i suoi ministri ai suoi supporter italiani ed europei, ha tentato di mascherare l’aggressione militare all’Iran anche come una iniziativa per la liberazione (https://www.corriere.it/esteri/25_giugno_14/netanyahu-rovesciare-ayatollah-iran-israele-3d33fdc4-77d8-4e51-b092-2687d2d27xlk.shtml) del popolo iraniano dal giogo della dittatura. Liberazione promessa come imminente (https://askanews.it/2024/09/30/netanyahu-agli-iraniani-presto-sarete-liberi/)  già lo scorso anno.

Giacimenti petrolio e gas

La disgrazia dell’Iran è l’avere enormi giacimenti di petrolio e di gas, pari rispettivamente al 10 per cento e al 15 per cento delle riserve mondiali, giacimenti dei quali ha parlato con interesse nei giorni scorsi lo stesso Trump, che non vuole un cambio di regime anche per evitare danni strutturali o passaggi di mano nell’orbita russa o cinese di quegli immensi giacimenti di gas e oro nero.

Iran, ricco di giacimenti di petrolio e gas

Giacimenti che sono la disgrazia dell’Iran né più e né meno come per gli indigeni dell’America del Nord lo sono stati i giacimenti di oro giallo, in particolare del Klondike, e per gli indigeni dell’America del Sud quelli in particolare nel Venezuela, Brasile, Colombia e regione delle Ande. Abbondanza che ha portato allo sterminio di gran parte dei popoli indigeni da parte degli invasori e conquistatori europei decisi a impadronirsi ad ogni costo di quel tesoro.

Ai tempi dello scià Reza Palavi tutta l’industria petrolifera dell’Iran, ancora chiamato Persia, era in mano alle Sette Sorelle, nome creato da Enrico Mattei per indicare le compagnie statunitensi e inglesi – Exxon, Shell, BP, Chevron, Mobil, Gulf e Texaco – padrone di fatto dell’oro nero iraniano. Nel 1953 però il governo democraticamente eletto di Mohamed Mossadeq volle nazionalizzare l’industria petrolifera, pericolo scongiurato da USA e Inghilterra con un colpo di Stato. l’ “Operazione Aiax”. Il golpe uccise nella culla la neonata democrazia iraniana, portò in galera il capo del governo e instaurò una sanguinaria dittatura militare camuffata da monarchia assoluta dello scià.

Ritorno di Khomeini 1970

La repressione fu tale da provocare alla lunga, dopo 25 anni, un insurrezione popolare, che il primo gennaio 1970 portò al ritorno trionfale dopo 15 anni di esilio a Parigi dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Con conseguente creazione della repubblica islamica, regime teocratico tuttora al potere, fuga dello scià, fine della monarchia e inizio dei rapporti molto difficili con Stati Uniti e con Europa, che hanno tarpato le ali dello sviluppo economico e industriale iraniano con l’imposizione di dure sanzioni di ogni tipo, tanto alle esportazioni quanto all’importazione di qualsiasi investimento e tecnologia straniera.

Sulla via del fallimento

Soffocamenti ancora in corso a causa anche del regime teocratico, detestato non senza motivi, tanto dall’Occidente quanto dal mondo arabo. Con il 10 per cento delle riserve petrolifere mondiali e il 15 per cento delle riserve di gas, l’Iran potrebbe essere una superpotenza energetica come l’Arabia Saudita, e finanziarsi un impetuoso sviluppo produttivo anche industriale. invece oggi l’Iran lo si può considerare uno Stato capitalista sulla via del fallimento.

Quando sono stato in Iran una ventina di anni fa ho notato che c’erano cantieri ovunque, il Paese era chiaramente impegnato nello sviluppo quanto meno delle infrastrutture, cosa notata anche da miei conoscenti che ci sono stati in seguito. Per finanziare un tale sviluppo servono le centrali nucleari per produrre l’energia elettrica utilizzando l’atomo anziché il petrolio e il gas, in modo da poterne esportare il più possibile e procurarsi così i capitali necessari per finanziare il boom produttivo.

Donne in primo piano

L’Iran ha 90 milioni di abitanti e una gioventù numerosissima e vivacissima. Secondo stime recenti ( https://www.ilsole24ore.com/art/iran-donne-lottano-la-liberta-dell-intero-paese-AEZ0WtoC ) il 70 per cento della popolazione iraniana è sotto i trent’anni. E a trainare lo sviluppo e ammodernamento del Paese sono le donne, altamente qualificate: il 97 per cento è alfabetizzato, di questo 97% il 66% è composto da laureate. Come se non bastasse, il 70 per cento delle laureate lo sono in materie STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Donne iraniane in primo piano

La vera minaccia per la teocrazia sono le donne, le cui proteste e lotte per le libertà personali hanno provocato manifestazioni di massa represse nel sangue. Lo slogan “Donna, vita, libertà!” è stato e continua ad essere gridato nelle strade di tutto l’Iran, nelle aule scolastiche, nelle Università e nei luoghi di lavoro.

E’ chiaro che un tale Paese, che oltretutto ha più di tremila anni di storia e civiltà, se riuscisse a liberarsi dell’anacronistico giogo teocratico potrebbe diventare rapidamente – anche grazie al probabile ritiro di almeno parte delle pesanti sanzioni occidentali – il Paese più sviluppato del Medio Oriente musulmano: diventerebbe di fatto – paradossalmente assieme a Israele – il più occidentale come costumi, libertà, laicità e sviluppo.

Il tutto, in un’area geografica – Arabia Saudita intesta – dominata dal monopolio dell’islam wahabita, il ramo più fanatico e regressivo del mondo musulmano, nel quale la famosa e giustamente famigerata legge religiosa della Sharia rappresenta di fatto sia la costituzione che il codice penale.

E con la Siria caduta di recente in mano al gruppo di potere molto vicino all’ISIS, che oggi pare si sia dissociato in modo totale dallo Stato Islamico.

Ed è anche chiaro che se l’Iran potesse disporre liberamente di centrali nucleari per produrre energia elettrica evitando di dover bruciare fiumi di petrolio o gas, potrebbe esportare molto più oro nero e gas e finanziare così il proprio sviluppo economico e industriale.

Per parte sua Israele è molto più sviluppata e ricca dell’Iran, sia come prodotto interno lordo che, soprattutto, come reddito pro capite (l’Iran è solo al 144esimo posto nella classifica mondiale, Israele invece è molto più in alto), ma ha solo 7 milioni e mezzo di abitanti, 2 milioni e mezzo dei quali sono israeliani arabi o palestinesi mentre l’Iran di abitanti ne ha 90 milioni.

In opposizione con mondo arabo

E’ lapalissiano che un Iran liberato dalla camicia di forza della teocrazia, in pace con l’Occidente e quindi liberato anche dalle sanzioni di vario tipo, diventerebbe il Paese più importante del Medio Oriente.

Ecco spiegato perché in realtà nessuno, a partire da Trump, vuole un cambio di regime a Teheran. Agitando il pericolo che possa produrre bombe atomiche, all’Iran deve essere impedito di produrre energia elettrica con le centrali nucleari, anziché con quelle a petrolio e gas.

Forse è il caso di ricordare che per poter invadere l’Iraq senza troppa opposizione delle opinioni pubbliche del mondo, gli USA arrivarono ad affermare che il regime di Bagdad stava per produrre bombe atomiche, pur sapendo bene che era una affermazione assolutamente falsa. Una volta invaso l’Iraq dalla coalizione dei “volenterosi”, capitanata dagli USA e con una piccola partecipazione anche italiana, non si trovò la minima traccia non solo di bombe atomiche, ma neppure di uranio arricchito e non arricchito.

Pino Nicotri
pinonicotri@gmail.com

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I fanatici di Israele che l’hanno l’atomica: “Niente bomba all’Iran perché sono fanatici”

Congo-K: cacciati i mercenari rumeni, arrivano i colombiani della società americana Blackwater

Africa ExPress
Kinshasa 12 luglio 2025

Subito dopo la presa di Goma, capoluogo del Nord-Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo da parte dei ribelli M23/AFC, i mercenari rumeni, che combattevano accanto alle forze armate congolesi, sono stati rispediti a casa dagli invasori.

Il gruppo armato M23 prende il nome da un accordo firmato dal governo del Congo-K e da un’ex milizia filo-tutsi il 23 marzo 2009. La formazione ha ripreso le ostilità nel primo trimestre del 2022 ed è sostenuto dal vicino Ruanda. Mentre AFC , che significa Alleanza del Fiume Congo, è una coalizione politico militare, fondata il 15 dicembre 2023 in Kenya e della quale fa parte anche M23.

Blackwater: mercenari colombiani per il Congo-K

Tuttavia, il presidente del Paese, Felix Tshisekedi, non ha perso tempo a prendere contatti con un’altra società di sicurezza privata. Si tratta dell’americana Blackwaters, fondata da Eric Prince, un ex ufficiale delle forze speciali Navy SEALS. E secondo fonti congolesi ben informate, Kinshasa avrebbe già firmato a gennaio di quest’anno un contratto con l’agenzia statunitense.

Soldati di ventura sudamericani attivi in Sudan

Tramite la Blackwater, il fondatore e direttore Prince, avrebbe già ingaggiato mercenari, per lo più colombiani, da inviare nell’ex colonia belga. I soldati di ventura del Paese dell’America meridionale sono già attivi in Sudan, dove combattono accanto ai paramiliari delle Rapid Suport Forces (RFS) guidate da Hemetti, un ex leader dei famigerati janjaweed.

La Colombia ha vissuto un lungo conflitto armato e i militari hanno grande esperienza in fatto di combattimenti armati. Lo stesso vale per gli ex paramilitari e guerriglieri. Secondo gli esperti, sono circa 4.000 i mercenari colombiani coinvolti negli attuali conflitti. Recentemente Bogotà ha ammesso che in Ucraina sono morti una cinquantina di connazionali.

Eric Prince, discusso personaggio ultraconservatore, originario del Michigan, è molto vicino a Donald Trump. Sua sorella, Betsy DeVos, era ministro dell’Istruzione durante il primo mandato di Trump (2017-2021).

Molti osservatori temono ora che il coinvolgimento di appaltatori militari privati possa innescare un conflitto regionale più ampio. Secondo gli esperti, urge un intervento diplomatico.

Trattato di pace sotto egida USA

E questi interventi “diplomatici” sono  effettivamente già atto. Il 27 di giugno i ministeri degli Esteri di Ruanda e Congo-K, rispettivamente Olivier Nduhungirehe e Thérèse Kayikwamba Wagner, hanno siglato uno “storico trattato di pace” a Washington in presenza del segretario di Stato americano, Marco Rubio.

Accordo di Pace tra Ruanda e Congo-K siglato a Washington
A sinistra, il ministro degli Esteri congolese, Thérèse Kayikwamba Wagner, a destra il suo omologo ruandese, Olivier Nduhungirehe,e Marco Rubio, segretario di Stato USA al centro

Donald Trump, fiero di essere il promotore di tale accordo, ha invitato Paul Kagame, capo di Stato del Ruanda e Felix Tshisekedi, il suo omologo congolese, alla Casa Bianca per la fine di questo mese. Gli Stati Uniti stanno esercitando una forte pressione perché in tale occasione i due leader siglino un trattato di pace permanente.

Dossier economici

Il presidente americano ha poi sottolineato che durante il summit verranno discussi e firmati anche altri dossier di carattere economico. Di fatto però la Chiesa cattolica congolese definisce tutti questi pourparler come una sorta di transazione: “Pace in cambio di minerali”.

Una guerra non termina con la firma di un documento che definisce la cessazione delle ostilità. E infatti continuano sporadici combattimenti tra l’AFC/M23 e l’esercito regolare (FARDC), sostenute dai Wazalendo (gruppo di autodifesa), in diverse località del Nord e del Sud Kivu. Mentre lo stringer di Africa ExPress ha confermato che a Goma è dintorni sono state uccise diverse persone da bande armate.

Nel frattempo si continua a parlare di pace anche a Doha (Qatar), dove mercoledì è arrivata una delegazione di altri funzionari del governo di Kinshasa e esponenti di M23/AFC.

Contrabbando minerali verso il Ruanda

E mentre la politica discute, sul campo il contrabbando di minerali verso il Ruanda non si arresta. Lo hanno spiegato esperti indipendenti delle Nazioni Unite in un rapporto che dovrebbe essere pubblicati nei prossimi giorni.

Dal documento è però già trapelato che grazie all’occupazione di grandi fette di territorio da parte dei ribelli M23, sostenuti dal governo di Kigali, l’esercito ruandese avrebbe svolto “un ruolo cruciale” nell’aumentare queste esportazioni illegali.

Stagno, coltan e tungsteno, una volta arrivati in Ruanda, vengono mescolati con la produzione locale e poi etichettati come minerali ruandesi, ha spiegato a RFI, Jean-Pierre Okenda, direttore dell’ONG congolese La Sentinelle des Ressources Naturelles. Stabilire poi la tracciabilità dei beni del sottosuolo è impresa praticamente impossibile in periodo di guerra.

Africa ExPress
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Goma: caccia ai mercenari rumeni arruolati dal governo congolese

Le mani di Trump sulle ricchezze del Congo: pronto il trattato di pace con il Ruanda

Continua la censura sui media: vietato paragonare Gaza a Auschwitz

Speciale per Africa ExPress
Filippo Senatore
Luglio 2025

Franz Foti è docente di Comunicazione politica e d’impresa e di Fondamenti teorici e sociali della modernità all’Università degli Studi dell’Insubria. Giornalista e blogger di HuffPost, ha collaborato con il Corriere della Sera.

Una quindicina di giorni fa HuffPost ha pubblicato un suo articolo dal titolo Gaza è come Auschwitz? Dopo poche ore senza dare alcuna spiegazione all’autore e ai lettori l’articolo è stato cancellato dal blog. Abbiamo avuto la fortuna di visionarlo per cercare di capire una censura inqualificabile.

Genocidio Gaza

Franz Foti è un professionista serio che narra i fatti, si documenta per dare al lettore una visione ragionata di ciò che scrive. L’autore premette due considerazioni sulle condizioni della popolazione palestinese a Gaza.

Disumanizzazione

La prima è: fino a che punto la disumanizzazione sia giunta nella società del terzo millennio. Quali misure bisognerebbe prendere per evitare che le prospettive del futuro siano catastrofiche.

La seconda è la condanna drastica del terrorismo in qualsiasi modalità si manifesti. Prosegue Foti che la strage del 7 ottobre 2023, compiuta dai militanti di Hamas nei confronti degli israeliani, è stato un atto barbarico. Aggiunge che il numero complessivo dei morti israeliani è di 378 e molti ostaggi (240, ndr).

Fermiamoci qui. Secondo le fonti di Foti i morti del 7 ottobre sono meno rispetto al numero indicato dal governo Netanyahu (1170) e ritenuto vero dalla vulgata pur con perplessità e dubbi della stampa libera la quale ha rivelato false notizie sulle atrocità e alcune dinamiche non chiare di quella giornata. Ma a prescindere dal numero, l’autore condanna fermamente l’eccidio dei civili israeliani.

Liberato il campo dalle semplificazioni, Foti si pone la domanda se quello che sta avvenendo a Gaza sia paragonabile alle persecuzione nazifasciste subite dagli ebrei in Europa negli anni 40 dello scorso secolo.

Definizione genocidio

L’autore usa la definizione di genocidio del giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, che nel 1945 scrisse un articolo su Free World. Lemkin riporta l’azione criminale tedesca e si sofferma in generale sui popoli nemici del Reich. L’arma della fame delle popolazioni civili viene utilizzata dai nazisti come mezzo organizzato per l’annientamento.

Sono le parole del feldmaresciallo Karl Rudolf Gerd von Rundstedt  quando parla all’Accademia della Guerra a Berlino nel 1943. Lemkin definisce la parola genocidio che significa sterminare la tribù o la razza. Il termine non significa necessariamente l’uccisione di massa, ma il piano coordinato di distruzione del vivere civile, delle strutture culturali e sociali, della lingua cancellando così la sicurezza personale, la libertà, la salute e la dignità del gruppo vessato.

Tale sistematico annientamento delle persone conduce alla privazione dei diritti civili. Così è avvenuto per gli ebrei durante il nazismo. Le pratiche di genocidio colpiscono i gruppi sia in tempo di pace sia in tempo di guerra. Uno Stato democratico non può perseguire le minoranze altrimenti cadono i presupposti dell’esistenza democratica del medesimo Paese.

Confische arbitrarie e sommarie della proprietà e dei beni privati sono un ulteriore motivo di privazione che ricade anche sul diritto internazionale. Le espulsioni di massa assumono carattere emergenziale per gli Stati confinanti. Deve sussistere, prosegue l’autore, un meccanismo di cooperazione internazionale adeguata per punire i colpevoli.

Il crimine di genocidio è quello di distruggere o umiliare un intero gruppo nazionale, religioso o razziale attaccando singoli membri di tale gruppo. Il diritto interno non può prevaricare tali principi universali. Foti non entra nel merito della cronaca di Gaza ma sottintende ciò che avviene da alcuni mesi nella Striscia, cioè la fame organizzata da Israele al fine di annientare l’umanità di ogni essere vivente a Gaza. Perciò l’interrogativo da lui posto è assertivo e dovrebbe far riflettere i censori.

Filippo Senatore
fsenatore57@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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“Genocidio”, il libro di Rula Jebreal che colpisce direttamente il cuore del lettore

Gideon Levy accusa: “A Gaza Israele sta costruendo un ghetto”

dal quotidiano israeliano Haaretz
Gideon Levy*
Tel Aviv, 10 lug 2025

Se Mordechai Anielewicz fosse vivo oggi, ne morirebbe. La guida dell’Organizzazione di Combattimento Ebraica durante la rivolta del ghetto di Varsavia sarebbe morto di vergogna e disonore nell’apprendere i Piani del Ministro della Difesa, con il pieno appoggio del Primo Ministro, di costruire una “città umanitaria” nella Striscia di Gaza meridionale. Anielewicz non avrebbe mai creduto che qualcuno osasse concepire un Piano così diabolico 80 anni dopo l’Olocausto.

Quando saputo che questo Piano era stato concepito dal governo dello Stato Ebraico, fondato sui sacrifici del suo ghetto, sarebbe rimasto sconvolto. Dopo aver capito che Israel Katz, l’uomo che aveva proposto questa idea, era figlio dei sopravvissuti all’Olocausto Meir Katz e Malcha (Nira) nata Deutsch, originari della Regione rumena di Maramures, che persero gran parte della famiglia nei Campi di Sterminio, non ci avrebbe mai creduto. Cosa avrebbero detto al loro figlio?

Le rovine di Rafah, nella parte meridionale della Striscia di Gaza, gennaio. Crediti: Mohammed Salem/Reuters

Quando Anielewicz si sarebbe reso conto dell’apatia e dell’inazione che il Piano aveva provocato in Israele e, in una certa misura, nel mondo, inclusa l’Europa e persino la Germania, sarebbe morto una seconda volta, questa volta di crepacuore.

Presentato che legisttimo

Lo Stato Ebraico sta costruendo un ghetto. Che condanna orribile. È già abbastanza grave che il Piano sia stato presentato come se potesse essere in qualche modo legittimo – chi è a favore di un Campo di Concentramento e chi è contrario? –  ma da lì in poi il percorso potrebbe essere abbreviato in un’idea ancora più orribile: qualcuno potrebbe suggerire un Campo di Sterminio per coloro che non superano il processo di selezione all’ingresso del ghetto.

Israele sta comunque uccidendo in massa i residenti di Gaza, quindi perché non snellire il processo e risparmiare la vita dei nostri preziosi soldati? Qualcuno potrebbe anche suggerire un crematorio compatto sulle rovine di Khan Yunis, il cui ingresso, come nel vicino ghetto di Rafah, sarà puramente volontario.

Naturalmente, volontario, come nella “città umanitaria”. Solo che lasciare i due campi non sarà più volontario. Questo è ciò che ha proposto il ministro.

La natura del genocidio è che non nasce da un giorno all’altro. Non ci si sveglia una mattina e si passa dalla democrazia ad Auschwitz, dall’Amministrazione Civile alla Gestapo.

Fase della paura

Il processo è graduale. Dopo la fase di disumanizzazione, che gli ebrei di Germania, i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania hanno entrambi vissuto a loro tempo, si passa alla Demonizzazione, come hanno sperimentato anche entrambe le nazioni.

Poi arriva la fase della paura. Non ci sono innocenti nella Striscia di Gaza, il 7 Ottobre come una minaccia esistenziale per Israele che potrebbe ripresentarsi in qualsiasi momento. Dopo di che arrivano gli appelli a evacuare la popolazione prima che qualcuno sollevi l’idea dello sterminio.

“Free Gaza” e “Palestina” dipinti con vernice spray sui muri del ghetto di Varsavia. Crediti: http://www.kampania-palestyna.pl/index.php/2010/06/29/gaza-freedom-graffiti-in-the-warsaw-ghetto/

Siamo ora in quest’ultima fase, l’ultima fase prima del genocidio. La Germania ha trasferito i suoi ebrei a est; Anche il Genocidio armeno iniziò con la deportazione, che allora si chiamava “evacuazione”. Oggi parliamo di un’evacuazione a sud di Gaza.

Causa della giustizia

Per anni ho evitato di fare paragoni con l’Olocausto. Qualsiasi paragone del genere rischiava di perdere di vista la verità e di danneggiare la causa della giustizia. Israele non è mai stato uno Stato nazista, e una volta stabilito questo fatto, ne consegue che, se non era uno Stato nazista, doveva essere uno Stato morale.

Non c’è bisogno dell’Olocausto per rimanere scioccati. Si può rimanere scioccati da molto meno, ad esempio, dal comportamento di Israele nella Striscia di Gaza.

Cimitero di massa

Ma nulla ci ha preparato all’idea della “città umanitaria”. Israele non ha più alcun diritto morale di usare la parola “umanitario”. Chiunque abbia trasformato la Striscia di Gaza in quello che è, un Cimitero di Massa e una landa desolata di rovine, e la tratti con equanimità ha perso ogni legame con l’Umanità.

Chiunque veda solo la sofferenza degli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza e non si renda conto che ogni sei ore le Forze di Difesa Israeliane uccidono tanti palestinesi quanti sono gli ostaggi israeliani in vita, ha perso tutta la sua Umanità.

Come se 21 mesi di uccisioni di neonati, donne, bambini, giornalisti, medici e altri innocenti non fossero sufficienti, il Piano del ghetto dovrebbe accendere tutti i segnali d’allarme. Israele si sta comportando come se stesse pianificando un genocidio e un’espulsione. E, se non ci pensa in questo momento, si è esposto al serio rischio di scivolare rapidamente e inconsapevolmente verso l’uno o l’altro Crimine. Chiedetelo ad Anielewicz.

Gideon Levy*
*
editorialista del quotidiano israeliano Haaretz

*Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato a Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei Giornalisti Israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo ultimo libro, La Punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso._

Traduzione La Zona Grigia

L’articolo originale in inglese lo trovate qui

I fanatici di Israele che l’hanno l’atomica: “Niente bomba all’Iran perché sono fanatici”

Speciale per Africa ExPress
Pino Nicotri
9 luglio 2025

Le recenti dichiarazioni del docente israeliano Benny Morris al Corriere della Sera http://www.inpiu.net/storie/20250621/28758/benny_morris_la_societ_israeliana_molto_pi_unita_sullattacco_alliran_che_su_quello_a_gaza/ esprimono di fatto la convinzione che molti di noi in Occidente abbiamo.

Infatti, quando il giornalista Lorenzo Cremonesi domanda a Morris: “Gli iraniani chiedono: perché Israele può avere l’atomica e noi no?”, Morris risponde così: “Perché noi siamo una società democratica occidentale e loro sono un regime fanatico messianico islamico”.

Iran e la bomba atomica

Cremonesi insiste: “E i gruppi messianici fanatici che sostengono Netanyahu?”

Risposta: “Sono piccole minoranze. Almeno per ora. Ma in Iran i fanatici hanno il controllo del bottone rosso”.

Cremonesi: “Come finirà?”.

Morris: “Occorre forzare gli iraniani a rinunciare alla Bomba”.

Cremonesi va al sodo: “Se non avvenisse?”.

Morris: “Finirebbe male. Israele messo nell’angolo potrebbe ricorrere a bombe atomiche tattiche”.

Come si vede, in Israele non è solo Netanyahu a ventilare il lancio di atomiche – “preventive” come i recenti bombardamenti e omicidi mirati di scienziati nucleari – su un Iran privo di atomiche. Si tratta di una possibilità ammessa – e di fatto non troppo velatamente auspicata – anche da parti importanti e rappresentative della società civile e intellettuale israeliana.

Allora anche Germania società democratica

Morris però nelle sue risposte dimentica un particolare, che assolutamente non si può dimenticare e anzi è doveroso tenere presente: La Germania d’anteguerra, oltre ad essere il Paese più colto dell’intera Europa, era “una società democratica occidentale”, cosa che però non ha impedito l’avvento del nazismo e lo sterminio negli appositi campi di concentramento di milioni di ebrei, “zingari”, oppositori politici, diversamente abili, religiosi e prigionieri di guerra.

Il ampo di concentramento di Auschwitz

Nulla quindi garantisce che Israele sia e resti sempre immune da eventuali imbarbarimenti politici. Tanto più che lo stesso Morris riconosce che già adesso nel governo Netanyahu ci sono “gruppi messianici fanatici”.

Morris però vuole rassicurare l’intervistatore, e quindi l’opinione pubblica italiana, specificando che “sono piccole minoranze”. Ma per onestà intellettuale aggiunge uno scaramantico ma meno tranquillizzante “Almeno per ora”.

E in futuro?

L’accanimento ormai maniacale contro l’Iran, che non deve avere bombe nucleari perché correrebbe a lanciarle su Israele, che di ordigni atomici ne ha invece in abbondanza senza che nessuno sollevi obiezioni, oltre a essere una grande prepotenza basata sulla legge del più forte e sul principio “due pesi, due misure, denota una concezione iper razzista dell’Iran: ritenuto infatti evidentemente un Paese trogloditico dominato dall’ossessione di bombardare Israele con le atomiche. Concezione però che oltre a essere iper razzista cozza contro vari ostacoli, alcuni dei quali insuperabili.

Bombardando Israele con le atomiche l’Iran colpirebbe anche gli oltre due milioni di musulmani palestinesi che vivono dentro Israele e il fallout radioattivo colpirebbe gli altri milioni di musulmani palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania. Non è molto realistico credere che un Paese musulmano colpirebbe con un olocausto masse di musulmani contro i quali oltretutto non è in lotta, anzi a quanto si dice ne aiuta l’organizzazione chiamata Hamas.

Date le distanze, Israele prima dell’arrivo degli ordigni nucleari iraniani avrebbe tutto il tempo di reagire lanciando una grandinata dei suoi. A tale proposito vale la pena notare che mentre l’Iran non ha mai minacciato di bombardare Israele, con o senza le atomiche, altrettanto non si può dire di Israele.

Storia antica

Netanyahu infatti ha in mente di bombardare Teheran con le atomiche almeno dal 2006, come ha pubblicamente dichiarato nel settembre di quell’anno a un convengo internazionale durato tre giorni nell’israeliana Marc Rich University di Herzliya  https://www.glistatigenerali.com/esteri/geopolitica/netanyahu-ed-il-sogno-della-grande-bomba/, specificando che si tratta solo di aspettare il momento adatto: “La questione non è se bombardare Teheran con i missili nucleari. La questione è: quando”.

Le dichiarazioni rilasciate nel 2012 dalla signora Hilary Clinton, moglie del già presidente Bill Clinton, all’epoca segretaria di Stato del presidente Barack Obama, in precedenza senatrice e in seguito prima donna candidata alla presidenza degli USA: “Il governo di Teheran non farebbe in tempo neppure a mettere il primo missile in posizione di lancio che verrebbe ridotto all’epoca delle caverne”.  https://archivio.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/attacco-di-israele-iran-perche-e-impossibile-1328946/.

Minaccia esagerata

Minaccia esagerata, ma non campata per aria. Gli USA infatti oltre a tenere sotto continua osservazione satellitare le basi missilistiche iraniane hanno missili con testate nucleari sulle navi e sommergibili sempre presenti nel Mediterraneo e nel Golfo Persico o Arabico che dir si voglia.

Teniamo presente che già nel 2010, cioè 15 anni fa, la signora Clinton sosteneva che “l’Iran continua a portare avanti il suo programma di armi nucleari” https://www.repubblica.it/esteri/2010/02/15/news/iran_dittatura-2303405/ e assicurava che gli USA avrebbero fatto di tutto per impedirlo. Sono passati 15 anni, e l’Iran di atomiche non ne ha prodotte neppure una.

Hilary Clinton parlava di produzione iraniana imminente di ordigni nucleari già 15 anni fa, ma l’attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu lo ripete da addirittura 30 anni https://www.lindipendente.online/2025/06/18/netanyahu-30-anni-di-menzogne-e-allarmismo-sul-programma-nucleare-iraniano/: a partire cioè da quando nel 2005 ha scritto il libro intitolato Lotta al terrorismo.

Equilibrio e assenza di guerra

Chiacchiere e “al lupo, al lupo!” a parte, l’eventuale possesso di atomiche iraniane per quanto possa parere paradossale garantirebbe invece un equilibrio e l’assenza di guerre con Israele esattamente come le atomiche dell’India e del Pakistan garantiscono la mancanza di guerra seria tra loro.

E dire che questi due Paesi sono da sempre nemici giurati che si guardano in cagnesco non solo per la diversità delle rispettive religioni, ma anche e forse soprattutto per il possesso del Kashmir, causa periodica di scontri militari per fortuna limitati e circoscritti proprio grazie alle atomiche di entrambi.

Idem per quanto riguarda le due Coree. La Corea del Nord non viene attaccata dagli USA e dalla Corea del Sud perché ha le atomiche e a sua volta non attacca la Corea del Sud perché nel suo mare ci sono navi militari USA a loro volta zeppe di ordigni nucleari. E così la Corea del Nord, grazie anche ai grandi risparmi che il possesso di atomiche le permette in materia di armamenti classici, in questi giorni ha inaugurato una bella e lunga riviera marina del Wonsan  https://www.repubblica.it/esteri/2025/06/26/video/la_corea_del_nord_punta_al_turismo_pronta_la_riviera_del_wonsan_la_spettacolare_inaugurazione-424692864/ confermando che punta sul turismo. E perciò necessariamente sulla pace.

Pino Nicotri
pinonicotri@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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L’Occidente vuol rimodellare il Medio Oriente. E Gaza dov’è?

EDITORIALE
Federica Iezzi
Di ritorno da Gaza City, 08 luglio 2025

Ci sono decenni in cui non accade nulla, e ci sono settimane in cui accadono decenni“. Così scriveva profeticamente Lenin in piena prima guerra mondiale.

Israele è arrivato scioccamente di fronte a un cupo dilemma strategico. E l’Iran ne è il protagonista. Non può distruggere il programma nucleare iraniano senza l’aiuto militare degli Stati Uniti. Né tantomeno può indurre un cambio di regime, impresa che gli Stati Uniti non sono riusciti a realizzare nonostante decenni di sforzi.

Entering the Middle East [photo credit The Dallas morning news]
E allora Netanyahu sta cercando freneticamente di trascinare gli Stati Uniti in guerra. La sua vera ambizione? Impedire negoziati tra Washington e Teheran.

La base di Trump – l’alleanza MAGA (Make America Great Again), gli alfieri del trumpismo – si oppone fermamente a un altro conflitto in Medio Oriente. Una guerra con l’Iran potrebbe mettere a repentaglio la sua agenda interna e infiammare le tensioni con rivali geopolitici come la Cina.

Dall’Afghanistan all’Iraq, la storia ha ampiamente dimostrato che gli interventi militari statunitensi non hanno mai portato la pace. Al contrario, hanno lasciato devastazione e seminato odio, danneggiando profondamente anche la società americana.

In Iraq, gli Stati Uniti hanno rovesciato Saddam Hussein, trasformando il più grande e pericoloso vicino dell’Iran da nemico a vassallo ancor prima che le milizie di Teheran salvassero Baghdad dall’ISIS.

Le forze inviate dall’Iran in Siria hanno svolto un doppio compito, preservando il regime di Assad e aprendo al contempo un canale di approvvigionamento di armi a Hezbollah, milizia sostenuta dall’Iran. Con base in Libano, Hezbollah era il fiore all’occhiello dell’Asse della Resistenza che l’Iran aveva schierato contro Israele.

È dai tempi dell’amministrazione Bush che si elabora un piano radicale per rimodellare il Medio Oriente a favore di Israele. Dopo aver rovesciato l’Afghanistan, il piano prevedeva di invadere e smantellare sette paesi a maggioranza musulmana: Iraq, Libano, Siria, Libia, Sudan, Somalia e, infine, l’Iran. Le forze filo-israeliane negli Stati Uniti hanno svolto un ruolo centrale nel guidare l’invasione dell’Iraq.

Per oltre 80 anni, l’opposizione a Israele ha caratterizzato il Medio Oriente. Per la Repubblica Islamica dell’Iran, lo è ancora. L’allontanamento dello Stato israeliano dalle terre islamiche è fondamentale per l’ideologia della Rivoluzione islamica del 1979, che ha posto l’Iran nell’improbabile ruolo di leader del mondo musulmano.

Così, alla vigilia del 7 ottobre 2023, i leader di Hamas, l’unico nodo palestinese di spicco dell’asse, avevano motivo di supporre che, dopo aver violato le difese israeliane nella Striscia di Gaza ed essersi riversati in Israele a migliaia, non avrebbero combattuto a lungo da soli.

Ma l’asse della resistenza si è opposto a malapena. La verità è nelle parole dell’Ayatollah Khomeini, creatore del sistema teocratico che governa l’Iran, “La preservazione del sistema è la massima priorità”.

Quella a Gaza è una guerra che Israele non si aspettava e che non ha alcun piano per vincere, perché in fondo non è una questione militare. La questione palestinese sarà ancora in sospeso quando gli scontri cesseranno. La guerra contro l’Iran, al contrario, è una guerra che Israele ha pianificato per anni, e che ha aperto con una strategia di inganni e attacchi di precisione contro siti missilistici.

L’Iran non è Gaza. È uno stato sovrano di circa 90 milioni di persone. Il suo territorio ostacola le invasioni, la sua profondità assorbe gli attacchi e i suoi missili penetrano in profondità in Israele. È stato sanzionato, sabotato, assassinato, eppure resiste ancora, continua a contrattaccare.

Per la prima volta dal 1948, le città israeliane sono sotto un fuoco continuo. L’illusione di immunità è svanita. E Israele non può dichiararsi vittima. Non quando detiene le bombe, le armi nucleari, il sostegno di ogni potenza occidentale. Non quando ha trascorso decenni ad attaccare gli altri impunemente.

In una discussione che si trascina negli anni, come la questione israelo-palestinese, qualunque sia l’argomento, arriva sempre un momento in cui la probabilità di vedere apparire un paragone con i crimini del Terzo Reich diventa certa. Tutti conoscono in linea di principio questa trappola, che consiste nell’utilizzare un paragone esagerato e storicamente errato, per screditare l’avversario. E la gloria che raccoglie questa trappola è un preoccupante segno dei tempi, che tende a diventare la malattia cronica delle democrazie.

Morte e distruzione nella striscia di Gaza

Israele è ora governato, apertamente e orgogliosamente, da fanatici. I ministri minacciano l’annientamento. I coloni gridano slogan di genocidio. I soldati si filmano mentre demoliscono case e posano con la lingerie delle donne che hanno sfrattato e ucciso.

L’obiettivo, a quanto pare, è quello di creare le condizioni per quella che sarebbe la più grande operazione di pulizia etnica dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Affermare che “non un solo chicco di grano entrerà a Gaza” (Bezalel Yoel Smotrich) è una flagrante violazione del diritto internazionale umanitario. È impossibile non vedervi un intento di sterminio. Non è meno grave di quello accertato in passato dalla giustizia internazionale a Srebrenica e in Ruanda.

Sia chiaro: Israele non è mai stato solo uno Stato. È stato creato come colonia occidentale per sostituire gli imperi in ritirata di Gran Bretagna e Francia. Gli Stati Uniti sono intervenuti, assumendo il ruolo di esecutore regionale, sostenendo i tiranni, assicurandosi il petrolio e reprimendo la resistenza. L’obiettivo non è mai cambiato: soggiogare la regione, estrarne le ricchezze, mettere a tacere la sua popolazione.

Ma questa volta, la strategia sta fallendo. La storia si muove. E potrebbe non muoversi a favore dell’Occidente.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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ONU boccia richiesta della dittatura Eritrea: niente stop a indagini sulle violazioni dei diritti umani

Africa ExPress
Ginevra, 6 luglio 2025

Il Consiglio dei Diritti Umani (UNHRC), organismo delle Nazioni Unite, ha bocciato venerdì scorso la mozione presentata dall’Eritrea per porre fine al mandato di un esperto indipendente, incaricato di indagare sulle possibili violazioni dei diritti fondamentali nel Paese. Il fatto di aver rigettato la richiesta di Asmara è stato davvero importante perché volto a evitare eventuali impunità.

Appoggio di soli 4 Stati

Il tentativo dell’Eritrea della revoca del mandato è fallito totalmente. Solamente 4 Stati hanno votato a favore (Bolivia, Cina, Cuba e Sudan, l’unico Paese africano), 18 si sono astenuti, mentre 25 hanno espresso il loro NO in modo palese, tra questi l’Etiopia, ormai da tempo nuovamente il peggiore nemico di Asmara.

Il rappresentante dell’Eritrea al Consiglio dei Diritti Umani, Habtom Zerai Ghirmai, si è scagliato contro la decisione, accusando l’UE di essere affetta da “complesso di mentalità salvatrice neocoloniale”.

La Cina ha appoggiato la mozione dell’Eritrea, sostenendo che tali mandati sono un uso improprio delle risorse internazionali.

Anche il Sudan, Paese in guerra dall’aprile 2023, confinante con la nostra ex colonia, ha appoggiato il governo di Asmara. Lo scorso aprile il de facto presidente sudanese, Abdel Fattah al-Burhan, ha incontrato il suo omologo eritreo, Isaias Aferworki, a Asmara. In tale occasione i due leader hanno discusso di cooperazione, della situazione nell’ex protettorato anglo-egiziano, di questioni regionali e internazionali. Insomma è chiaro che Khartoum in questo momento storico non vuole crearsi altri problemi, dunque meglio non inimicarsi un “vicino di casa”.

Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, Ginevra

L’UNHRC non solo non ha approvato la richiesta del regime di Asmara, ma ha esteso per un altro anno il mandato dell’esperto indipendente dell’ONU, il sudanese Mohamed Abdelsalam Babiker, professore associato di diritto internazionale presso l’università di Khartoum e fondatore e direttore del Centro per i diritti umani dell’ateneo.

Nessun miglioramento significativo

Babiker ha presentato il suo ultimo rapporto sull’Eritrea lo scorso giugno. Il relatore speciale è stato nominato nel 2020, anno in cui è iniziato anche il sanguinario conflitto nel Tigray (Etiopia), al quale hanno partecipato anche truppe di Asmara.

“Il Paese non ha mostrato progressi significativi in tutti questi anni”, ha spiegato l’esperto nel suo ultimo rapporto. Ha poi sottolineato che molti abusi sono legati al servizio militare/civile indeterminato, al quale è quasi impossibile sottrarsi.

Niente media privati

La relazione evidenzia anche la mancanza di libertà di espressione, di associazione, di riunione, di religione e il diritto di partecipare agli affari pubblici sono di fatto inesistenti. Vengono concessi solo previa approvazione del governo e a coloro che si allineano alle posizioni delle autorità. Nel 2024, l’Eritrea è stata classificata come il peggior Paese per la libertà di stampa a livello globale e rimane l’unico Stato africano senza media privati.

Eritrea: testimoni di Geova in galera per la loro fede

Anche la libertà di religione resta illusoria. Basti pensare che ad aprile 2025, 64 testimoni di Geova e circa 300-500 cristiani evangelici, erano in galera, senza accuse e processo.

La lista degli abusi dei diritti umani in Eritrea è lunga, per non parlare dei giovani che, dopo essere fuggiti, se vengono rispediti in patria, sono cacciati in carcere o arruolati a forza. Sono state riportate anche numerose sparizioni.

Intimidazioni anche all’estero

Ma i tentacoli del regime raggiungono anche coloro che sono fuggiti in altri Paesi. Il governo eritreo continua a praticare la repressione transnazionale, prendendo di mira la diaspora. Molti attivisti eritrei hanno subito intimidazioni, sorveglianza e minacce, con l’obiettivo di mettere a tacere le critiche e scoraggiare l’impegno politico. In alcuni casi queste persone hanno subito attacchi o molestie da parte di membri filogovernativi all’estero.

Africa ExPress
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Rapporto ONU accusa l’Eritrea: crimini contro l’umanità e assenza dei diritti umani

In Eritrea diritti umani calpestati ogni giorno e i tentacoli della dittatura inseguono anche i rifugiati

Sgominata banda di trafficanti di esseri umani Ghana – Nigeria

Speciale per Africa ExPress
Costantino Muscau
5 luglio 2025

Infermieri, insegnanti, artigiani, studenti e…calciatori: a decine sono finiti in una rete ghanese di venditori di sogni, spacciatori di illusioni, imbonitori alla Dulcamara, che promettevano mirabolanti contratti di lavoro in Europa e in Canada. Una tratta infame di giovani, sgominata pochi giorni fa dal Dipartimento di Investigazioni Criminali (CID) del Servizio di Polizia del Ghana in collaborazione con la Nigeria e con l’Interpol.

Vittime liberate e rimpatriate

Secondo quanto ha dichiarato il direttore generale del CID, il vice commissario di polizia, Lydia Yaako Donkor, nella conferenza stampa tenuta ad Accra il 30 giugno, sono ben 76 le vittime “reclutate” con l’inganno e liberate. Sette i trafficanti di esseri umani arrestati. Mentre i poveracci, quasi tutti ghanesi, sono stati salvati dagli inquirenti in diversi Stati della Nigeria tra il 19 maggio e il 27 giugno 2025.

Traffico di esseri umani: ghanesi liberati in Nigeria

Trenta erano tenuti prigionieri ad Agbara, città industriale nello stato di Ogun (sud ovest della Nigeria), altre 15 a Uyo, capitale dello stato Akwa Ibon (sud Nigeria).

Un gruppo di giovani detenuti con la forza proveniva dal Burkina Faso, Costa d’Avorio, Camerun e Guinea. Soccorsi anch’essi, e poi sono stati rimpatriati nei rispettivi Paesi. Due guardiani del Burkina Faso e dalla Costa d’Avorio sono finiti in carcere.

Non è la prima volta che giovani africani vengono attirati con false promesse di lavoro (spesso nel mondo del calcio), istruzione o una vita migliore, per poi ritrovarsi intrappolati in situazioni di sfruttamento in cui sono finiti pagando notevoli somme di denaro e da cui è difficile fuggire.

In particolare, ogni anno tanti e tanti atleti africani sono truffati da finti procuratori sportivi che assicurano loro un futuro da campioni lontano dalla terra natia. Un fenomeno così vasto però non si era visto in tempi recenti.

Continue richieste di denaro

Tutte le vittime erano tenute in condizioni di sovraffollamento e scarsa igiene. Private dei telefoni cellulari e documenti di viaggio, erano strettamente sorvegliate e obbligate a contattare i familiari in Ghana e farsi mandare del denaro con il pretesto di dover pagare spese di formazione o di facilitazione all’inserimento nel mondo del lavoro o di ottenimento di visto per l’espatrio.

Agli aspiranti artigiani, studenti, infermieri veniva promesso di accedere a impieghi redditizi in diversi Paesi europei o in Canada. Agli aspiranti calciatori, veniva assicurato l’inserimento nelle accademie calcistiche o addirittura nelle squadri professionistiche o semi professionistiche.

Agli illusi degli altri Stati, (come burkinabé, ivoriani e altri), invece, veniva assicurato un posto ben pagato in Ghana.

Tenuti segregati

Tutti non ghanesi dovevano versare una quota iniziale per la formazione e altro  che variava da 1300 a 3 mila euro. Mentre per i ghanesi la quota minima era “solamente” dai 1.000 dollari in su. Il punto di reclutamento inizialmente tenuto segreto avveniva poi in un buon albergo della Nigeria. Qui un membro dell’organizzazione truffaldina li accoglieva e li alloggiava, poi li spediva in una specie di prigione infame.

Il direttore del CID, Lydia Yaako Donkor, ha raccontato: “Il danno psicologico ed economico causato a queste vittime e alle loro famiglie è devastante. In molti erano così malnutriti e psicologicamente colpiti, che non sono in grado di riprendere una vita normale”.

Lydia Yaako Donkor,  avvocato più anziano della polizia del Ghana dove è entrata 25 anni fa, è stata a lungo impegnata nella lotta ai trafficanti di esseri umani. È anche presidente del comitato per la sicurezza della Ghana Football Association e responsabile della sicurezza della Confederazione calcistica africana.

In questa veste, nel novembre scorso, ha partecipato a Roma a un viaggio di studio sul rafforzamento della cooperazione multilaterale per la protezione dei principali eventi sportivi, tra cui il calcio. Questo sport è popolarissimo in Ghana, non a caso la nazionale (Le Stelle nere) è stata ribattezzata il Brasile d’Africa grazie alle 4 vittorie della Coppa d’Africa.

Mondo dello sport

In Italia (e non solo) molto noto è stato il calciatore Asamoah Gyan, 40 anni, già capitano della nazionale, 5 anni tra Udinese e Modena, soprannominato “baby jet”, un tempo l’ottavo giocatore più pagato del mondo, ma dalla vita privata complessa e tormentata e finito…sul lastrico.

Liberati giovani ghaniani, speravano di diventare campioni di calcio

In tempi recentissimi, l’Atalanta ha acquistato una stella nascente del football, il 22enne Kamaldeen Sulemana, originario di Techiman, città del Ghana, dove ha mosso i primi passi sportivi nella Right Dream Academy. E’ una scuola giovanile, legata alla Danimarca, che mira a preparare calciatori africani per dare loro un futuro. Quello che immaginavano tanti giovani finiti nella rete degli imbroglioni arrestati.

L’avvocatessa-poliziotta conosce bene la magia e le trappole del mondo pallonaro: ha trasformato il Police Ladies FC, una delle squadre più forti della Ghana Women’s Premier League, di cui è amministratore delegato. Il suo impegno nel calcio evidenzia il suo zelo e vicinanza per la comunità, nonché la promozione della partecipazione femminile nello sport.

La Donkor, nella conferenza stampa, ha affermato che le vittime della tratta – giovani di età pari o superiore a 17 anni -, sia già attive in ambito lavorativo, sia disoccupate, ricevevano promesse di enormi profitti, se avessero reclutato anche altre persone.

La responsabile della polizia ha poi puntato il dito contro il sistema di reclutamento fraudolento che sarebbe collegato alla organizzazione Quest Net Limited (QNET), una società di Network Marketing. Il 20 luglio 2022, la Divisione Commerciale dell’Alta Corte di Accra aveva già ordinato lo scioglimento di QNET per attività commerciali disoneste, illegali e fraudolente. La decisione seguiva una richiesta presentata dall’ex procuratore generale del Ghana, che chiedeva lo scioglimento della società per aver operato in modo simile al cosiddetto schema Ponzi.

Le azioni di questi truffatori, (inganno, coercizione, restrizione i movimento e il diniego di accesso ai documenti di viaggio), sono reati punibili ai sensi dell’Anti-Human Trafficking Act del Ghana del 2005 (Legge 694) e del Codice penale.

ONET nega coinvolgimento

L’azienda ritenuta al centro della truffa di reclutamento (la QNET, appunto) però martedì 2 luglio ha escluso ogni legame con il colossale raggiro. Con un comunicato, Biram Fall, direttore generale regionale di QNET per l’Africa subsahariana, ha dichiarato che la società non è stata bandita in Ghana e di non essere a conoscenza di alcun procedimento giudiziario che la coinvolga.

Resta, però, un interrogativo cui le indagini non hanno (per ora) risposto: i 76 giovani vittime della grande illusione che fine avrebbero fatto se non fossero arrivati i salvatori?

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il Mozambico 50 anni dopo l’indipendenza è un Paese di oligarchi tra guerra, gas e rubini

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
4 luglio 2025

“Tutta la disgrazia di un Paese in una sola fotografia!” È il commento al vetriolo, lasciato sui social, di Lagia Dias Fonseca, avvocata mozambicana ed ex first lady di Cabo Verde. L’immagine mostra gli ultimi quattro presidenti della Repubblica: Joaquim Chissano, Armando Guebuza, Filipe Nyusi e il neo eletto Daniel Chapo. Tutti membri del Fronte di liberazione del Mozambico (FRELIMO), partito al potere dal 1975.

Il post di Lagia Dias Fonseca. Da sinistra: Daniel Chapo, Joaquim Chissano, Armando Guebuza e Filipe Nyusi

La foto è stata scattata – nello stadio Machava – in occasione del 50° anniversario dell’indipendenza del Mozambico dal Portogallo. Un luogo importante e simbolico. Lì, Samora Machel, primo presidente della Repubblica, annunciò al mondo che il Mozambico era libero.

Cinquant’anni di malgoverno

L’ex first lady continua ad esprimere la sua rabbia verso la classe dirigente mozambicana. “Questi uomini hanno portato il Mozambico all’arretratezza, alla miseria, hanno installato e consolidato la corruzione in tutto l’apparato amministrativo e vivono nell’opulenza”.

“La promessa di sviluppo fatta 50 anni fa, in questo stadio di Machava, non è stata mantenuta. Vorrei che Daniel Chapo iniziasse scusandosi con il popolo mozambicano per 50 anni di un malgoverno guidato da FRELIMO”. Accuse espresse il 25 giugno scorso, Giornata dell’Indipendenza, che hanno scatenato la polemica.

Il post di Lagia Dias Fonseca

Vista la situazione che sta vivendo il Mozambico le dure parole di Lagia Dias Fonseca sono la voce di una maggioranza di mozambicani. Sono sicuramente coloro alle scorse elezioni presidenziali hanno votato il candidato di Podemos, Venancio Mondlane.

Una nazione di oligarchi

Nel frattempo, in cinque decenni, il Mozambico è diventato una nazione di oligarchi che guidano un Paese con alti livelli di corruzione. Gli eroi che hanno annunciato l’indipendenza nel 1975 – escluso Samora Machel, deceduto in un discutibile incidente aereo nel 1986 – sono rimasti al potere. E si sono arricchiti allontanandosi sempre più dai bisogni della popolazione.

Le cause della crisi

Oggi il Mozambico, nonostante le grandi miniere di rubini e i giacimenti di gas naturale di Cabo Delgado, è impoverito e pieno di debiti. Le cause sono almeno tre. La prima è la corruzione che ha creato lo scandalo da 1,9 mld di euro chiamato “debiti occulti”. Ha visto coinvolti due ex presidenti, ministri e Servizi segreti (SISE). I “debiti occulti” hanno aggiunto oltre 2 milioni di poveri a quelli già esistenti.

La seconda causa è la guerra a Cabo Delgado contro i jihadisti dello Stato islamico-Mozambico (IS-Moz) iniziata a ottobre 2017. Questo conflitto fino ad oggi, secondo dati dell’ong Cabo Ligado legata ad ACLED, ha provocato oltre 800 mila rifugiati e 6.000 morti (più di 2.500 civili). Nemmeno l’intervento militare SAMIN, durato 18 mesi, della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC) è riuscito a fermare i jihadisti.

Venancio Mondlane
Venancio Mondlane

Oltre alla missione SAMIN sono intervenute le truppe ruandesi (RDF), ancora oggi presenti a Cabo Delgado. Circa 4.000 militari del Ruanda difendono i giacimenti di gas naturale ma gli attacchi IS-Moz continuano. E il governo mozambicano, da oltre sei mesi, non riesce a pagare il conto causando l’irritazione del presidente ruandese, Paul Kagame.

Brogli elettorali

La terza sono i brogli elettorali e i disordini che ne sono scaturiti. Nel 2024 il Centro per l’integrità pubblica (CIP), ONG di Maputo ha pubblicato un’indagine esplosiva. Il report si chiama “25 years of electoral fraud, protected by secrecy” (25 anni di frodi elettorali protette dal segreto).

Gli ennesimi brogli hanno fatto montare la rabbia degli elettori dell’opposizione che chiedeva il riconteggio dei risultati elettorali (mai accettato dal FRELIMO). L’economia del Paese è rimasta paralizzata per mesi dalle manifestazioni e dagli scioperi. A causa dei disordini molte delle infrastrutture sono andate distrutte nella capitale, Maputo, e nelle maggiori città.

La polizia ha represso le proteste sparando ad altezza d’uomo sulla gente. Finite le proteste sono stati contati i morti, soprattutto ussisi da colpi di arma da fuoco: oltre 400 e più di 3.000 feriti.

Ora la colpa di tutto viene scaricata sull’ex candidato alla presidenza, Venancio Mondlane, accusato per i danni originati dalle manifestazioni contro i brogli elettorali. “Non conosco ancora i crimini di cui sono accusato” ha commentato parlando con i giornalisti all’uscita dall’ufficio del procuratore generale.

(ultimo aggiornamento 4 luglio 2024 alle 17.35)

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Truppe sudafricane lasciano il Mozambico per fine missione anti jihadista: sono finiti i fondi

Mozambico, aumentano gli attacchi jihadisti a Cabo Delgado. E Maputo non paga il conto per truppe ruandesi

 

Mazzette per 1,9 miliardi di euro in Mozambico, 12 anni al figlio dell’ex presidente e a due capi dello spionaggio

Panama Papers 1: Mozambico, coinvolti ministri e generali nel saccheggio di pietre preziose