Accuse all’Italia per l’addestramento dei janjaweed: “Avete creato un mostro”

Il golpista capo dei paramilitari Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, in un'intervista recuperata da Africa ExPress ha ringraziato il nostro Paese per il sostegno e l'addestramento alle sue milizie

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Speciale per Africa ExPress e per il Fatto Quotidiano
Massimo A. Alberizzi
21 aprile 2023

Infuriano i combattimenti a Khartoum tra l’esercito regolare del presidente, il generale Abdel Fattah al Burhan, e il suo vice, pari grado e golpista Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, che guida la Rapid Support Forces, cioè gli ex janjaweed.

La tregua di tre giorni promessa per la festa dell’Eid, che segna la fine del Ramadan, non ha retto. E i cannoni hanno ripreso a tuonare mentre si moltiplicano le voci sull’imminente evacuazione degli stranieri. Molte delle loro residenze le cui residenze sono state prese d’assalto dai belligeranti. Non è la prima volta che vengono proclamati cessate il fuoco che vengono regolarmente violati.

 

Ieri è spuntato fuori un video che conferma quanto scritto da Africa ExPress che cioè gli italiani danno appoggio logistico e addestrano i paramilitari di Dagalo. Intervistato nell’agosto 2022 per la pagina Facebook New Sudan, il generale golpista ammette: “Siamo supportati soprattutto dagli italiani. Ringraziamo quindi gli italiani, soprattutto dal punto di vista tecnico. Potrebbero continuare per due anni con noi”.  E più in là:” La loro formazione ci ha giovato molto perché è specializzata nella lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina. Grazie all’Unione Europea e agli europei in generale Siamo impegnati per loro e per conto del mondo. Non bisogna dimenticare che ora stiamo svolgendo un ruolo umanitario nel deserto. Abbiamo sovvenzioni per il carburante (sembra dal contesto forse pagato dall’Italia, ndr) e dobbiamo controllare un territorio vastissimo”.

Durissimo il commento al telefono da Khartoum di un’attivista per la tutela dei diritti umani ben conosciuta da Africa ExPress, ma di cui non vogliamo rivelare il nome per tutelare la sua sicurezza: “Gli italiani hanno contribuito a creare un mostro. Avete addestrato i janjaweed, criminali che ora hanno tentato un colpo di stato e stanno massacrando a popolazione civile”.

Gli uomini del generale Dagalo sono conosciuti per le atrocità commesse in Darfur nella prima decade del Duemila. Arabi, soprannominati janjaweed (termine che più o meno significa “diavoli a cavallo”), che assaltavano i villaggi africani, bruciavano le capanne, ammazzavano senza pietà gli uomini, stupravano le donne urlando “Sporca negra ora ti faccio avere un figlio arabo”, rapivano le bambine trasformandole in schiave del sesso, e i bambini arruolati a forza.

Con scarsa lungimiranza, l’Italia aveva deciso di affidare ai tagliagole il compito di controllare i confini del nord del Sudan con Egitto, Libia e Ciad per non fare passare i migranti che ogni giorno dall’Africa subsahariana tentano di arrivare al Mediterraneo.

Le denunce di violenze, soprusi omicidi compresi, non hanno smosso più di tanto il governo Draghi (autore dell’idea) e neppure il successivo, mostrando tutti i limiti e i fallimenti dell’”aiutiamoli a casa loro” o “respingiamoli a casa”.

Non sono stati neppure ascoltati gli avvisi di chi denunciava l’indole filibustiera di quest’accozzaglia di persone incontrollabili.

Africa ExPress e Il Fatto Quotidiano avevano denunciato che il 12 gennaio 2022 il colonnello dei nostri servizi Antonio Colella, assieme a quattro suoi fedelissimi e a una donna non identificata di una Ngo, era stato a Khartoum.

Il gruppo aveva incontrato Dagalo e con lui aveva pianificato gli interventi degli istruttori italiani che poco dopo hanno cominciato il loro lavoro con i janjaweed in un campo militare di El Obeid, a 400 chilometri a sud della capitale sudanese.

Ma la cosa più incredibile è che i janjaweed hanno ricevuto aiuti logistici e militari anche dalla Russia. Dagalo, infatti, ha concesso ai mercenari del gruppo Wagner che fa riferimento al Cremlino, lo sfruttamento di miniere d’oro nel nord del Paese. Quindi italiani e russi assieme a insegnare ai tagliagole a far la guerra seriamente.

“Gli uomini di Dagalo – spiega l’attivista per i diritti umani – ora controllano una buona parte della capitale sudanese, ma non hanno comandanti che li tengano disciplinati e diano loro ordini. Hanno licenza di uccidere chiunque, di rapinare e saccheggiare. Sono opportunisti, più banditi criminali che gente con un obiettivo politico”.

Ma la gente con chi sta? “Il popolo non sta né con Burhan né con Dagalo. Piuttosto vuole un governo civile lontano dai signori della guerra. Secondo Ali Baba, uno degli stringer di Africa ExPress, gli RSF hanno importanti difficoltà logistiche. “Molti sono arrivati da fuori e ora hanno problemi con i rifornimenti. Sono anche a corto di carburate. Cercano di farlo arrivare dalla Libia ma anche per loro non è facile”.

Secondo le ultime informazioni i civili morti di questa settimana di guerra sono stati 413 e i feriti 3551, L’aeroporto è nelle mani dell’esercito e, se tutto va bene, in un paio di giorni potrebbe essere di nuovo operativo e quindi permettere l’evacuazione degli stranieri che diversi Paesi, inclusa l’Italia, stanno pianificando.

Ieri sera l’intensità dei combattimenti era diminuita e si è diffusa la voce che i janjaweed si stessero ritirando: “Potrebbe essere una mossa tattica. Stiamo a vedere nelle prossime ore cosa succederà”, ha commentato Ali Baba. Oggi, potrebbe essere il giorno in cui si potrà capire se il Sudan finirà nel burrone o sarà in grado di fermarsi prima.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
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