Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
4 marzo 2023
La Corte costituzionale ugandese ha respinto la richiesta di annullare o di sospendere la draconiana legge anti LGBTQ (acronimo per persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer), considerata una delle più repressive al mondo.
Battezzata “legge anti-omosessualità 2023”, prevede pene durissime per le persone che hanno rapporti omosessuali e “promuovono” l’omosessualità. Il reato di “omosessualità aggravata” prevede la pena di morte, sentenza che in Uganda non viene però applicata da anni.
La legge è stata approvata nel marzo 2023, poi ripresentata all’inizio di maggio dopo la richiesta del presidente Yoweri Museveni di attenuare alcune parti della prima stesura. Infine è stato praticamente adottato il testo originale senza cambiamenti sensibili. Il capo di Stato a poi promulgato l’atto a fine maggio, fatto che ha scatenato l’indignazione dei Paesi occidentali, delle istituzioni internazionali (ONU, Banca Mondiale) e delle ONG, che ne hanno chiesto l’abrogazione. Gli Stati Uniti hanno imposto anche sanzioni contro il Paese.
In seguito, alcuni attivisti per la protezione dei diritti umani, due professori di diritto dell’università di Makerere, a Kampala, e due parlamentari del partito al potere, National Resistance Movement (NRM), hanno proposto un ricorso alla Corte costituzionale per l’abrogazione della legge anti- omosessualità 2023.
I magistrati della Corte suprema hanno respinto il ricorso. “Ci rifiutiamo di annullare la legge anti-omosessualità 2023 nel suo insieme, né concediamo quindi la sospensione della sua applicazione”, ha dichiarato il giudice Richard Buteera, leggendo la sentenza a nome dei suoi quattro colleghi.
I giudici hanno tuttavia stralciato alcune disposizioni ritenute incompatibili con le convenzioni internazionali, come la punizione dell’omessa denuncia di atti omosessuali.
La nuova legge è ampiamente sostenuta in Uganda, un Paese a maggioranza cristiana conservatrice. E Anita Among, presidente del Parlamento ha definito la sentenza di ieri un “grande successo, che dimostra che tutti i rami del governo – Parlamento, esecutivo e giudiziario – hanno un obiettivo comune: proteggere l’Uganda da qualsiasi influenza straniera negativa”.
Le severe leggi contro gli omosessuali ancora in vigore in molti Paesi africani, risalgono all’era coloniale. Dai rapporti dei primi missionari approdati in Africa, si apprende che le popolazioni locali erano dedite ad attività sessuali del tutto libere e spregiudicate. Usi e costumi che avevano imbarazzato fortemente il perbenismo europeo.
E proprio con l’ingresso delle religioni cristiane, insieme all’esasperato bigottismo vittoriano, che in Africa che nacque una profonda repulsione per l’omosessualità.
L’Uganda, come molti Paesi africani, ha ereditato dalla potenza coloniale che la governava, il Regno Unito, parecchie norme tra cui quella che punisce l’omosessualità, anche tra persone adulte e consenzienti, come un qualunque reato.
Ancora oggi lo scottante argomento divide la Chiesa anglicana e quella ugandese ha interrotto da anni i rapporti con le consorelle americana e canadese, perché avrebbero violato il patto stipulato durante la conferenza di Lambeth nel 1998, secondo cui: “La Chiesa non può benedire o legittimare unioni di persone dello stesso sesso”.
Intanto però la sentenza emessa dalla Corte Costituzionale è stata fortemente criticata da parte delle Organizzazioni per i diritti umani e anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, ha nuovamente invitato il governo ugandese ad “abrogare in toto” tale legge, che l’anno scorso aveva definito “probabilmente la peggiore del suo genere nel mondo intero”.
E in un messaggio su X (ex Twitter), anche David Cameron, segretario di Stato del Regno Unito per gli Esteri, ha espresso il suo rammarico.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
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