Chi è la giudice ugandese Julia Sebutinde, l’unica pro Israele alla Corte di Giustizia

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Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
31 gennaio 2024

All’Aja i riflettori rimangono ancora puntati sulla controversa posizione della giudice ugandese Julia Sebutinde. Ha espresso il suo voto dissenziente contro le sei misure provvisorie, proposte dalla Corte Internazionale di Giustizia, contro Israele per “prevenire possibili atti genocidari” nella Striscia di Gaza.

International Court of Justice, The Hague

Nella tempesta legale in corso, la mossa di Sebutinde, in evidente e non giustificabile antitesi ad un collegio di 17 giudici, ha subito suscitato indignazione, polemiche e provocato una rapida dissociazione da parte del suo Paese d’origine, l’Uganda.

Lo scorso dicembre, il Sudafrica ha avviato un procedimento contro lo Stato di Israele presso il più alto organo giudiziario delle Nazioni Unite, per atti di genocidio contro i palestinesi della Striscia di Gaza.

In questo arazzo giudiziario, Sebutinde ha affermato che la disputa israelo-palestinese è una questione politica con radici storiche, non adatta ad una soluzione giudiziaria. Inoltre, a suo avviso, “il Sud Africa non ha dimostrato, nemmeno prima facie, che gli atti presumibilmente commessi da Israele siano stati commessi con il necessario intento genocida e che, di conseguenza, possano rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione sul Genocidio” [https://www.icj-cij.org/node/203449].

Julia Sebutinde, giudice ugandese di formazione britannica, è la prima donna africana a sedere nella Corte Internazionale di Giustizia. La carriera non è stata priva di controversie. E la sua voce, che fa eco al suo precedente dissenso sul caso dell’Uganda riguardante la Repubblica Democratica del Congo e sul caso Charles Taylor, ex presidente liberiano, riguardante i crimini di guerra in Sierra Leone, aggiunge complessità alla narrazione che circonda le azioni di Israele a Gaza.




La sentenza integrale della Corte Internazionale di Giustizia sul massacro a Gaza




Il modello di voto unanime di Sebutinde, contro tutte le misure provvisorie, è degno di profonde riflessioni, data la sua specializzazione in crimini di guerra e l’apparente forza della tesi del Sudafrica.

Considerata la gravità delle accuse e le potenziali implicazioni per la giustizia internazionale, crescono le richieste di un’indagine approfondita e trasparente sul voto del giudice Sebutinde.

Nel campo del diritto internazionale e della giustizia, l’integrità e l’imparzialità dei giudici sono intoccabili. La Corte Internazionale di Giustizia, in quanto organo critico delle Nazioni Unite, sostiene i principi di un giudizio legittimo e imparziale. Pertanto, qualsiasi accusa o percezione di parzialità, coercizione o corruzione deve essere affrontata con la massima serietà, per preservare la credibilità della Corte stessa e la fiducia della comunità internazionale in questa istituzione.

Sebbene sia essenziale rispettare l’indipendenza della magistratura e l’integrità personale e professionale del giudice Sebutinde, queste circostanze insolite meritano un esame più attento.

Con l’ultima sentenza, la Corte ha tuonato che non è implausibile che le operazioni militari di Israele sulla Striscia di Gaza e il suo assedio violino la Convenzione sul Genocidio (UN, 1948). Né la Corte ha ritenuto inverosimile che le dichiarazioni pubbliche di politici israeliani costituiscano un incitamento al genocidio. Questo rappresenta una disapprovazione significativa nei confronti di un Paese definito democratico e nei confronti della Comunità Internazionale che sostiene che il rispetto del diritto internazionale da parte di Israele, può essere dato per scontato perché è una democrazia.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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1 COMMENT

  1. Israele non è un paese. È un territorio rubato a cui si è dato un nome; è una mossa geopolitica. Non è nient’altro.

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