Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Swakopmund (Namibia), 5 dicembre 2013
Un eroe, un mito, una leggenda. Gli ultimi anni li ha vissuti così Nelson Rolihlahla Mandela, riconosciuto come uno degli uomini più importanti – ma soprattutto più “umani” – del secolo scorso. Chi altri partendo da zero, massacrato psicologicamente e fisicamente sin da piccolo dopo aver passato 27 anni in carcere ed essere arrivato ai vertici del suo Paese sarebbe riuscito a perdonare i suoi aguzzini? Esempi di questo genere esistono solo in letteratura.
Morto Nelson Mandela. Dopo 27 anni di carcere perdonò i suoi aguzzini per costruire un Sudafrica democratico
Angola, se estrechan las mallas del régimen. El Presidente Dos Santos se ha olvidado de cuando era pobre y en el exilio
NUESTRO REPORTAJE PARTICULAR
Cornelia I. Toelgyes
1 de diciembre de 2013
Josè Edoardo dos Santos nace en 1942 en un barrio pobre de Luanda (Angola). Él sabe lo que significa la represión: se matricula siendo muy joven en el MPLA (Movimiento Popular para la Liberación de Angola) y en 1956 el gobierno colonial lo obliga a exiliarse. Primero en Francia, después en el Congo, y finalmente se traslada a Rusia, donde termina sus estudios como ingeniero. Vuelve en su país en 1970 y, después de la independencia de Portugal, en 1975 se convierte en ministro de Relaciones Exteriores. En 1979, tras la muerte de Agostinho Neto, es elegido como presidente, cargo que sigue ocupando hoy día.
Angola, si stringono le maglie del regime. Il presidente Dos Santos si è scordato di quand’era povero e in esilio
NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
Cornelia I Tolgies
1 dicembre 2013
Josè Edoardo dos Santos nasce nel 1942 in un quartiere povero di Luanda (Angola). Sa cosa significa la repressione: si iscrive ancora giovanissimo all’ MPLA (Movimento popolare di liberazione dell’Angola) e nel 1956 il governo coloniale lo costringe all’esilio. Dapprima in Francia, poi in Congo e per ultimo si trasferisce in Russia, dove termina gli studi come ingegnere. Torna nel suo paese nel 1970 e, dopo l’indipendenza dal Portogallo, nel 1975 diventa ministro degli esteri. Nel 1979, dopo la morte di Agostinho Neto, viene scelto come presidente, carica che ricopre ancora oggi.
Aereo mozambicano con 34 persone a bordo si schianta in Namibia: nessun sopravvissuto
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Windhoek, 29 novembre 2013
Un aereo mozambicano con 34 persone a bordo (28 passeggeri e sei membri dell’equipaggio) si è schiantato in Namibia: nessuno è sopravvissuto. I resti del velivolo sono stati trovati nel parco nazionale Bwabwat nel dito di Caprivi, quel territorio dove una striscia di territorio namibiano si incunea tra l’Angola e il Botswana. Non si conoscono la cause del disastro, “E’ troppo presto per poter trarre delle conclusioni – ha spiegato ai giornalisti uno dei dirigenti della polizia di Windhoek. Prendiamo comunque in considerazione anche l’ipotesi attentato. L’aereo si è completamente distrutto, bruciato e ridotto in cenere”, ha spiegato.
Arrestato in Mali l’assassino di un diplomatico americano in Niger
NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
Cornelia I. Toelgyes
29 novembre 2013
L’FBI ci ha messo 13 anni per mettere le mani su Alhassane Ould Mohamed, detto Cheibani, il killer di un diplomatico USA (William Bultemeier), ucciso a sangue freddo a Niamey (capitale del Mali) mentre usciva da un ristorante nel dicembre del 2000.
Artigianato keniota al mercato benefico prenatalizio a Milano
Milano, 29 novembre 2013
Come ogni anno, sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre torna alla Basilica di San Carlo al Corso a Milano, ingresso da Corso Matteotti 14, il mercatino benefico “Suk de Noël”: una ricca selezione di pezzi di artigianato africano ricercati e originali tra cui scegliere un regalo solidale.
Kenya, il presidente Kenyatta si rifiuta di promulgare la legge bavaglio sulla stampa
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 28 novembre 2013
I deputati kenioti hanno tentato di ancora una volta di mettere il bavaglio alla stampa ma non ci sono riusciti. Hanno approvato una legge capestro che, di fatto, prevedeva il controllo della politica sulla libera informazione, ma il presidente Uhuru Kenyatta ha posto, per la prima volta da quando è stato eletto nell’aprile scorso, ha posto il suo veto: niente da fare, le nuove norme si scontrano con la Costituzione.
In meno di due anni da capitano golpista a generale presidente e ora in carcere: la parabola del maliano Sanogo
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo. A. Alberizzi
Nairobi 28 novembre 2013
Era un semplice capitano dell’esercito Amadou Haya Sanogo il 22 marzo 2012 quando con un colpo di Stato si impadronì del potere e si autoproclamò presidente del Mali. Poco dopo si regalò i gradi di generale e oggi è stato arrestato con accuse gravissime: omicidio, tortura, stupro, sequestro di persona, intimidazione e violenze di vario genere contro gli oppositori politici o chi non la pensava come lui, specie tra i militari.
Repubblica Centrafricana nel caos, si rischia un nuovo genocidio. La Francia invia truppe
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 27 novembre 2013
La Repubblica Centrafricana (CAR, dall’acronimo inglese, Central African Republic) rischia di diventare una nuova Somalia. Guerra perenne tra bande con la popolazione civile che ne fa le spese. Che possa discendere nel “più completo caos” è stato sottolineato dal vicesegretario delle Nazioni Unite Jan Eliasson, che ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di agire immediatamente, trasformando l’attuale contingente dell’Unione Africana (2500 uomini) in un’operazione di peacekeeping dei caschi blu.
Eritrea violenta: l’inferno di Elsa, Lula & le altre a Sawa, il campo degli stupri
Dalla Nostra Inviata Special
m. r.
Asmara, 26 settembre 2002
E’ da poco passata la mezzanotte. Svegliata dai colpi prepotenti sferrati con il calcio del fucile contro la porta di casa Lula, terrorizzata, schizza all’improvviso dal letto. La diroccata palazzina di due piani nei pressi dell’aeroporto di Asmara è circondata dai soldati. La ragazza infila velocemente un pantalone e un giubbotto, e prima di aprire la porta volge un rapido sguardo verso gli occhi disperati di sua madre. L’ufficiale sull’uscio ringhia qualche frase verso le donne. Lula il menqesaqesi, il tesserino militare, non ce l’ha.
Un uomo l’afferra con violenza per il braccio e la trascina su un camion, già carico di ragazzi e ragazze impauriti. In pochi secondi il mezzo sparisce nell’oscurità. Destinazione Sawa, un durissimo e inavvicinabile campo militare di addestramento situato nell’infuocato deserto ai confini con il Sudan.
Le giovani eritree lo chiamano più semplicemente, sussurrandoti nell’orecchio, il “campo degli stupri”. Nell’accampamento ci passano tutti, prima o poi. È la tappa obbligatoria degli eritrei tra i 17 e i 40 anni, ma spesso ci finiscono ragazzine e ragazzini di 15 e 16 anni. Le cifre sono agghiaccianti: si calcola che oltre 200 mila eritrei, la metà donne, siano stati reclutati forzatamente. Quando Lula entra a Sawa è il gennaio del 2001. Ha da poco compiuto 17 anni, ha lasciato la scuola nel 1998 per occuparsi della sorella minore.
Sua madre, abbandonata dal marito, è malata di cuore. Dei due fratelli maggiori non si hanno più notizie da oltre due anni. Come altri 19 mila giovani saranno morti durante l’insensata guerra contro l’Etiopia scatenata nel 1998. Per Lula i sei mesi trascorsi nel maledetto accampamento sono ancora un incubo. Racconta: “All’inizio è stata una tortura. Ho sopportato in silenzio lunghe marce a piedi nel deserto, tra i ragni e i serpenti sotto un sole accecante che ti spezza le gambe. Volevo dimostrare ai “capi” che sono una brava patriota. La sofferenza è cominciata quattro mesi dopo, quando ero troppo stanca per ribellarmi. Gli uomini, al tramonto, entravano prepotentemente nella tenda e sceglievano una di noi per passare la notte. Si trattava di ufficiali, anche sposati, che consideravano normale portarsi a letto ogni sera una soldatessa diversa. Sono rimasta quasi subito incinta e mi hanno immediatamente rispedita a casa”.
La drammatica esperienza di Sawa ha significato per la giovane mamma l’abbandono di ogni speranza nel futuro. “La propaganda di governo promette posti di lavoro a 150 nakfa al mese, circa 7,5 euro al cambio nero, ai giovani che tornano dal servizio militare obbligatorio, ma non è vero. Ci impediscono di studiare e ci rubano i sogni. Quando finirò di allattare Stella, senza un marito, non so come la sfamerò. Ma una cosa è certa: quando sarà il suo turno la nasconderò. La mia bambina non andrà mai a Sawa”. Alcune suore, in segreto, gestiscono una clinica per ex soldatesse. Molte famiglie non riaccolgono più in casa le ragazze madri o quelle che riescono a fuggire da Sawa. Le religiose diventano così le uniche confidenti di giovani donne traumatizzate o in procinto di partorire figli concepiti nei campi militari.
“La situazione è ormai incontrollabile”, sostiene una suo-ra. “Moltissime donne sposano perfetti estranei per evitare i “giffa”, i rastrellamenti forzati. Altre non reggono e si suicidano. Da quando il governo ha deciso di non reclutare più donne con figli, in clinica abbiamo fatto il pieno di ragazze che aspettano bambini da sconosciuti. Poi tornano disperate quando si rendono conto che senza tesserino militare non avranno mai un lavoro. L’avvenire di questo Paese è nero”.
Elsa, invece, i suoi 18 mesi di servizio militare se li è fatti tutti. Compresi 12 terribili vicino ad Assab, nell’inferno del deserto dancalo. Mostra foto sbiadite di Sawa, durante l’addestramento, lei fiera nella mimetica, è sorridente. “Era il 1998, avevo 20 anni. Dopo sei mesi ho capito che quei soldati mi chiedevano un “servizio” diverso. Io e la mia compagna di 17 anni siamo finite in una casa con militari uomini”, sussurra Elsa. “In pratica siamo diventate le loro serve. Dodici ore al giorno di lavoro e stuprate la notte: un tormento insopportabile. A me è toccato un uomo non sposato, all’inizio ero contenta ma poi quando sono rimasta incinta mi ha rispedito ad Asmara. Per fortuna è successo due mesi prima dello scoppio della guerra, altrimenti sarei morta al fronte. L’ufficiale mi scrisse una lettera: per dirmi che il figlio non era suo. So che si è sposato con un’altra. Molte mie compagne si sono ammalate di Aids. Sappiamo che esiste questa malattia, ma io non so bene come si prende”.
La corsa del virus in Eritrea è allarmante: nel 1988 appena un caso, nel 2001 oltre 13.000 ammalati, 3.000 in più ogni anno. La guerra tra Eritrea ed Etiopia è finita da un pezzo. 3.500 caschi blu delle Nazioni Unite, tra cui 150 italiani, sorvegliano il cessate il fuoco. Il presidente Isaias Afeworki aveva promesso solennemente di smobilitare circa 150 mi-la soldati e, con i fondi della Banca Mondiale, favorire le attività professionali e di studio. Del progetto, oggi, nessuno ne parla più. Ogni notte agli angoli delle strade soldati ragazzini, in tuta mimetica e sandali, intimano ai loro coetanei di esibire l’odiato mengesagesi. Chi ne è sprovvisto finisce direttamente a Sawa. Vietato parlare di reclutamenti forzati. Il governo preferisce chiamarli “programmi di lavoro estivi”, o “maetot”, servizio di leva obbligatorio. Da giugno di quest’anno i rastrellamenti si sono intensificati, fino a raggiungere i tremila nella sola notte del 9 luglio. La sera le strade di Asmara sono quasi deserte. Gli unici giovani che frequentano bar e ristoranti sono i “beles”, i fichi d’india, come vengono chiamati affettuosamente da queste parti gli emigrati che tornano in Eritrea per trascorrere le vacanze estive. Per sfuggire ai reclutamenti forzati le ragazze dormono ogni sera in luoghi diversi, oppure, come le cameriere degli alberghi, si fanno rinchiudere nelle cantine già attrezzate di materassi e acqua.
Ma spesso non basta. Gli ufficiali dell’esercito si presentano direttamente al datore di lavoro per esigere la consegna del personale. I rastrellamenti hanno provocato la paralisi dell’economia e, di conseguenza, molte imprese hanno chiuso i battenti. Se gocciola un rubinetto non ci sono idraulici per ripararlo, la terra coltivabile è trascurata perché non ci sono braccia giovani e forti, il ministero dell’Educazione ha dovuto assumere 300 insegnanti indiani, perché quelli eritrei sono spariti al fronte o spediti a Sawa. Il presidente Isaias, che non ha mai promulgato la costituzione del 1997, recentemente ha fatto arrestare – in una località segreta – 15 dei suoi più stretti e illuminati collaboratori. Avevano “osato” scrivere una lettera dove si richiedevano le riforme democratiche che tutti i cittadini aspettano da tempo.
La stampa libera è stata soppressa e i giornalisti incarcerati. 400 studenti universitari che si oppongono ai “campi di lavoro estivi” sono stati spediti a Wia, un lager vicino al porto di Massaua dove le temperature superano spesso 40 gradi, con il compito di ammucchiare pietre. Ad altri 1.700 è stato impedito di iscriversi al nuovo anno accademico, perché bloccati in un interminabile servizio militare obbligatorio. Parlare apertamente della situazione politica e sociale del Paese è impossibile.
Come negli anni ’70 e ’80 è ricominciato l’esodo. Moltissime donne scappano: in Etiopia, in Sudan o via mare. Chi può pagare, viene trasportata sulla costa e sistemata su una piccola imbarcazione nel bel mezzo del Mar Rosso, in attesa che arrivi una nave più grande in rotta verso l’Europa. Altre cadono vittime di truffatori senza scrupoli. In Eritrea i legami con l’Italia sono ancora molto forti. Tantissimi eritrei, anche giovani, parlano perfettamente la nostra lingua. Ad Asmara c’è la più importante scuola italiana all’estero e l’architettura anni ’20 della città, come anche l’atmosfera che si respira, è quella di una tranquilla e sonnacchiosa cittadina del nostro sud.
Una sera, in un ristorante, davanti a un fumante piatto di tagliatelle al ragù, un eritreo sulla cinquantina accetta di parlare di sua figlia, ma si capisce che lo fa con imbarazzo. “Ha vent’anni. Ha finito la scuola italia-na due anni fa, anche sua nonna – mia madre – era italiana. Dovrebbe partire per Sawa, ma le ho procurato dei documenti falsi dove risulta che è ancora troppo giovane. Partire per l’estero? Impossibile: senza tesserino militare, niente passaporto. Il governo ha perfino annullato tutte le borse di studio, perché molti studenti non tornavano più. La sera non esce e tutta la famiglia la sta nascondendo per proteggerla dall’aberrante campo militare. Ma in questo Paese di poco più di tre milioni e mezzo di abitanti, non ci sono più tanti posti per nascondersi”.
m.r.
Questo articolo è stato scritto nel 2002 ma è ancora valido
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