Speciale per Africa ExPress
Fabrizio Cassinelli
24 giugno 2025
Gli Usa impongono la guerra e poi la pace ma quello che ottengono è solo più caos, il programma atomico iraniano è salvo ma il regime perde peso geopolitico, Israele manipola gli Usa ma perde la sua invincibilità
Mentre il mondo assiste, nel silenzio delle sue istituzioni, ai continui colpi di scena in Medioriente, dove il diritto internazionale è stato calpestato più volte, arriva finalmente – 12 giorni e molte vittime dopo – una fragile tregua tra Israele, USA e Iran.

Tre Paesi che nei proclami cantano vittoria, ma che nella realtà hanno tutti perso qualcosa, con la stabilità della regione compromessa e tutti i dossier, dalla strage a Gaza al nucleare Iraniano, all’imperialismo americano decisamente peggiorati.
Iran accetta stop
All’alba di martedì 24 giugno è entrata in vigore una tregua che, dopo essere stati due volte attaccati a tradimento mentre erano in trattativa diplomatica, gli iraniani ovviamente non volevano. Ma che dopo il viaggio del ministro degli Esteri persiano in Russia, hanno accettato.
Il presidente Trump, dopo averli bombardati a sorpresa ha cantato vittoria e – in un panorama geopolitico tra l’assurdo e il grottesco – ha invitato alla pace. Atteggiamenti ambigui che hanno causato gravi danni, anche se negati a spada tratta.
Hanno creato una spaccatura nella sua componente politica principale, i cosiddetti Maga. Hanno scatenato proteste popolari estese in alcune importanti città degli Stati Uniti.
Hanno alterato il profilo (reale o propagandistico) della politica estera USA da sedicente “forza di pace” a forza che impone le trattative con le armi, anche a tradimento, creando un pessimo precedente che la rende molto poco credibile nel futuro.
Intervento militare illegale
Washington ha dato vita a un intervento militare platealmente illegale perché aggredire uno Stato sovrano bombardando le sue centrali nucleari è una delle cose più vietate dalle leggi internazionali. Ha anche scatenato le armi convenzionali più terribili che aveva, senza ottenere nulla di significativo. Perché i danni alle strutture nucleari iraniane non sono sufficienti a interrompere il programma atomico.

Israele, ugualmente, si è lasciata andare a trionfalismi sia per aver attaccato “finalmente” le centrali iraniane, sia per aver indotto, per non dire costretto gli Stati Uniti a entrare nel conflitto.
Ma se la distruzione “superficiale” o “totale” delle strutture di Fordow, Natanz, Isfahan e Arak, dove si trovano i principali complessi atomici iraniani, viene sbandierata come un successo per il futuro stesso di Israele, in realtà ha fornito agli iraniani una scusa legalmente inattaccabile per uscire dal Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), e quindi da tutti gli eventuali futuri controlli.
Israele non è invincibile
L’Articolo 5 del TNP infatti prevede che in caso di pericolo per lo Stato aderente esso possa uscirne: e cosa c’è di più pericoloso di un’aggressione militare alle centrali nucleari, per un Paese?
Ma c’è di più. È vero che l’aggressione illegale all’Iran è solo una degli attacchi effettuate da Israele (dopo Libano, Siria, Iraq e Yemen) che non si è mai sentito in imbarazzo per la sua condotta, ma questa volta ci sono stati degli smacchi tali da “aver minato profondamente – come scrive Haaretz – l’idea che Israele aveva della sua invincibilità”.
E se il concetto propagandistico della “democrazia del Medioriente” è da tempo in discussione per le violazioni dei diritti umani e dei crimini di guerra a Gaza, e questo magari importa meno al governo di Netanyahu, importano, invece, quelli di “tecnologia superiore” e di “guerra lampo”.
Letteralmente squassati, il primo, dagli abbattimenti degli aerei di quinta generazione e dall’inefficacia degli scudi antimissile, e svanito, il secondo, dopo 12 giorni di bombardamenti reciproci senza vincitori. La fine di queste due certezze, unite alle città sventrate e alle fughe nei rifugi, ha avuto ricadute psicologiche pesantissime sulla popolazione.
Per entrambi, poi, USA e Israele – che nelle dichiarazioni volevano solo “fare la guerra al Nucleare iraniano” come aveva sostenuto Trump – il fallimento strategico è stato netto.
Complotto Washington – Tel Aviv
Come ha scoperto il New York Times, insieme preparavano da anni, coordinati, un colpo di Stato con minacce telefoniche agli ufficiali, autobombe, omicidi mirati, bombardamenti di palazzi e l’eliminazione di intere famiglie.
Le vittime, eccellenti e non, ci sono state e numerose, ma la catena dei militari si è ricostituita e gli ayatollah, che comandano molto meno di prima, sono comunque indenni nei loro ruoli. Perfino la morte di Khamenei non spaventa più il regime.
Agli iraniani e alla comunità internazionale poi, è ormai evidente che l’unico modo per non essere schiacciati dalla legge delle bombe non è la diplomazia – l’Iran era in piena trattativa con UE e Stati Uniti – ma possedere una deterrenza atomica.
Senza contare poi che attaccando l’Iran la popolazione è stata ricompattata al suo governo, o regime che dir si voglia, rendendo inutili le proteste popolari del 2022, con 500 morti e migliaia di arresti, che loro stessi avevano sponsorizzato e istigato. Di fatto usando e poi tradendo per la seconda volta (la prima era stata con il movimento “Onda Verde” del 2009) i giovani scesi in piazza a proprio rischio.
Teheran ha deluso supporter arabi
Anche l’Iran ha però molto di cui rammaricarsi. Accettando di rispondere ancora una volta in modo simbolico all’attacco USA, dopo che lo aveva fatto già in occasione delle precedenti aggressioni e degli omicidi eccellenti subiti, ha deluso molti dei suoi supporter arabi.
Le minacce di chiudere Hormuz, mai concretizzate, hanno inoltre tolto alla Repubblica islamica l’unica dimostrazione di forza che avrebbe scosso l’Occidente, perdendo grande peso geopolitico.
Ultima, fuori quadro, l’Europa. Che non ne ha azzeccata una, rimanendo a discutere di termini come “genocidio” di fronte ai crimini a Gaza, balbettando quando l’aggressione israeliana è passata sopra al negoziato europeo come uno schiacciasassi. E ancora restando smaccata quando nemmeno è stata avvertita dall’alleato a stelle e strisce dell’attacco, e infine quando la strada della pace è stata trovata altrove, a Washington e a Mosca.
Fabrizio Cassinelli
cassinelli.fabrizio@gmail.com
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