Speciale per Africa ExPress
Costantino Muscau
23 giugno 2025
“Un padre non può accettare tanti soldi dallo stesso Stato kenyano che quasi certamente gli ha massacrato il figlio in carcere”.
Delusione, rabbia, indignazione. A meno di 3 settimane dalla morte sospetta di un noto blogger e insegnante, Albert Omondi Ojwang, 31 anni, padre di un bimbo di 2 mesi, non si placano in Kenya le proteste contro le forze dell’ordine e il governo.
Giovani indignati
L’ultimo a riassumere, l’altro giorno, lo stato d’animo della popolazione, soprattutto della generazione Z, è stato il popolare attore e attivista, Eric Omondi, 43 anni, in prima linea nelle manifestazioni di piazza per denunciare l’alto costo della vita e la disoccupazione giovanile.

Eric, che è stato arrestato diverse volte dalla polizia antisommossa, ha espresso pubblicamente il suo disappunto nei confronti di Meshack Ojwang Opyio, genitore del defunto blogger. Eric ha puntato il dito sul fatto che papà Meshack ha accettato dal presidente William Ruto una donazione di 2 milioni di scellini (quasi 14 mila euro), una cifra enorme per una famiglia povera.
“Avevo fatto tanto per raccogliere fondi a sostegno della vedova e del figlio di Albert dopo la sua tragica fine mentre era sotto custodia della polizia. Non c’era bisogno di accettare soldi proprio dal presidente della Repubblica. Prendere denaro dal capo di uno Stato che riteniamo responsabile della morte di Albert è un atto sleale nei confronti dei cittadini che hanno donato per milioni di scellini oltre che un impedimento all’accertamento della verità”.
Primi rinvii a giudizio
Una richiesta di giustizia che è scattata subito, l’8 giugno scorso, non appena si è diffusa la notizia che Albert Omondi Ojwang era stato trovato senza vita in una cella della Polizia Centrale di Nairobi. E che oggi, 23 giugno, ha avuto una prima risposta: un ufficiale, tre poliziotti e altre persone sono state rinviate a giudizio per quell’omicidio dal procuratore generale dell’alta Corte di Kibera.

Albert, il 7 giugno, era stato prelevato dalla polizia mentre pranzava con la famiglia, condotto nella prigione di Homa Bay, cittadina del Kenya occidentale a 350 chilometri dalla capitale e poi trasportato a Nairobi.
Arrestato e ucciso per un post su X
L’accusa? Sarebbe ridicola se non avesse portato a conseguenze tragiche: aver pubblicato su X (ex Twitter) un post “diffamatorio” riguardante la corruzione nella Polizia e il viceispettore generale della polizia, Eliud Lagat, che aveva sporto denuncia.
La situazione precipita domenica mattina 8 giugno. Il giovane professore-blogger viene trovato esanime in cella. Secondo le dichiarazioni ufficiali della Polizia, “è morto suicida, con gravi ferite alla testa, presumibilmente autoinflitte, ed è stato trasportato d’urgenza in ospedale, dove è morto. Non è morto qui, in custodia. Trovato privo di sensi, è stato immediatamente trasportato all’ospedale di Mbagathi per le cure del caso, come documentato nel registro degli eventi numerato 9/08/06/2025 alle ore 1:39. All’arrivo, è stato dichiarato morto.
Versione ufficiale: suicidio
Un comunicato stampa reso pubblico l’8 giugno, (si può leggere nel sito ufficiale) conferma che l’arrestato si è ucciso picchiando la testa contro un muro della cella.
Ben diversa la versione fornita dall’avvocato della famiglia, Julius Juma. “Secondo le informazioni da noi raccolte non è morto, come dicono, nell’ospedale di Mbagathi (che sorge nel Kenyatta Golf Course, nella sotto-contea di Kibra, ndr), ma in custodia, poi portato direttamente all’obitorio.
Diversi altri aspetti restano poco chiari: le ragioni dell’arresto, le circostanze della detenzione, la causa della morte, la tenuta in isolamento quando avrebbe sbattuto la testa contro il muro. Il corpo di Albert – ha dichiarato ancora l’avvocato – presentava gravi ferite alla testa, bruciature alle mani e alle spalle. La testa era gonfia dappertutto, soprattutto nella parte frontale, nel naso e nell’orecchio. Tutte ferite che suggeriscono un possibile atto criminale. E’ necessaria un’indagine indipendente”.
I dubbi del legale sono stati condivisi anche dal quotidiano Daily Nation che il 9 giugno ha scritto: “Albert Ojwang non è morto per lesioni autoinflitte. E’ stato ucciso dallo Stato. È morto a causa di una cultura di polizia corrotta e brutale che considera le vite dei giovani kenioti come sacrificabili”.
Autopsia conferma uccisione
Il giorno successivo, 10 giugno, ecco che arrivano i risultati dell’autopsia. L’anatomopatologo governativo Berrnard Midia, ha confermato che Ojwang è stato ucciso. “Ha subito un trauma cranico e compressione del collo e altre ferite su tutto il corpo compatibili con un’aggressione. Se la testa fosse stata sbattuta contro il muro, ci sarebbero segni distintivi, come un’emorragia frontale – ha spiegato Midia –, ma l’emorragia che abbiamo notato sul cuoio capelluto era più estesa, sia sul viso che sui lati e sulla nuca. Se si considera il resto delle ferite in tutto il corpo, è improbabile che si tratti di ferite autoinflitte”. I medici hanno rilevato anche segni di colluttazione.

Quanto all’indagine indipendente, è stata richiesta a gran voce da gruppi per i diritti umani e anche da due ex presidenti della Corte Suprema, Willy Mutunga e David Maraga.
Il presidente della Law Society of Kenya, Faith Odhiambo, ha dichiarato “Come i keniani rispettano lo Stato di diritto, anche la polizia dovrebbe seguire la legge per garantire l’uguaglianz”.
Condanna di Amnesty
Amnesty International Kenya ha espresso una ferma condanna sull’accaduto : “ Nessun keniano dovrebbe perdere la vita mentre è sotto custodia della polizia. Le indagini devono essere rapide, i risultati devono essere resi pubblici e che gli ufficiali ritenuti responsabili devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Gli agenti di polizia hanno il dovere legale e morale di garantire la sicurezza e il benessere di ogni persona sotto la loro custodia. Questo incidente è l’ennesimo duro monito dell’urgente necessità di trasparenza, responsabilità e riforme di vasta portata all’interno delle nostre istituzioni preposte all’applicazione della legge”.
Manifestazioni di massa si sono tenute a Nairobi, Mombasa, Kisumu e altre città con auto bruciate, barricate, cartelli e cori che dicevano: “Giustizia per Albert, smettetela di ucciderci”.
Ripetute uccisioni della polizia
In Kenya, le uccisioni da parte della polizia sono una sanguinosa realtà. Nel 2023, la Commissione nazionale keniota per i diritti umani ha registrato 61 manifestanti uccisi e 73 rapiti. Esattamente un annofa, durante la rivolta della Generazione Z contro la legge finanziaria, almeno 65 persone sono state uccise, migliaia arrestate e decine sono scomparse senza lasciare traccia. Il documentario della BBC “Blood Parliament” ha documentato gli omicidi commessi durante le proteste antitasse del 2024 e come gli alti ufficiali di polizia ordinassero ai loro agenti di “kuua, kuua” (“uccidere, uccidere” in kiswahili), prima di sparare a proiettili veri contro manifestanti disarmati. I quattro registi kenioti del documentario vennero subito arrestati (e poi rilasciati).
Di fronte alle pressioni della società civile, il Potere ha cercato di correre ai ripari.
Il 10 giugno il ODPP (l’ufficio del Direttore della Pubblica accusa) ha incaricato l’Autorità indipendente di vigilanza sulla polizia (IPOA) di indagare sull’incidente,
Anche se lo scetticismo su un’inchiesta “approfondita, imparziale e rapida” era diffuso e palpabile, qualche risultato si è visto. E’ stato arrestato il tecnico, Kelvin Mutysiam Mutava, che aveva cancellato i filmati delle telecamere a circuito chiuso della stazione di polizia e gli hard disk mentre Eliud Lagat, il pezzo grosso da cui tutto ha avuto origine, è stato costretto a dimettersi (il 16 giugno dopo aver incontrato il presidente Ruto).
Oggi, davanti al procuratore generale, Renson Ingonga, sono comparsi il capo della Polizia di Nairobi, Samson Talaam, gli agenti John Mukhwana, Peter Kimani, e tre civili, John Gitau, Gin Abwao e Brian Njue. Tutti incriminati per l’omicidio. Come si legge anche nel comunicato ufficiale subito pubblicato online.
Nessun cenno invece al pesce grosso, Eliud Lagat. E questa scelta ha scatenato le proteste sui social: “Pagheranno i pesci piccoli. E chi ha dato gli ordini…?”
Procuratore generale al centro di polemiche
Il procuratore generale Ingonga, era già stato al centro delle polemiche. Appena il mese scorso sul sito Kurunzi news alcuni critici lo avevano accusato “di aver trasformato il suo ufficio in uno strumento politico dando priorità verso l’esecutivo rispetto alla giustizia” e di essere affetto da cecità selettiva.
La vedova di Albert, Nevin Onyango, ora anche giovane madre single (ha 27 anni), ma piena di coraggio, ha riassunto quelle che sono le angosce e le speranze dei cittadini.
Disperato appello della vedova
Nevin, come ha raccontato il canale TV Tuko.ke, era stata presentata da Albert ai suoi genitori solo nell’aprile scorso, anche se la loro relazione risaliva a tempo prima, rafforzata dalla fede cristiana e…calcistica (per il Manchester United): “Mai avrei immaginato che avrebbero bussato alla mia porta per sentirmi dire quello che vedevo tante volte in TV. Vogliamo vivere in un Paese sicuro, la polizia deve
smetterla di uccidere. So bene che nessuno mi ridarà mio marito, ma se venisse fatta giustizia mi sentirei in pace”.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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