Genocidio: parola tragica che comincia ad apparire in Palestina

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Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
7 novembre 2023

Genocidio. La parola impronunciabile comincia ad apparire. Per Gaza, per la Cisgiordania. Perpetrato da un’estrema destra di un popolo che sa bene cos’è un genocidio. Anche se i reporter sono tenuti fuori da Gaza e solo alcuni media tra cui Al Jazeera e Bbc hanno ancora qualcuno sul posto. Anche se immagini e filmati escono a spizzichi e bocconi. Anche se la guerra è sopratutto mediatica e i giornalisti devono fare debunking per sfuggire ai fake. Anche se farsi un’idea complessiva è difficile.

Gaza

Non sono fake le immagini del bombardamento di Jabaliya e neppure le scene di violenze nella West Bank ad opera dei coloni e dell’esercito che hanno legato, imbavagliato, preso a calci e fatto violenza a decine di palestinesi nudi.

Il bombardamento di Jabalia ha scosso le coscienze internazionali. Una delle poche immagini arrivate è un cratere di decine di metri che finisce nelle viscere della terra. Come se una trivella avesse rovesciato il palazzo di decine di piani e scavato sotto. D’altra parte l’esercito israeliano ha detto due giorni fa di aver fatto 11 mila azioni aeree nella Striscia dall’inizio dell’azione contro le violenze di Hamas del 7 ottobre nei kibutz intorno a Gaza.

Undicimila bombardamenti in 360 chilometri quadrati in una ventina di giorni. Infatti le testimonianze video dei gazawi raccontavano del suono della caduta della bombe quasi ininterrotto notte e giorno. E intanto fame, carenza di acqua, corrente che va e viene e non viene più. E morti. Anche se il numero di 9 mila e 61 fornito ora da Hamas viene contestato da Israele e Usa, tra bombe e il crollo di tanti edifici è difficile capire quanti siano i sepolti.

L’esercito israeliano IDF (Israel Defense Forces) dice che il bombardamento con ordigni ad alta penetrazione a Jabaliya serviva per distruggere i tunnel di Hamas che raggiungerebbero in alcuni punti della Striscia i 60 metri sotto terra. Serviva per colpire i terroristi del 7 ottobre.

Ma da quanto riferito da una fonte militare a Le Monde (articolo pag. 2 del 3 novembre) sarebbero stati ammazzati “tra i 12 e i 15” membri di Hamas. Insomma una carneficina di civili per colpire una dozzina di militanti avversari.

A Jabaliya ci vivevano ancora in tanti. Non tutti hanno obbedito all’ordine dell’IDF di andare a sud, per poi bombardare pesantemente il sud della Striscia, ospedali compresi. Su Haaretz nei giorni scorsi compariva l’intervista a una ucraina sposata con un medico palestinese che aveva deciso di rimanere nel Nord della Striscia in un’area “un po’ meno sotto le bombe”.

Mentre le azioni di Israele cominciano a inquietare anche gli Usa, a Ginevra si parla di genocidio: un gruppo di esperti dell’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu da Ginevra il 2 novembre ha scritto “rimaniamo convinti che i palestinesi siano a grave rischio di genocidio. Il tempo di agire è subito. Gli alleati di Israele sono responsabili e devono agire ora per prevenire il disastro”.

L’attacco del 31 ottobre al campo di Jabaliya, parte integrante della Striscia di Gaza dove molti hanno trovato rifugio, ha suscitato “profondo orrore” ed “è una palese violazione della legge internazionale”, scrivono. “Attaccare un campo di rifugiati che accoglie civili, incluse donne e bambini, è una completa violazione della proporzionalità e della distinzione tra combattenti e civili”.

Il rapporto (www.ohchr.org/en/press-release/2023/11/gaza-running-out-time-un-experts-warm-demanding-ceasefire-prevent-genocide) è firmato da sette specialisti su accesso all’acqua e alla sanità, diritti al cibo, discriminazione e territori occupati, tra cui Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, dal maggio del 2022, già accusata di essere una nemica di Israele. Come avvocatessa specializzata in diritti umani ha respinto l’accusa.

Intanto Bolivia, Cile, Colombia, Honduras e anche la Giordania hanno interrotto ogni relazione diplomatica con Israele richiamando i loro ambasciatori. La Bolivia aveva già reagito così nel 2009 nel precedente bombardamento di Gaza. Ora l’ex ministro degli esteri Freddy Mamani Machacha ha detto che la decisione nasce dalla “condanna dell’offensiva militare di Israele aggressiva e sproporzionata nella Striscia di Gaza e dalla minaccia per la pace e la sicurezza internazionali”.

Evo Morales ex presidente boliviano il 31 ottobre sul suo suo account Twitter @evoespueblo complimentandosi per la decisione ha aggiunto che “la Bolivia deve dichiarare lo stato di Israele come stato terrorista e presentare denuncia presso la Corte penale internazionale”.

Ma il peggio sta succedendo in Israele e nei Territori occupati della Cisgiordania. Mentre la BBC rivela che sono stati revocati i permessi di lavoro a migliaia di lavoratori palestinesi in Israele che sarebbero stati ributtati nella Striscia di Gaza, alcuni di questi dichiarano di essere stati legati, imbavagliati e torturati per ore. “Neppure i cani vengono trattati così”, ha detto un certo Zakaria.

Così sono avvenute violenze dei coloni intorno ad Hebron e in altre zone della Cisgiordania. Minacce di stupri fatte al telefono, incursioni. Solo uno dei coloni è finito a processo e condannato a 4 mesi di carcere. Altri episodi sono ancora tutti da indagare.

Alessandra Fava
alessandrafava2023@proton.me
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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