Parte dalla Sardegna un progetto per garantire acqua pulita nel nord dell’Uganda

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
4 aprile 2023

Il Comune di Nuoro è capofila di un nuovo progetto in Uganda per garantire l’accesso all’acqua pulita alle popolazioni di Adjumani, nel nord del Paese, meta di migliaia e migliaia di profughi, provenienti principalmente dal Sud Sudan e Congo-K.

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Foto di Sara Porru

L’ambiziosa sfida, il progetto di cooperazione E.Wa.s-Soluzioni per l’ambiente e per l’acqua, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, è cofinanziato dalla Presidenza della Regione Sardegna. Il piano sarà attuato in collaborazione con il distretto di Adjumani, l’Enas (Ente acque della Sardegna), l’Università di Sassari e l’associazione di volontariato Dreo (Deborah Ricciu Espandere Orizzonti).

E.Wa.s-Soluzioni supporterà il distretto di Adjumani nell’allestimento di un prototipo di laboratorio per le analisi chimiche fisiche e biologiche dell’acqua per usi domestici, così da permettere alle autorità ugandesi di monitorare le qualità della risorsa fornita alle popolazioni locali.

Una delegazione sarda, composta da Sara Porru (Comune di Nuoro), Fabiola Podda (esperta di cooperazione internazionale), Marco Sechi (Regione Sardegna), Maria Antonietta Dessena e Amedeo Fadda (Enas), Quirico Migheli (Università di Sassari), Roberto Schirru (associazione Dreo) si è recata recentemente in Uganda insieme a Padre Charles Vura Obulejo, rappresentante del distretto di Adjumani.

I profughi continuano ad affluire in Uganda, il terzo Paese più ospitale del continente, dopo la Costa d’Avorio e il Sudafrica. Nel Paese dove “regna” Yoweri Museveni ininterrottamente dal 1986, la popolazione migrante rappresenta il 4 per cento della popolazione.

Attualmente sono presenti 1,7 milioni di profughi in Uganda. “Dalla frontiera di Elegu ne entrano in media 500/600 al mese, con picchi toccati lo scorso maggio quando gli ingressi hanno sfiorato i 1.500. Li si vedono passare il ponte senza particolari problemi pur non avendo, nella stragrande maggioranza dei casi, documenti da esibire”, come si legge in un articolo del quotidiano Domani, a firma di Luca Attanasio, che recentemente ha visitato la parte settentrionale del Paese, al confine con il Sud Sudan.

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E proprio dal Sud Sudan proviene la maggior parte dei profughi, anche se sono in aumento coloro provenienti dall’est della Repubblica Democratica del Congo, a causa degli incessanti conflitti perpetrati da vari gruppi armati.

Un gruppo di esperti indipendenti delle Nazione Unite ha pubblicato un nuovo rapporto sulla situazione nel più giovane Stato della terra. Nell’esposto, pubblicato lunedì, i professionisti puntano il dito contro alcuni alti funzionari sud sudanesi, tra questi anche il governatore dell’Unity State, Joseph Monytuil, nonché Thoi Chany Reat, tenente generale delle forze di difesa del popolo del Sudan meridionale. Sono ritenuti  responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Secondo gli esperti sarebbero implicati in terribili violenze e atrocità commesse nei confronti di civili e dovrebbero essere perseguiti.

Museveni ha coniugato l’accoglienza ai rifugiati con lo sviluppo del Paese e ha saputo trasformare l’arrivo massiccio di persone in cerca di protezione in una ricchezza. Infatti il 30 per cento degli aiuti internazionali destinati ai territori dove si trovano i campi profughi, per legge, deve essere destinato alle popolazioni locali.

In questo modo anche gli abitanti delle zone povere dei distretti del nord possono godere di maggiori benefici, come servizi sanitari, scuole, acqua. Si è creato così una sorta di equilibrio nella convivenza tra residenti e profughi a beneficio di tutti, come ha spiegato il secondo vice-primo ministro Moses Ali dell’Uganda, a Africa-ExPress in un’intervista nel 2019.

Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda

Già allora Ali, classe 1939, che a tutt’oggi svolge la sua funzione in seno al governo, ha precisato: “Crediamo nel panafricanismo, siamo fratelli e sorelle e dobbiamo collaborare. Ed è nostro compito dare ospitalità ai rifugiati e cercare di integrarli nel miglior modo possibile nella società ugandese”.

I richiedenti asilo devono passare tutti dai centri di prima accoglienza in prossimità delle frontiere dove devono registrarsi e vengono sottoposti alle visite sanitarie di rito.

A gran parte dei rifugiati viene assegnato un pezzetto di terreno, secondo accordi con i clan locali e il governo. Coltivare la propria terra rende il profugo più autosufficiente. Volendo, può anche costruirsi una casetta sull’area che gli è stata concessa. A tutti profughi vengono rilasciati i documenti necessari, possono lavorare e spostarsi liberamente in tutto il Paese. Ricevono anche un documento di viaggio se vogliono recarsi all’estero, possono comunque sempre ritornare in Uganda se lo desiderano.

L’istruzione scolastica è gratuita per tutti, rifugiati e ugandesi e i banchi di scuola sono la carta vincente dell’integrazione. Il vice primo ministro fa notare che coloro che si stabiliscono nelle aree urbane si integrano più velocemente, perché è meno problematico trovare un’occupazione. Grazie al lavoro e un’entrata sicura diventano indipendenti e non necessitano più del piccolo contributo che il governo gli concede.

L’Uganda è il Paese dei contrasti. Se da un lato dimostra generosità nei confronti dei richiedenti asilo, è feroce contro gli omosessuali, la comunità LGBTQ+. Malgrado le denunce delle associazioni per i Diritti umani, il 21 marzo scorso il parlamento di Kampala ha adottato una legge, volta a rafforzare la criminalizzazione delle minoranze sessuali, che rischiano 10 anni di galera. Ora Museveni dovrà decidere se approvarla o meno entro 30 giorni. Sta di fatto che recentemente il presidente ha apostrofato gli omosessuali come “deviati”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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