Il Mali sconvolto da attacchi dei terroristi e scontri tribali: morti e feriti dappertutto

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Mali, nuove violenze contro i fulani

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 7 gennaio 2018

Ibrahim Boubacar Keita, presidente del Mali, ha voluto vedere di persona il villaggio di Koulogon, nella regione di Mopti, al centro del Paese, teatro di una atroce mattanza il primo dell’anno. Un gruppo di dozo, cacciatori tradizionali di etnia dogon hanno attaccato il villaggio, abitato per lo più da fulani, alle prime ore dell’alba, uccidendo trentasette persone. Altri abitanti sono stati feriti e parecchie case sono state incendiate.

I fulani si occupano per lo più di pastorizia, mentre i dogon sono agricoltori. Per secoli le due etnie hanno convissuto in modo pacifico. Da qualche tempo, invece, gli attacchi ai fulani da parte dei dozo sono molto frequenti e, a causa di questi scontri interetnici, lo scorso anno sono morte almeno trecento persone.

Mali, nuove violenze contro i fulani

Le ostilità sono iniziate tre anni fa, con la nascita di un nuovo gruppo terrorista, Front de libération du Macina (FLM), fondato nel 2015 da Amadou Koufa (nome di battaglia Amadou Diallo), un predicatore estremista fulani. Nella primavera scorsa l’FLM, insieme ad altri quattro formazioni terroriste, ha fondato il “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani”, guidato da Iyad Ag-Ghali, vecchia figura indipendentista tuareg, diventato capo jihadista e fondatore di Ansar Dine – in italiano: ausiliari della religione (islamica) – operativo per lo più nel nord del Mali.

Anche se, secondo alcune fonti, nel frattempo Amadou Koufa, sarebbe stato ucciso durante un raid delle forze speciali francesi in Mali lo scorso novembre, le ostilità e le incursioni dei dozo si susseguono.

Durante alcune incursione dei miliziani sono stati uccisi quarantasette civili tuareg tra l’11 e il 12 dicembre in diverse località nel sud della regione Ménaka, nel nord del Mali. Gli attacchi (non confermati da fonte indipendente) sono stati resi noti in un comunicato del Movimento per la salute dell’Azawad (MSA), nato da una scissione dal Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA). L’ MSA è vicino al gruppo filogovernativo Gatia (Gruppo di autodifesa tuareg Imgad e alleati).

Sophie Pétronin, francese rapita nel 2016 in Mali

Sono ancora diversi gli ostaggi occidentali in mano ai jihadisti del Sahel. Tra loro anche Sophie Pétronin, ora settantatreenne, cittadina francese, rapita a Gao la vigilia di Natale del 2016. Attualmente è in mano al Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani. Recentemente il figlio della signora, Sébastien Chadaud-Pétronin, ha accusato Parigi di aver rifiutato una proposta dei rapitori che avrebbe permesso la liberazione della madre, in stato di salute precario, dovuto anche all’età. La Pétronin è nel Paese dal 2004 ed era la direttrice ONG svizzera di Burtigny nel Cantone di Vaud, l’Association d’aide à Gao.

Il 6 gennaio scorso l’UNICEF ha reso noto che attualmente nel Mali sono chiuse ottocentodiciassette scuole, molte delle quali nel centro e nel nord del Paese. Lucia Elmi, rappresentante di UNICEF nel Paese ha espresso la sua preoccupazione per quei oltre duecentocinquantamila alunni che sono privati dell’istruzione per la grave crisi di insicurezza nel Paese.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha rinnovato il 28 giugno scorso (risoluzione 2423) il mandato della Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nel Mali (MINUSMA) per un altro anno, con la presenza di 13.289 militari sul campo e 1.920 forze di polizia. I membri del Consiglio hanno tuttavia chiesto al Segretario generale dell’ONU il massimo impegno affinchè venga applicato in toto e quanto prima il trattato di Pace e di Riconciliazione, firmato dalle parti nel 2015.

Malgrado tutte le forze in campo – oltre a MINUSMA, sono presenti anche le truppe francesi con la Missione Barkhane che comprende quattromila uomini in tutto il Sahel, millesettecento dei quali sono stanziati nel solo Mali e il nuovo contingente tutto africano Force G5 Sahel, con sede a Bamako – gli attacchi dei jihadisti e i conflitti interetnici non si placano.

Scuole chiuse in alcune zone del Mali

La Force G5 Sahel, contingente composto esclusivamente da militari africani dei cinque Paesi aderenti al G5 Sahel – Mauritania, Mali, Burkina Faso, Ciad e Niger – è stato elogiato dal ministro della Difesa francese, Florence Parly, per la sua partecipazione ad un’operazione congiunta in Niger, tra soldati nigerini e francesi di Barkane. Lo stato maggiore di Parigi ha fatto sapere che il 30 dicembre sono stati uccisi una quindicina di jihadisti, presumibilmente appartenenti al gruppo terrorista Etat islamique dans le Grand Sahara (EIGS).

A fine dicembre il Qatar ha inviato ventiquattro veicoli blindati in Mali, quale contributo per combattere il terrorismo in tutto il Sahel Gli automezzi sono stati trasportati da aerei militari di Doha.

E sempre a dicembre anche El Salvador ha inviato una seconda unità di aviazione con tre elicotteri MD 500E in Mali, che saranno utilizzati nell’ambito di MINUSMA. Attualmente partecipano duecento militari del Paese dell’America centrale alla missione dell’ONU nella ex colonia francese.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes