In Ghana i progetti finanziati dall’Europa per creare posti di lavoro e speranze

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Massimo Alberizzi FrancobolloDal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Kusunya (Ghana), dicembre 2017

Bloccare l’esodo dei migranti, fare in modo che nei loro Paesi trovino lavoro e abbiano dignità di vita e non nutrano più desiderio e bisogno di partire. Sono luoghi comuni espressi e sentiti in Europa negli ultimi mesi. Ma la politica dei singoli Paesi sembra paralizzata e, al di là delle dichiarazioni di principio, si aggrappa a soluzioni all’apparenza interessanti ma che alla fine si rivelano irrealizzabili e anche disumane. I tentativi del governo italiano per cercare accordi con i governi libico e sudanese per impedire l’esodo verso il Mediterraneo, non sono che utopie assurde e goffe che nascondono l’incapacità di affrontare alla radice il problema.

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Diverso invece l’approccio dell’Unione Europea e in particolare del commissario per la Cooperazione Internazionale e lo sviluppo, il croato Neven Mimica, che ha cercato di applicare concretamente il principio “aiutiamoli a casa loro”, cercando di creare opportunità di lavoro e occasioni per sviluppare speranza e fiducia in un futuro migliore.

La Golden Exotic Limited è una compagnia che opera in Ghana e si occupa dalla produzione e esportazione delle banane. E’ legata alla francese Compagnie Frutière, che detiene la quota di maggioranza e, soprattutto, ne cura le gestione. A un centinaio di chilometri da Accra, capitale dell’ex colonia britannica, a Kusunya ha desinato alla coltivazione di banane 1104 ettari e ne ha riservati a coltura biologica 400. in totale si tratta di 17 milioni di piante. Il terreno è di proprietà pubblica – appartiene allo Stato o alle comunità locali – ed è preso in affitto. Una piccola parte di esso è dedicata alle piantagioni di ananas. Gli impianti di lavorazione impiegano 2.500 persone.

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“Siamo passati da una produzione totale di 3400 tonnellate nel 2008 a 13 mila del 2017. Un incremento notevole. Per le piantagioni organiche – spiega il general manager Olivier Chassang – abbiamo la certificazione di alcune società private. Usiamo pesticidi e fertilizzanti assolutamente naturali, anche se i costi sono nettamente superiori. L’81 per cento della produzione finisce in Europa, il resto invece viene esportato in Africa occidentale”. 

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Le banane che si producono qui sono di tipo cavendish: grosse, arcuate, dure e consistenti. La pianta della banana si può considerare un’erba, il suo tronco, infatti, non ha nessuna consistenza lignea. Dal momento della messa a dimora nel terreno alla nascita dei primi fiori, passano cinque mesi, dal fiore al frutto e alla sua raccolta altri tre mesi. Il porto di imbarco si trova a 60 chilometri dalla piantagione. Da qui i frutti partono per l’Europa dove saranno sbarcati in Francia e in Spagna.

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Le banane che arrivano nell’Unione Europea dalla zona ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) godono di tassazioni agevolate. Questo ha permesso di sbaragliare i concorrenti americani, soprattutto la United Fruit (nota in Italia con il marchio Chiquita) e la Dole, le quali avevano una produzione in Ghana ma da qualche anno hanno abbandonato il Paese, preferendo concentrare la loro attività nelle loro piantagione tradizionali in America Latina. 

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Il business delle banane è assai consistente e qualche anno fa la Dole aveva cercato di penetrare nel campo della produzione africana utilizzando metodi non del tutto ortodossi. Raccontano le cronache che in Somalia la società americana avesse comprato un quantitativo enorme di banane. Ma quelle prodotte nell’ex colonia italiana sono piccole, brutte (ma per altro buonissime) e non adatte a essere vendute al pubblico in Europa. Caricate sulle navi della Dole erano state gettate in mare e sostituite con banane del Centro America che a questo punto erano state marchiate come provenienti dalla Somalia ed erano potute entrare in Europa con le tassazioni agevolate. Il business era durato poco: travolto dalla devastante guerra nell’ex colonia italiana.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter malberizzi

(1 – continua)

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