L’Africa delle guerre e delle ingenti ricchezze attende la prima pagina

Il ridimensionamento della presenza francese è solo una fase del continuo mutamento che vede il continente tutt’altro che immune da forme di neocolonialismo e arena di giochi politici lontani migliaia di chilometri

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NEWS ANALYSIS
Emanuela Ulivi
21 settembre 2025

Con una cerimonia solenne il 17 luglio scorso l’esercito francese ha ritirato le ultime truppe dal Senegal, colonizzata nel 1626 e indipendente dal 1960.

Parigi ha chiuso così la sua permanenza militare nell’Africa occidentale e centrale – dove negli ultimi decenni il suo aiuto è stato richiesto per contrastare vari gruppi jihadisti – ma, bon gré mal gré, ha lasciato definitivamente tutte le basi in Mali nel 2022, e inseguito anche nel Burkina Faso, Niger, Ciad, Costa d’Avorio e Gabon dove la base francese è stata riconvertita in un campo cogestito per la formazione.

Questi Paesi resteranno partner della République ma alla pari.

Il ridimensionamento della presenza francese non è che una fase del continuo mutamento che vede l’Africa tutt’altro che immune da forme di neocolonialismo e, in aggiunta, arena di giochi politici lontani migliaia di chilometri.

Potenze straniere

Piccole e grandi potenze straniere con nuove modalità di “investimento” restano infatti dipendenti dalle ingenti materie prime del continente africano per il proprio fabbisogno commerciale, economico, energetico.

In ballo ci sono l’accesso alle terre rare, l’influenza diplomatica nei voti all’ONU, commesse per infrastrutture strategiche, un mercato che nel 2050 conterà due miliardi e mezzo di africani. Dall’interesse economico a quello geopolitico il passo è breve, anzi brevissimo, e viceversa.

Parlare delle vicende e dei tanti conflitti africani sarebbe quindi naturale se non doveroso, come ha sottolineato Massimo Alberizzi giorni fa paragonando la insufficiente copertura mediatica delle guerre africane rispetto a quella riservata a Gaza.

Pestare i piedi

Ma significherebbe anche pestare i piedi a grandi, piccole e medie potenze con le quali l’Italia e l’Europa intrecciano interessi vitali.

Quando nel 2019 l’allora ministro degli affari esteri Luigi Di Maio e l’allora deputata di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sollevarono la questione del franco CFA – a cambio fisso con l’euro e oggi rimpiazzato dall’ECO – come causa dell’impoverimento dei Paesi africani e quindi alla base dell’immigrazione sulle nostre coste, ci fu una levata di scudi.

In un articolo molto circostanziato, La Françafrique ovvero come la Francia gestisce la sua influenza in Africa  Giaconi delineò la rete di interessi e relazioni francesi che lambivano anche l’Italia.

Impostare le strategia

In questi ultimi anni la Francia ha dovuto reimpostare la sua strategia in Africa: se ci riuscirà o se il sistema del Francafrique, comunque sopravvissuto dietro le quinte delle dichiarazioni ufficiali sulla fine del colonialismo, sia al tramonto come sostiene qualcuno, lo si vedrà.

Oltre alla Francia e alla Cina – attiva sul versante delle infrastrutture assicurandosi la fedeltà commerciale dei beneficiari –, la Russia, presente coi mercenari della ex Wagner disponibili per la sicurezza sia dei governi che delle opere di estrazione, avrebbe in Africa un terreno di confronto aggiuntivo alla guerra con l’Ucraina che, scrive Giulio Albanese, si sta impegnando coi Paesi africani per sfidare il predominio russo sia sul piano diplomatico sia, dove possibile, su quello militare.

Intanto nel continente africano si stanno affacciando nuovi protagonisti come gli Emirati Arabi Uniti, l’Iran e l’India.

Trent’anni di guerra in Somalia

La guerra civile in Somalia, che dura da trent’anni, è a sua volta teatro di interessi di Paesi quali la Cina, l’Egitto e la Turchia e di manovre geopolitiche, di giochi di influenze.

Le guerre che hanno sconvolto (e sconvolgono ancora) la Repubblica Democratica del Congo dagli anni ’90, hanno sempre avuto due denominatori comuni: le motivazioni etniche sì ma anche il possesso delle risorse, e sullo sfondo Stati Uniti, Francia e Cina.

La RDC continua a rappresentare una tragedia umanitaria di dimensioni enormi, come il Darfur e altri focolai di guerra tra fame, morti e sfollati, uguali, ugualissimi a quelli di Gaza e non meno degni di attenzione, parimenti accompagnati da implicazioni che ci riguardano.

Piano Mattei

Per ultimo il Piano Mattei, che oltre al contrasto al terrorismo pone come obiettivo, in subordine alla migrazione dall’Africa, la questione dell’approvvigionamento energetico, ancora più urgente dopo il niet europeo al gas russo.

Fare dell’Italia, grazie alla presenza consolidata dell’ENI in Africa, un hub energetico di raccordo tra il continente africano e l’Europa, è l’obiettivo che porterebbe l’Italia ben oltre la cooperazione allo sviluppo assegnandole un ruolo di rilievo in Africa e, forse nell’ambito di un recuperato multilateralismo in politica estera, all’interno dell’Unione Europea.

Una partita tutta da giocare sui versanti di qua e di là del Mediterraneo, dove i giornalisti dovrebbero ficcherei il naso, come hanno fatto nelle prigioni libiche, perché l’informazione non ha zone franche.

Emanuela Ulivi

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