Speciale per Africa ExPress
Fabrizio Cassinelli
17 giugno 2025
Israele chiude l’export di gas dopo la rappresaglia iraniana agli impianti offshore. L’Egitto, che ne è collettore, entra in emergenza nazionale. E manca ancora l’azione più estrema: il blocco di Hormuz. rischia di diventare sempre più complicata non solo per il Medioriente ma per l’intero scacchiere internazionale dell’energia. La prima nazione a farne le spese però è un Paese africano, l’Egitto, che si trova al centro di una vera e propria emergenza energetica.
Impianti sensibili
Dopo la rappresaglia iraniana sugli impianti di Haifa e su quelli offshore, che si trovano di fronte alle coste, attaccabili dai missili e dai droni (come nella notte tra lunedì e martedì) e di fatto indifendibili, Israele “per motivi di sicurezza ha dovuto chiuder l’estrazione” bloccando “l’export di gas verso l’Egitto”.

Proprio dalla nazione confinante, infatti, passando sotto il mare di Gaza (guarda caso) e poi dal Sinai, il gas prodotto dagli impianti di Israele arrivano in Europa tramite il porto-hub di Damietta, sia tramite pipeline sotterranee sia grazie agli impianti di rigassificazione.
Già l’UE nel 2022 dichiarava: “Con Egitto e Israele storico accordo sul gas”. Nel 2023 il premier italiano, Giorgia Meloni, e quello israeliano, Benjamin Netanyahu, avevano dichiarato di aprire a una “maggiore cooperazione” annunciando “più gas da Israele per l’Italia” con la partecipazione di ENI. Progetto che in questo difficile periodo di ricerca di diversificazione energetica ci lega a Israele a doppio filo, e forse spiega molte cose nell’atteggiamento politico italiano.
Cairo stato di emergenza
Ora però Israele ha chiuso i rubinetti. Per l’Italia è un problema, dato che i contratti del gas in essere prevedono ovviamente clausole di sospensione per cause come i conflitti e le calamità naturali. Quindi non si può impedire questa blocco di erogazione.
Per l’Egitto è un guaio ancora più grande, dato che quel gas serve ad alimentare l’energia della società egiziana, un Paese con 120 milioni di abitanti in enorme espansione di consumi. Al Cairo quindi è stato dichiarato lo stato di emergenza. In una realtà sociale già in grande fermento, senza energia si rischia la rivolta.
Escalation conflitto
Così l’Egitto potrebbe diventare il primo Paese cui si estende il conflitto Israele-Iran. Tanto che proprio a questa emergenza verrebbe ascritto il comportamento intransigente degli egiziani contro la Global March con attivisti provenienti da 54 nazioni. Ma a quanto pare non è bastato, e Israele ha ugualmente chiuso i rubinetti.
Questo vulnus enorme l’Iran lo ha ottenuto facendo quello che sa fare meglio e che può prolungare nel tempo: lanciare missili di precisione sulle infrastrutture offshore e inshore israeliane e a breve, forse, anche su Paesi che ritiene spalleggino lo Stato ebraico, come Giordania e Iraq. E senza aver ancora giocato la sua carta migliore: il blocco della navigazione nel Golfo Persico.
Blocco trasporto greggio
Uno stop in quel tratto di mare, su cui affacciano alcuni dei più grandi produttori di petrolio e mezza OPEC, significherebbe crollo dei trasporti di greggio del 40 per cento. Per molto meno nel 1974 l’Italia era rimasta in braghe di tela e le auto circolavano a targhe alterne, un giorno quelle che cominciavano per un numero pari e quello dopo le dispari . “Il 34 per cento dell’energia mondiale passa da Hormuz. Ci troveremmo con una carenza insostenibile – spiega Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli – e la diminuzione di produzione e di flusso spingerebbe il costo del barile sui i 130-150 anche 200 dollari al barile”.

Il punto della questione è che non c’è niente, da un punto di vista militare, che USA e Israele possano fare per impedire all’Iran di bloccare tutto. Le coste iraniane rappresentano la metà di quelle di tutto il Golfo e da lì le sue acque possono essere invase da decine di migliaia di mine. Nessuna portaerei potrebbe farci niente. Nessuna azione di sminamento potrebbe essere condotta in modo efficace e i tempi di bonifica sarebbero lunghissimi. Le borse crollerebbero l’una dopo l’altra e con essa gli ETF sulle materie prime e svariati fondi speculativi, con ripercussioni fino alle banche dove si trovano anche i nostri risparmi.
Bombardamenti mirati
Non è un caso che lo scorso 15 giugno l’aviazione israeliana abbia bombardato decine di postazioni missilistiche terra-terra nell’ovest dell’Iran: molte erano piattaforme per missili antinave. Sono disseminate lungo tutta la costa e possono colpire con ordigni avanzati qualunque cosa che navighi nel Golfo, con tempi di gittata brevissimi.
Fabrizio Cassinelli
cassinelli.fabrizio@gmail.com
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