Silvia Romano e Cecilia Sala intrighi e misteri di due storie con notevoli analogie

Sostiene una fonte che vuol mantenere l'anonimato: "Il rapimento è stato voluto dagli americani per punire l’Italia che aveva venduto armi (probabilmente tecnologia nucleare) a Teheran”

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Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Malindi, Gennaio 2025

Gli intrighi e i misteri sul sequestro di Silvia Romano, denunciati da Africa ExPress, mostrano alcuni risvolti inquietanti che, se analizzati con attenzione, richiamano alla mente l’altrettanto strana vicenda dell’incarcerazione di Cecilia Sala, in Iran, e dell’arresto di Mohammed Abedini, alla Malpensa.

Soprattutto dopo che alcuni testimoni sentiti in Kenya hanno raccontato alcune cose e chiarito altre sul rapimento di Silvia Romano.

Malindi, Kenya

Il sequestro, è la versione unanime di alcuni testimoni, incontrati a Malindi e in Sudafrica, è stato voluto dagli americani che hanno organizzato uno schiaffo all’Italia per punirla, colpevole, secondo Washington di aver venduto armi all’Iran nonostante l’embargo imposto dagli Stati Uniti.

Selezionare la fonte

Non occorre andare in giro per Malindi a chiedere informazioni su quella oscura storia. Basta far sapere alle persone giuste che un giornalista italiano è in città e le notizie arrivano “da sole”. Certo occorre fare una cernita e selezionare la fonte per evitare di essere ingannati.

La prima regola, valida ancora di più in Africa, è non pagare mai le informazioni. A pagamento è molto facile riceverne a palate, ma normalmente si tratta di fake news, la cui collocazione giusta è il cestino delle immondizie.

Rapita a Chakama

Silvia è stata sequestrata il 20 novembre 2018 a Chakama, un villaggio a un’ottantina di chilometri da Malindi e liberata il 9 maggio del 2020.

La guest house per i volontari di Africa Milele a Chakama

La prima informazione che vado a verificare e che trovo esatta è quella che riguarda Johnny. L’uomo – mi raccontò – inseguì i rapitori che avevano appena catturato Silvia. Trovò abbandonate le motociclette con cui era stata portata via la ragazza. Il motore era ancora caldo. Chiamò quindi la polizia.

Al cellulare, mi disse, i tutori dell’ordine l’avevano fermato: “Non muoverti. Aspetta i rinforzi”. Così in attesa di aiuti (che non sono mai arrivati) erano state perse le tracce. Quando parlò con me – Silvia era ancora prigioniera – Johnny era rammaricato di non essere riuscito a far nulla per salvarla.

Trovato morto

Il mio informatore qualche tempo fa è stato trovato morto. Il suo decesso è stato archiviato come incidente di moto, ma il buco al centro della sua testa non ha convinto chi lo conosceva bene: “E’ stato ammazzato”.

La vicenda del sequestro di Silvia Romano è apparsa subito abbastanza confusa e misteriosa. Noi di Africa ExPress avevamo già manifestato perplessità su quel rapimento che avevamo considerato anomalo.

Dubbi accentuati

I nostri dubbi si erano accentuati ancora di più subito dopo l’inchiesta de Le Iene che aveva mostrato parecchie incongruenze e un ruolo di primo piano giocato da personaggi inquietanti legati ai servizi segreti.

Oggi, alla luce di nuovi indizi rivelati a Malindi, la storia del rapimento di Silvia appare più chiara. Noi avevamo già messo in evidenza che questa zona del Kenya, verso il confine con la Somalia, è affollata da spie e agenti segreti, informatori o semplici antenne.

Il territorio è soggetto a infiltrazioni e incursioni da parte degli islamisti che arrivano dalla Somalia.

Controllare i movimenti

A noi era apparso subito strano che i kenioti, con la loro possibilità di essere aiutati dagli americani e dagli inglesi, che nel Paese africano ancora hanno una forte presenza militare e di intelligence, non fossero riusciti a controllare i movimenti dei rapiti in fuga con la loro vittima.

Grazie al sostegno finanziario dei nostri lettori eravamo stati in grado di organizzare un’accurata inchiesta in più puntate.

Silvia Romano

Sempre Johnny aveva raccontato che durante la fuga, Silvia camminando tra cespugli e arbusti, si era procurata graffi e piccole ferite e si era ammalata. Durante il trasferimento in Somalia per curare la loro vittima, i rapitori si erano fermati in un villaggio tra Malindi e il confine somalo, Garsen.

Lì erano rimasti qualche giorno. Ma chi conosce Garsen, sa che quel piccolo centro è un coacervo di spie ed è spesso visitato da pattuglie di militari americani, talvolta travestiti da turisti di passaggio e quindi in abiti civili.

Possibile che nessuno si sia accorto della presenza di quella ragazza bianca passata di lì? E che nessuno abbia segnalato strani movimenti alle autorità keniote e agli americani? Nessuno ha saputo delle domande fatte al farmacista per scegliere le medicine giuste?

“E’ inverosimile – sibila tra i denti il funzionario, aggiungendo – anche perché, almeno ufficialmente, tutti la stavano cercando. Sono certo che gli americani sapevano perfettamente dov’era la ragazza. Non solo non hanno fatto niente per bloccare i rapitori, ma hanno addirittura agevolato il loro passaggio in Somalia aiutati, in questo, dai militari kenioti che sono dispiegati proprio in quella parte dell’ex colonia italiana”.

Investigatori italiani bloccati in hotel

Quindi americani e kenioti erano a conoscenza dei movimenti del commando di rapitori e della loro vittima?

“Certo – spiega il nostro informatore – e questo chiarisce molte cose. Per esempio perché non sono mai state avviate indagini serie sulla vicenda. I carabinieri del ROS sono venuti in Kenya ma non si sono mossi dal loro alloggio. Le autorità keniote, è la versione ufficiale, non gli hanno dato il permesso di muoversi. Probabilmente erano le stesse autorità italiane che non hanno fatto nulla per facilitare le indagini degli investigatori spediti in Kenya”.

Queste domande ce le eravamo già poste sia durante la prigionia di Silvia, sia dopo la sua liberazione, quando le Iene avevano trasmesso in televisione la loro inchiesta a puntate. Assieme alla  collega americana, Hillary Duenas, ci eravamo mossi senza problemi in lungo e in largo, parlando con testimoni, magistrati, poliziotti, uno dei quali aveva rilasciato un’intervista a volto coperto denunciando la mancanza di volontà inquisitoria.

Perché noi sì e gli investigatori dei carabinieri no?

Nella nostra indagine avevamo visitato l’albergo di Mombasa in cui Silvia aveva soggiornato prima di andare a prendere servizio a Chakama. Eravamo stati accolti dalla proprietaria con un sorriso: “Finalmente è arrivato qualcuno”.

Nessun funzionario di polizia, né italiano, né keniota si era fatto vivo. Nessuno dei carabinieri, nessun diplomatico. Com’era stato possibile che nessuno avesse pensato di indagare anche in quell’hotel?

C’è anche da chiarire il ruolo che ha svolto la Turchia nel rapimento di Silvia Romano. “I turchi che in Somalia sono presenti con un contingente militare, sapevano perfettamente dove era tenuta prigioniera la ragazza, ma non hanno rivelato niente a nessuno – spiegano a Malindi -. Perché”?

Risposta immediata

La risposta arriva immediata chiara e precisa dal nostro interlocutore. “Il rapimento è stato voluto dagli americani per punire l’Italia che aveva venduto armi (probabilmente tecnologia nucleare) all’Iran”. Un affronto pesante agli Stati Uniti che avevano appena inasprito le sanzioni a Teharan.

“Gli esecutori materiali del ratto in Kenya hanno consegnato Silvia ad altra gente e al confine somalo ad altri ancora, quelli che l’hanno tenuta in custodia fino alla liberazione. Comunque i mandanti non vanno cercati né da noi, né in Somalia”.

Complicità inquietanti

“In quel rapimento – sottolinea sempre il nostro interlocutore che per motivi di sicurezza non vuole che sia rivelato il suo nome – ci sono complicità inquietanti che nessuno vuol rivelare. Non c’era nessuna volontà di trovarla”.

Ma le domande che restano in sospeso sono: “Qual è, o quali sono le contropartite pagate per la liberazione di Silvia Romano? E a chi?”

Cecila Sala: anche la sua vicenda presenta parecchi lati oscuri

Le stesse domande valgono per Cecilia Sala e per la sua liberazione dalle galere iraniane, nonché per Mohammed Abedini, per il suo rilascio dal carcere milanese di Opera.

“Nel caso di Silvia Romano credo che le contropartite siano state molto più alte di quanto è stato ipotizzato, ma d’altronde c’era molto da coprire – è la conclusione dell’anonimo interlocutore, che conclude – Se è stato pagato del denaro è per garantire il silenzio, non per ottenere la liberazione”.

Mohamed Abedini, detenuto in Italia

Noi di Africa ExPress non siamo riusciti a recuperare le prove (se esistono) di un coinvolgimento americano nel rapimento di Silvia Romano. Chi sa e che ha le prove non vuol parlare: “Troppo pericoloso”.

Per ora a noi è stato sufficiente mettere in evidenza che ci sono molti misteri e molte cose che non quadrano e non si riescono a giustificare. I due casi, quello di Silvia Romano e quello di Cecilia Sala, presentano analogie notevoli: i rapporti tra Italia, Iran e Stati Uniti.

Due vicende che coprono gli stessi interessi in contesti diversi. Le nostre indagini andranno avanti, anche se, a questo punto, sarebbe la politica a dover, in nome della trasparenza e della democrazia, spiegare cosa c’è dietro le vicende di queste due donne.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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Gli articoli sul rapimento di Silvia Romano e l’inchiesta de Le Iene e di Africa Express li trovate qui

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