Dal sito Centro per la Riforma dello Stato
Giuseppe Cassini*
Roma, 30 luglio 2024
Se per qualche miracolo le elezioni presidenziali iraniane e quelle statunitensi potessero scambiare i rispettivi elettorati, saremmo certi che il 5 novembre Trump ne uscirebbe sonoramente sconfitto. Nessun iraniano, infatti, dimentica quel giorno nefasto del 2018 in cui il presidente Trump si arrogoฬ la facoltaฬ di ritirare gli Stati Uniti dallโAccordo multilaterale sul nucleare iraniano, stipulato nel 2015 dopo anni di defatiganti trattative.

Lโaccordo non era un chiffon de papier: era stato negoziato assieme allโAIEA (lโAgenzia dellโONU per lโEnergia Atomica) e offriva alla comunitaฬ internazionale garanzie affidabili, tanto eฬ vero che giaฬ nel 2016 Teheran era presa dโassalto da imprenditori e investitori di mezzo mondo.
Non cโera una stanza dโalbergo libera in tutta la capitale e io stesso dovetti accettare lโospitalitaฬ di parenti acquisiti. In quellโanno lโeconomia iraniana crebbe del 13 per cento.
Dopo lโinsensata decisione di Trump (con lo zampino di Netanyahu) e lโinevitabile ripresa dellโarricchimento di uranio nelle centrali iraniane, lโOccidente ha riesumato le giaฬ durissime sanzioni economiche contro lโIran.
Con un duplice effetto: spingere Teheran a formare un โAsse della Resistenzaโ (con Russia, Siria, Yemen e movimenti quali Hezbollah) e portarlo a un passo dalla realizzazione di un ordigno nucleare. Tagliata fuori dal libero commercio, lโeconomia iraniana eฬ diventata unโeconomia di guerra: nel 2000 occorrevano 8.000 rial per un dollaro, oggi ne occorrono 40.000 al cambio ufficiale e 60.000 per la strada. Lโinflazione ha colpito una popolazione di 90 milioni di abitanti, di cui quasi due terzi sotto i 30 anni e un terzo sceso nel frattempo sotto la soglia di povertaฬ.
Chi torna da Teheran si fa portatore di una domanda che eฬ sulla bocca di tutti gli iraniani: โCome mai il nostro Paese eฬ soggetto a pesanti sanzioni, pur avendo rispettato i termini dellโaccordo fincheฬ non eฬ stato rescisso dagli Stati Uniti tra lโindignazione generale? Percheฬ siamo stati puniti noi invece degli statunitensi?โ. A questa domanda Biden ha lasciato che rispondesse Bibi Netanyahu, invitato il 24 luglio a Washington a parlare a Camere riunite: onore non da poco per chi eฬ stato accusato da una Corte dellโONU di crimini contro lโumanitaฬ, ma dalla sua ha la protezione USA e un centinaio di atomiche.

Ovviamente, a Netanyahu (che fa il tifo per Trump) non eฬ sfuggita lโoccasione di descrivere lโefferatezza dellโattacco di Hamas, dimenticando le 40.000 vittime palestinesi che ne sono seguite. Poi ha usato quei toni biblici cosiฬ graditi a molti americani per attaccare lโIran: โQuesto eฬ un scontro tra la civiltaฬ e la barbarie… LโIran finanzia le proteste di piazza (sic) percheฬ vuole provocare il caos negli USA… I manifestanti si sono schierati con il maleโ.
Chi ha lo sguardo lungo si chiede quanto potraฬ durare un Paese, Israele, sempre piuฬ nelle mani di brigate armate ultraortodosse che stanno minando le basi stesse della societaฬ israeliana. Chi ha lo sguardo lungo si chiede anche quanto potraฬ sopravvivere un regime, quello iraniano, contestato sempre piuฬ apertamente dal suo popolo.
Alle recenti elezioni presidenziali, dopo la morte di Raisi, lโastensione ha superato il 50 per cento degli aventi diritto, nonostante le pressioni per invitare la gente a votare. A ogni modo, la teocrazia non ha impedito a un moderato come Masud Pezeshkian di vincere, portando con seฬ al governo un diplomatico di alto profilo come Mohammed Zarif.
Zarif ha studiato negli Stati Uniti, eฬ fluente in inglese come in farsi, e anche disposto nel 2015 a farsi fotografare in passeggiata a Ginevra con John Kerry, lโaltro pilastro diplomatico dellโaccordo sul nucleare iraniano. Se Biden volesse passare alla storia, e non solo per il suo rilancio dellโeconomia, dovrebbe in questo scorcio di legislatura aprire un canale โ al momento riservato โ con lโIran attraverso Zarif.
Giuseppe Cassini*
ino.cassini@gmail.com
*Giuseppe (Ino) Cassini รจ stato un diplomatico italiano, ambasciatore in Somalia e in Libano. Ha lavorato anche in Belgio, Algeria, Cuba, Stati Uniti, Ginevra (ONU). Autore di Gli anni del declino,ย La politica estera del governo Berlusconi (2001-2006) (Bruno Mondadori 2007) e dellโebook Anatomia di una guerra, Quella โstupidaโ guerra in Iraq (Narcissus 2013), conosce bene lโAmerica profonda, lโAmerica che afferma: โWashington non รจ la soluzione, รจ il problemaโ.
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