Human Rights Watch fuori dal Ruanda

Ai successi in campo economico e sociale non corrispondono progressi in ambito politico. Preoccupante la repressione contro dissidenti e oppositori

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Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
30 maggio 2024

Il governo rwandese ha negato l’ingresso nel Paese a Clementine de Montjoye, ricercatrice di Human Rights Watch. E’ il quarto caso, dopo episodi simili accaduti nel 2008, 2010 e 2018.

Human Rights Watch “Join us or die – Rwanda’s extraterritorial repression”

De Montjoye, cittadina franco-britannica, all’inizio del mese aveva informato il governo ruandese del suo piano di lavoro e aveva inviato richieste di incontro al ministero della Giustizia, interlocutore dell’organizzazione non governativa in seno al governo ruandese, senza ricevere alcuna risposta.

Il divieto d’ingresso fa seguito alla pubblicazione di un recente rapporto di Human Rights Watch, “Join us or die – Rwanda’s extraterritorial repression”, che documenta il sistematico attacco del governo del Ruanda contro critici e dissidenti, oltre i suoi confini.

È preoccupante ma non sorprendente vedere che poche settimane prima che il Ministero degli Interni inglese invii i primi richiedenti asilo in Ruanda, si assista ad una profonda ostilità sul controllo e monitoraggio indipendente dei diritti umani nel Paese.

Per promuovere i suoi successi internazionali, il Ruanda si presenta come un marchio sinonimo di modernità e successo. Ma allo stesso tempo persegue una politica aggressiva contro i dissidenti del regime.

Paul Kagame, presidente del Ruanda dal 2000, con il suo partito di governo, il Front Patriotique Rwandais, ha deciso di ricostruire questo Paese secondo le sue misure, al cospetto di una folla in adorazione. Semplicità amministrative nelle formalità, lotta contro la corruzione, attenzione maniacale a esenzioni fiscali, sicurezza giuridica e sicurezza fisica. Nessun rivale nella regione africana.

E riguardo le operazioni militari del Ruanda nella Repubblica Democratica del Congo e la repressione degli oppositori?

E’ evidente il grande divario tra la scintillante vetrina mostrata all’Occidente dal Ruanda e la realtà politica in cui la libertà di espressione è calpestata. La diaspora ruandese e i cittadini ruandesi sanno bene cosa può succedere loro se criticano il governo.

Campagne di trolling (violenza verbale inappropriata e provocatoria), attacchi spyware (raccolta e utilizzo spietato di informazioni sensibili), fino a intimidazioni fisiche. Queste operazioni, volte a nascondere gli abusi e mettere a tacere i critici, sono incoraggiate da un’ampia gamma di società di pubbliche relazioni, con reti che arrivano fino all’Europa e agli USA.

Dal 2017 continua una violenta campagna di esecuzioni extragiudiziali, rapimenti e intimidazioni, nonché di arresti arbitrari, detenzioni illegali, torture e sparizioni forzate sul suolo ruandese di attivisti politici, dissidenti e loro familiari. Inoltre il governo di Kigali abusa sistematicamente dei meccanismi giudiziari internazionali, nella sua determinazione a riportare in Ruanda oppositori reali o presunti.

L’incapacità della comunità internazionale di riconoscere la gravità e la portata delle violazioni dei diritti umani da parte del governo di Kagame, sia a livello nazionale che all’estero, lascia molti ruandesi senza un rifugio protetto a cui rivolgersi.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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