Infiltrazione di ribelli dalla Libia, il Ciad chiude le frontiere del Tibesti

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Chiusura delle frontiere del Ciad con la Libia

Speciale per Africa Express
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 6 marzo 2019

Il Ciad ha nuovamente chiuso le frontiere – millequattrocento chilometri – con la Libia. Lo ha reso noto con un messaggio alla nazione sulla TV di Stato domenica scorsa il ministro della Sicurezza, Mahamat Abba Ali Salah. Lo stesso provvedimento era già stato preso all’inizio del 2017, ma pochi mesi più tardi i confini sono stati riaperti a poco a poco.

Il ministro ha aggiunto che i confini resteranno blindati fino a nuovo avviso e infine ha precisato: “Qualsiasi persona che verrà trovata nell’area di Kouri Bougri, nella regione di Tibesti, sarà consierato un terrorista, la popolazione deve consegnare le armi. Da oggi qualsiasi estrazione aurifera è vietata”. Come si fa a blindare le frontiere el Tibesti è un mistero. Da quelle parti il confine è assai poroso, le montagne sono alte (arrivano quasi a 3.500 metri) con vallate e gole profonde. Solo le popolazioni toubou sanno districarsi tra le miriadi di passaggi complicati e inesplorati.

Chiusura delle frontiere del Ciad con la Libia

La zona di Kouri Bougri, al confine con la Libia, è ricca di miniere aurifere, dove molti ciadiani, ma anche molti stranieri, sono impegnati nell’estrazione. I minatori sono liberi di circolare e dunque, per arginare i controlli, i migranti si mescolano ai cercatori d’oro. Altri invece, per necessità, si fermano veramente qualche mese ad estrarre il prezioso minerale per poter pagare la continuazione del viaggio.

Le misure di sicurezza sono state decise perché all’inizio di febbraio nell’ex colonia francese, proveniente dalla Libia, si è nuovamente infiltrato un consistente gruppo di ribelli fedeli all’Union des Forces de la Résistance. Allora Parigi era intervenuta con i suoi Mirage 2000, stazionati nella base di N’Djamena, quartiere generale delle truppe francesi dell’Operazione Barkhane, poco meno di quattromilacinquecento soldati, operativi in tutto il Sahel.

L’UFR comprende nove gruppi ribelli ciadiani. L’alleanza è stata costituita nel 2009 a Hadjer Marfain, nel Darfur, al confine con il Ciad. Dopo essere stati cacciati dal Sudan nel 2013, i miliziani si sono trasferiti nel sud della Libia, dove avrebbero prestato servizio come mercenari. Ma all’inizio dell’anno sono passati in Ciad. Il loro obbiettivo è quello di rovesciare il regime corrotto e autoritario di Déby, sostenuto dalla Francia.

Mirage , quartiere generale di Barkhane, a N’Djamena

A Parigi un comunicato diffuso il 6 febbraio dallo Stato maggiore dell’esercito ha confermato i raid aerei francesi, effettuati in collaborazione con l’esercito cadiano (sempre meglio salvare le forme!), nel nord-est , per bloccare l’infiltrazione di una colonna armata. Per giustificare tale intervento, il primo ministro, Edouard Philippe, ha informato lo stesso giorno i presidenti dell’Assemblea Nazionale e del Senato dell’operazione. Secondo Philippe il presidente ciadiano avrebbe chiesto l’intervento di Parigi, condizione necessaria per giustificare l’operazione.

I mirage della base di N’Djamena dovrebbero essere utilizzati solamente per contrastare jihadisti e gruppi armati. E infatti il portavoce  del governo ciadiano, Oumar Yaya Hissein, ha chiosato: “Visto che il presidente ha proposto nel 2018 un’amnistia per i ribelli, qui non ci sono più sovversivi, ma solamente mercenari e terroristi. Dunque l’intervento francese è più che giustificato”.

Nella lotta contro il terrorismo le forze armate ciadiane sono un alleato prezioso dei francesi sia in Mali, che con il contingente tutto africano, Force G5 Sahel.

Proprio perchè preoccupati delle loro frontiere a nord, a fine maggio 2018 Ciad, Niger e Sudan hanno firmato un accordo di cooperazione con la Libia per la lotta contro i trafficanti e il terrorismo. I quattro Paesi si sono impegnati a collaborare strettamente sul piano militare e su quello politico. Ognuno dei governi assumerà il comando a rotazione per la durata di sei mesi.

Dopo la morte di Muammar Gheddafi, la Libia è caduta nel caos più totale, con le relative ripercussioni sui Paesi confinanti e Déby è tra coloro che non ha mai smesso di sottolineare agli Stati occidentali i rischi e i pericoli derivati dalla situazione.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes