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Liberia: “Taylor ha ucciso mio padre, ha ucciso mia madre ma io voto per lui”

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Massimo Alberizzi FrancobolloDal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Monrovia, 6 luglio 2003

Tutti speravano che una volta ottenuta l’investitura popolare con le elezioni presidenziali del 1997 Charles “Ghankay” Taylor (Ghankay sta per “Testardo”, in dialetto gola) ribelle e signore della guerra per temperamento ed educazione (il suo mentore è stato Gheddafi) , si riconvertisse in politico accorto e prudente. Invece, forse per avidità e ingordigia, non ha saputo resistere alla tentazione di moltiplicare le sue ricchezze e accrescere il suo potere. Abile lo è certamente se il suo Paese, uno dei pochi ad avere rapporti diplomatici con la Cina Nazionalista di Taiwan e quindi a riceverne gli aiuti, riesce ad accreditarsi anche sulla piazza di Pechino per piazzare diamanti e legno pregiato.

Massimo Alberizzi e Charles Taylor al palazzo presidenziale di Monrovia subito dopo un'intervista
Massimo Alberizzi e Charles Taylor al palazzo presidenziale di Monrovia subito dopo un’intervista

Nato nel 1949 da padre discendente dagli schiavi americani liberati e “rimpatriati” in Liberia e da madre indigena di etnia gola, il presidente ridotto ora a “sindaco” di Monrovia,  comincia la sua carriera negli Stati Uniti come pompista in una stazione di servizio. Passa per l’università di Waltham in Massachusetts dove si laurea in economia. Torna in Liberia dove diventa alto funzionario delle finanze del governo del dittatore Samuel Doe, che pochi giorni prima aveva giustiziato l’elite dominante sulla spiaggia di Monrovia. 

E’ in questo periodo che viene soprannominato “Superglue” (cioè “Spercolla”) perché – sostengono i suoi detrattori –  il denaro che gli resta attaccato alle mani. Accusato di essersi appropriato di un milione di euro scappa e torna negli USA. A causa di un mandato di cattura internazionale viene arrestato ma fugge dalla cella calandosi dalla finestra, come in un film, con lenzuola annodate. E’ il 1985. Per quattro anni fa la spola tra Tripoli, Ouagadougou , capitale del Burkina Faso, e il nord della Costa D’Avorio dove in un campo segreto addestra assieme al sierraleonese Foday Sankoh (anche lui diventerà un famoso capo ribelle) gruppi di miliziani.

Il giorno di Natale 1989 lancia il primo attacco alla Liberia e in breve tempo, tra atrocità, orrori e massacri, si impadronisce del potere. Il Paese è allo stremo, prostrato e in ginocchio. Nel 1997 si presenta alle elezioni con lo slogan: “E’ vero ho distrutto la Liberia, ma datemi una possibilità di ricostruirla”. Gli striscioni elettorali sono sconcertanti e impressionanti. Sotto decine di foto una didascalia recita: “Ha ammazzato mia madre, ha ammazzato mio padre, ora io lo voto”.

E il 70  per cento dei liberiani – terrorizzati che il Paese possa rimpiombare in guerra – lo scelgono come loro presidente. Il resto è storia recente. Si allea con Foday Sankoh che ha lanciato una terribile ribellione in Sierra Leone (i suoi uomini terrorizzano i civili tagliando braccia, gambe nasi e orecchie) e controlla le miniere di diamanti. Taylor si fa consegnare le gemme e le ricicla come liberiane. 

Riceve armi ucraine di contrabbando e fomenta la ribellione di Sankoh. Ora che in Sierra Leone è tornata la pace,  il Tribunale internazionale costituito ad hoc dall’Onu lo incrimina (primo presidente in carica) per crimini contro l’umanità. Il mandato di cattura lo raggiunge ad Accra, in Ghana, dove è andato per colloqui di pace. Per paura di essere arrestato torna precipitosamente a Monrovia. E a Obasanjo che ieri gli ha offerto asilo in Nigeria ha chiesto esplicitamente: “Le accuse contro di me devono essere cancellate”.

Massimo A. Alberizzi   

“Charles Taylor ha ucciso mio padre ha ucciso mia madre ma io lo voto lo stesso”

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Monrovia, 6 luglio 2003
Tutti speravano che una volta ottenuta l’investitura popolare con le elezioni presidenziali del 1997 Charles “Ghankay” Taylor (Ghankay sta per “Testardo”, in dialetto gola) ribelle e signore della guerra per temperamento ed educazione (il suo mentore è stato Gheddafi) , si riconvertisse in politico accorto e prudente. Invece, forse per avidità e ingordigia, non ha saputo resistere alla tentazione di moltiplicare le sue ricchezze e accrescere il suo potere. Abile lo è certamente se il suo Paese, uno dei pochi ad avere rapporti diplomatici con la Cina Nazionalista di Taiwan e quindi a riceverne gli aiuti, riesce ad accreditarsi sulla piazza di Pechino per piazzare diamanti e legno pregiato.

Zimbabwe, il calvario dei “coloni” italiani. Minacce a Claudio Chiarelli:”Ti strapperemo il cuore”

Hanno acquistato regolarmente le proprie terre.
Ma ora rischiano lo sfratto

Il racconto: «Due anni fa sono arrivati
i miliziani di Mugabe armati di machete.

Ho rischiato di essere ammazzato»

Massimo A. Alberizzi
Milano, 10 agosto 2002

L’ultimatum è scaduto alla mezzanotte di giovedì. Duemilanovecento proprietari terrieri bianchi dello Zimbabwe devono abbandonare le loro campagne. Così ha voluto il padre-padrone del Paese, Robert Mugabe. Il suo «regno» ormai è al collasso, l’economia è crollata, lo Zim dollar , la moneta locale, ha raggiunto livelli di inflazione spropositati. Al cambio ufficiale il suo omonimo statunitense vale 52 Zim, ma al cambio nero passa i 700. “Non possiamo neppure vendere le nostre terre – dice uno dei proprietari – perché il denaro che ne ricaveremmo è solo carta straccia”.

Black Power farm

Le terre che verranno confiscate sono già occupate dagli squatter, finti veterani di guerra che minacciano, picchiano e sono arroganti perché si sentono le spalle coperte, e in effetti sono sostenuti dal governo che, contro di loro, si rifiuta di applicare la legge. Hanno distrutto case coloniche, bruciato i campi. Insomma vandalizzato quella che era una volta la ricchezza dello Zimbabwe. L’ira anticolonialista del presidente-dittatore, rieletto nel marzo scorso con un voto ritenuto da molti truccato, si è abbattuta come un maglio non solo sui discendenti di vecchi coloni inglesi – gli eredi di quel Cecil Rhodes, che dette il nome di Rhodesia del Sud all’odierno Zimbabwe – ma anche sugli occidentali arrivati in Zimbabwe alla fine della guerra di liberazione terminata nel 1980. Questi sicuramente “non hanno rubato le terre ai neri”, come ama accusare la propaganda di Harare, riferendosi agli eredi dei coloni, ma le hanno regolarmente comprate con un contratto garantito dallo stesso governo dello Zimbabwe.

Era il tempo in cui Mugabe girava il mondo sollecitando investimenti stranieri e assicurando: “Non ve li toccheremo mai”. Gli credettero in tanti e tra questi un buon numero di italiani, alcuni dei quali comprarono delle terre. Ora anche loro sono colpiti da Mugabe, un uomo vent’anni fa ammirato perché aveva combattuto per la libertà del suo Paese e ora disprezzato dai tanti che l’accusano di essersi trasformato in dittatore impulsivo e violento.Mug i starving

Oggi 17 connazionali, proprietari di 27 aziende agricole, sono nelle stesse condizioni dei vecchi coloni: “Ufficialmente – racconta uno di loro raggiunto al telefono, non siamo nella lista degli espropriandi – ma i nostri campi e le nostre case sono occupati dai miliziani di Mugabe. Abbiamo cercato di continuare il nostro lavoro ma abbiamo dovuto ridurlo notevolmente. Io coltivo fiori e tabacco, prodotti da esportazione che contribuiscono ad arricchire la bilancia dei pagamenti. In questi giorni mi hanno impedito di irrigare. Tutto sta seccando”.

Claudio Chiarelli è arrivato in Zimbabwe otto anni fa. Ha comprato un enorme terreno nel quale ha costituito una riserva ecologica e faunistica, dove si studiavano i rinoceronti neri, una specie in via di estinzione: “Due anni fa sono arrivati gli squatters, si sono insediati sul mio terreno e hanno distrutto tutto. La mia casa, i miei lodge. Hanno ammazzato centinaia, forse migliaia di animali, tra cui due rinoceronti e un elefante. Hanno divelto le recinzioni e appiccato incendi. Io e due colleghi, un tedesco e un francese, abbiamo dovuto andarcene”.

Zim is dying

Chiarelli ha rischiato di essere ammazzato, come è successo a qualcuno dei coltivatori di origine britannica: “Cercavo di difendere le proprietà, sono stato circondato da 200 uomini armati di pugnali, lance, machete. La quindicina di uomini che lavora per me ha cercato di farmi scudo. Loro li hanno picchiati selvaggiamente. Quindi si sono rivolti verso di me. Quando hanno ringhiato : ‘Ora ti stacchiamo il cuore e ce lo mangiamo’, ho pensato che fosse giunto il mio momento. Invece se ne sono andati”.

L’ambasciatore italiano ad Harare, Giovanni Marchini Camia, spera di convincere le autorità a lasciare perdere, ma anche se ciò accadesse, se le 27 proprietà non entrassero nella lista delle confische, come si potrà riuscire a persuadere gli occupanti ad andarsene? “Siano gli unici europei ad avere ancora buoni rapporti con il governo giacché noi non abbiamo interrotto la nostra cooperazione che è soprattutto sanitaria. Questo potrebbe essere un buon argomento per farli ragionare”, dice l’ambasciatore.

Ma Chiarelli è pessimista: “Mugabe ha dato mano libera ai suoi miliziani perché altrimenti avrebbe perso le elezioni. E’ difficile che ora questi si ritirino. Loro l’hanno fatto vincere e ora vogliono essere pagati per questo. Le terre dei bianchi sono un buon rimborso e, tra l’altro, al leader non costano niente”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Il mondo opaco delle commodities: dal petrolio, ai diamanti, alle armi nei feroci conflitti africani

Massimo A. Alberizzi
Milano, 9 luglio 2002

Dopo il perdono del presidente americano Bill Clinton, che poche ore prima di lasciare definitivamente la Casa Bianca, l’aveva graziato cancellando un mandato di cattura, Marc Rich (il cui vero nome è Marcell David Reich), il miliardario in odore di mafia (nato in Belgio, naturalizzato americano con passaporto spagnolo, boliviano e israeliano), non riesce proprio a rifarsi una reputazione. Ogni volta che viene arrestato un presunto boss internazionale, salta fuori qualche documento compromettente.

Armi dall’Ucraina alla Liberia e Sierra Leone: via Monza

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Monza, 2 giugno 2002

Lui nega tutto, ma gli inquirenti sono sicuri di riuscire ad inchiodarlo. Leonid Minin, 54 anni, nato in Ucraina con passaporto israeliano e tedesco definito in un rapporto riservato dello Sco (il Servizio centrale operativo della polizia) “leader supremo delle attività criminali” della mafia ucraina in Italia, il 17 giugno si presenterà davanti al giudice per le udienze preliminari di Monza, Rosaria Pastore. L’accusa è pesantissima: aver organizzato traffici d’armi tra l’Ucraina e l’Africa Occidentale.

La guerra del minerale misterioso Migliaia di morti in Congo per il Coltan, la sabbia nera “più preziosa dell’ oro”

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Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Butembo (Congo-K), 26 aprile 2001

Aziza Kulsum, meglio conosciuta come Madame Gulamali, non è una donna qualunque. Il suo nome non compare nel Guinness dei primati, eppure in molti la indicano come la donna più ricca di tutta l’Africa e in buona posizione anche per quel che riguarda la classifica mondiale. Fino a meno di un mese fa Aziza, padre greco, passaporto americano, congolese di nazionalità, gestiva in regime di monopolio per conto del governo ruandese il commercio del Coltan, il minerale costituito da ossidi di tantalio e di niobio, diventato ricercatissimo sui mercati internazionali.

MINIERA 1Il Coltan viene estratto nelle zone della Repubblica Democratica del Congo controllate dai ribelli. Il contratto di Madame Gulamali prevedeva un’esportazione di 100 tonnellate al mese, tassate 10 dollari al chilo, dunque un introito per le casse dei guerriglieri di un milione di dollari al mese. Non c’ è male, per finanziare un conflitto il cui compito primario è quello di arricchire i suoi principali registi. Gli introiti della donna sono valutati almeno il doppio.

Dal 1998 il Congo è sconvolto da una feroce guerra civile che ha finora provocato almeno 100 mila morti. Il governo di Kinshasa, sostenuto dai soldati di Zimbabwe, Angola e Namibia, controlla la metà del territorio, compresi il Kasai (ricchissimo in diamanti) e il Katanga (oro, uranio, rame e altri minerali preziosi). I ribelli, divisi in due fazioni, governano gli altri due terzi. A nord-est c’è il Fronte di Liberazione del Congo di Jeanne-Pierre Bemba, sostenuto dagli ugandesi, a sud est-comanda, grazie ai militari ruandesi, l’Raggruppamento Congolese per la Democrazia, di Adolphe Onusomba.

Governo e ribelli non durerebbero un giorno se dovessero essere abbandonati dai rispettivi alleati. Il Paese, dunque, è occupato dalle forze straniere, il cui compito principale è permettere lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali del territorio. Pochi i congolesi che partecipano al banchetto: un po’ di ministri, le grandi famiglie di Kinshasa e qualche capo ribelle, oltre naturalmente a Mademe Gulamali.

MINIERA 1Neanche ai tempi di Leopoldo II gli stranieri si erano dedicati a un saccheggio così meticoloso. Per indagare sulla razzia, le Nazioni Unite hanno istituito una commissione d’inchiesta che, in un durissimo rapporto di 56 pagine, accusa Ruanda, Uganda e Burundi di rapinare il Congo illegalmente. Zimbabwe, Angola e Namibia di rapinarlo con regolari licenze.

Pagine e pagine sono poi dedicate al Coltan, i cui giacimenti sono soprattutto nelle zone in mano agli ugandesi e ai ruandesi. “Da tre anni – spiega l’ ingegnere minerario Katembo Mussa, della Sominki, la Societé Miniere du Sud Kivu – il Coltan è ricercatissimo a causa delle proprietà elettriche del tantalio”.

Quanto costa? “Nel 1994 lo vendevamo a 5 dollari per chilo (5 euro). Ora può arrivare a 50, 60 dollari e anche a 80”. Non esistono reali concessioni. La zona di Butempo è molto insicura, a causa di bande armate. Contro la guerriglia “ufficiale” combatte una guerriglia “minore”, quella dei may-may, milizie tribali di esaltati. E’ gente che si veste con il gonnellino di paglia e usa armi tradizionali, archi e frecce, qualche mitra e, soprattutto, pozioni magiche che vengono propinate da fanatici stregoni e con le quali credono di diventare immortali. “Le pallottole sul nostro corpo si sciolgono e diventano acqua, cioè may-may, in dialetto locale”, sostiene convinto uno di loro catturato dagli ugandesi.

Raggiungere la miniera è complicato ma non impossibile. In realtà si tratta di giacimenti a cielo aperto. Immense pietraie scure brulicano di disperati cotti dal sole tropicale che frantumano a martellate rocce e sassi fino a ridurli in polvere. Coprono poi tutto con acqua e nel fango, a colpi di vanga, separano il Coltan, molto pesante, dal resto.

BIMBO IN MINIERALavorano tutto il giorno e al tramonto stivano il loro bottino in sacchetti di plastica, si caricano come muli, fino all’ impossibile, e lo portano a piedi a Butembo, 60 chilometri più a sud. Lì lo vendono ai commercianti a 10, 20, massimo 30 dollari al chilo e tornano a scavare.  “Qui tutte le famiglie vivono sul Coltan – spiega Leonard Namegabe, uno dei numerosi trafficanti di Butembo -. Ora è diventato più redditizio dell’ oro”.

la polvereDove vada a finire il minerale estratto in Congo, non è ben chiaro. E’ difficile seguirne le tracce. A Butembo ci sono cinque compagnie che lo comprano dai minatori e sono tutte nelle mani di cittadini dell’ ex Unione Sovietica: russi, kazaki, uzbeki. Anatoly lavora in una di queste, la Conmet. Non parla una parola di inglese e durante un’ intervista si fa aiutare dal figlio Ulad. Risponde alle domande con cortesia ma evasivamente. Non vuol dire il suo cognome, né chi siano i soci della Conmet: “Appartiene alla Kullinan Finance Investment, una società ugandese”, si limita a dire. “Vendiamo al Sudafrica, al Kazakhstan e alla Germania”. Quanto? “Una cinquantina di tonnellate al mese”. Inutile chiedergli quanti siano i minatori che lavorano per loro. Nel Congo dal cuore di tenebra non ci sono né dati né censimenti. Ma se il Coltan è un materiale strategico è mai possibile che faccia perdere le sue tracce così? E poi: se il tantalio si usa in dosi infinitesimali negli apparati elettronici come mai dal Congo ne vengono esportate decine di tonnellate?

Un filone di vendita è stato identificato in Germania. Come scrive la rivista Africa Intelligence, a comprarlo sarebbero la H.C. Starck, una filiale della Bayer, la Kraft e la Carter Trade Handels und Seafood, di Amburgo che si rifornisce attraverso una joint venture che opera nel settore della pesca in Uganda. I dirigenti delle tre società, intervistati dal giornale tedesco Tageszeitung, hanno detto di non rifornirsi “direttamente” in Africa centrale. Indirettamente sì, dunque.

Secondo alcune investigazioni condotte da Tim Raeymaekers del giornale belga on line MaoMagazine, nel traffico di Coltan è coinvolto Nursultan Nazarbaev, il presidente del Kazakhstan, e intimo di Vitaly Mette, suo ex vice primo ministro e principale socio della Ulba, la società che raffina e arricchisce uranio nell’ ex Paese sovietico.

BOUTA Kigali si è installato un agente di Mette, lo svizzero tedesco Chris Huber, direttore della Finmining, società partner della Ulba. Ma non solo. Chris Huber e Vitaly Mette negli ultimi mesi sono stati visti in compagnia con Victor Butt (o Bout, nella foto), un tagiko che vive in Inghilterra, indicato come mercante d’ armi dal rapporto dell’ Onu sui traffici in Sierra Leone e Liberia, pubblicato lo scorso dicembre. Dunque il Coltan in cambio di fucili?

La risposta degli investigatori dell’ Onu è perentoria: “Sì”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Il minerale del futuro
CHE COS’ E’
Il Coltan (il cui nome è una crasi che vuol dire columbite- tantalite) è un minerale formato da ossido di tantalio e da ossido di niobio associati. Da qualche anno è diventato ricercatissimo dall’industria elettronica

PER COSA E’ UTILIZZATO
Il tantalio viene utilizzato per le sue proprietà dielettriche (aumenta le capacità dei condensatori) nei circuiti elettrici più sofisticati, come quelli dei telefonini (dove migliora le performance delle batterie) e nelle playstation (si dice che che l’assenza l’ anno scorso di piattaforme Sony sul mercato fosse dovuto a mancanza di Coltan).

Il tantalio viene utilizzato nelle leghe ad alta resistenza per fabbricare motori e pezzi particolari nell’ industria areonautica. Come l’uranio impoverito viene quindi utilizzato come «anima» nei proiettili perforanti

Mali: si riaprono i fronti di guerra, inasprita la repressione interna

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100

Speciale per Africa Express
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 21 agosto 2016


In Mali si susseguono gli attacchi di gruppi armati al nord e nel centro del Paese. Un mese fa hanno perso la vita ben diciassette soldati maliani durante un assalto alla base militare di Nampala, città nella Regione di Ségou, che dista poco più di cinquecento chilometri dalla capitale Bamako. Altri trentacinque militari sono stati feriti.

Poche ore dopo il vile gesto è stato rivendicato dal gruppo armato “Alliance nationale pour la sauvegarde de l’identité peule et la restauration de la justice” (ANSIPRJ), la cui creazione è stata annunciata lo scorso giugno. Pochi hanno dato peso a tale rivendicazione, in quanto l’ANSIPJR non dispone della logistica necessaria per sferrare un tale colpo da solo all’esercito maliano.

Ibrahim-Boubacar-Keita-

Una seconda rivendicazione da parte del ben conosciuto gruppo jihadista maliano Ansar Dine, fondato dall’ex ribelle maliano tuareg Iyad Ag Ghaly è giunta poco dopo. La notizia è stata diffusa da SITE, il centro americano di sorveglianza dei siti jihadisti.

Non si esclude che i due gruppi armati possano avere agito congiuntamente.

Per parecchi anni gli attacchi jihadisti si erano concentrati nel nord della ex-colonia francese, mentre dal 2015 si sono estesi verso il centro ed ora anche al sud. Alcune delle offensive sono state rivendicate o attribuite al “Fronte per la liberazione di Macina”, apparso per la prima volta nel 2015 e capeggiato da un predicatore radicale maliano, Amadou Koufa, di etnia fulani.

Koufa recluta i suoi miliziani esclusivamente tra i fulani ed è alleato del gruppo Ansar Dine.

minusma-mali

All’inizio del mese è rimasto ucciso un casco blu dell’United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali  (MINUSMA), altri quattro militari sono stati feriti quando il loro mezzo è saltato su una mina a pochi chilometri da Aguelhoc-Anéfis, nella Regione di Kidal. Tutti e cinque, ciadiani, facevano parte della scorta di un convoglio logistico.

Lo stesso giorno si è verificato un altro incidente simile a pochi chilometri dalla caserma di MINUSMA a Kidal. Per fortuna non ci sono state ne vittime, ne feriti, solo danni materiali.

Le due esplosioni non sono state rivendicate da nessun gruppo. Episodi del genere sono sempre più frequenti. Un portavoce di MINUSMA ha precisato che in un solo anno hanno perso la vita una trentina di caschi blu. “Questi continui attacchi, – ha aggiunto il portavoce – non fanno altro che rallentare il processo di pace, fortemente sostenuto dall’ONU e MINUSMA.

Il 29 giugno il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha rinforzato e esteso per un altro anno il mandato di MINUSMA. Con la risoluzione 2295, adottata all’unanimità dai quindici Paesi membri, il nuovo organico sarà composto da 13.289 soldati e 1.920 ufficiali di polizia.

Nel 2012 oltre la metà del nord della ex-colonia francese era sotto il controllo dei gruppi jihadisti. Solo con l’arrivo nel 2013 del contingente internazionale della missione MINUSMA, in  gran parte dell’aerea è stata ristabilita l’autorità del governo.  Alcune zone, come Kidal, sfuggono ancora al controllo delle truppe maliane ed internazionali, malgrado sia stato firmato nel giugno 2015 il  “Trattato per la pace e la riconciliazione nel Mali”. (http://www.africa-express.info/2015/06/24/firmato-laccordo-di-pace-mali-anche-dai-ribelli-maggioranza-tuareg/).

GATIA-MNLA-CMA-Plateforme

Una decina di giorni fa si sono verificati nuovi combattimenti tra militanti della coalizione dei movimenti per l’Azawad (CMA) e il Gruppo Autodifesa Tuareg Imghad e Alleati (GATIA), contrari all’autonomia o separazione dell’Azawad, cioè filo governativi. Gli Imghad costituiscono la più grande tribù tuareg nel nord del Mali. Il fondatore di GATIA, El Hadje Ag Gamou, è l’unico generale Tuareg in seno all’esercito maliano.

Gli scontri si sono protratti per due giorni nella Regione di Kidal, provocando morti e feriti. Il governo ha condannato severamente questi scontri e ha chiesto ai belligeranti di porre fine alle ostilità nell’interesse della popolazione e nel rispetto del trattato di pace, pace che sembra allontanarsi sempre di più.

Combattimenti tra le due fazioni sono all’ordine del giorno (http://www.africa-express.info/2015/09/06/tuareg-litigano-tra-loro-barcolla-il-trattato-di-pace-mali/) e gli ammonimenti del governo, dell’ONU e di MINUSMA sembrano parole gettate al vento.

Dopo un attacco dell’8 agosto ad una postazione militare maliana da parte del gruppo Ansar Dine tra Ténenkou e Sévaré, distante un centinaio di chilometri da Mopti, al centro della ex-colonia francese, non si hanno più notizie di cinque soldati dell’esercito governativo. Una fonte ufficiale ha riferito che l’attacco è stato preceduto da un’imboscata la sera precedente, in seguito alla quale sono stati inviati dei rinforzi. La fonte ha anche evidenziato che il gruppo armato ha subito delle predite, senza precisare il numero delle vittime e dei feriti.

Ras-Bath

Mentre nel nord e nel centro del Paese non si arrestano gli attacchi jihadisi, nel sud, in particolare nella capitale Bamako, il governo mette il bavaglio alla libera espressione. Ma l’arresto del blogger Mohammed Youssouf Bathily, soprannominato Ras Bath e figlio del ministro per “Domaines de l’Etat et des Affaires foncières”, Mohamed Ali Bathily, ha provocato una sommossa popolare. Oltre mille persone si sono radunate davanti al Tribunale nel quartiere Lafiabougou della capitale, il giorno seguente l’arresto di Ras Bath, avvenuto il 16 agosto.  Alcuni manifestanti hanno cercato di scavalcare la recinzione, ma l’intervento della guardia nazionale è stato immediato e ha respinto le persone con gas lacrimogeno. I giovani non hanno esitato a rispondere con lanci di pietre e sassi. Il Tribunale è stato parzialmente saccheggiato dai manifestanti, che sono riusciti a provocare alcuni piccoli incendi, gettando del liquido infiammabile dalle finestre, prima dell’arrivo dei rinforzi della polizia. Le forze dell’ordine hanno poi represso con estrema violenza la manifestazione, sparando non solo per aria, ma anche contro passanti e manifestanti. Il ministro della sicurezza, Salif Troré ha fatto sapere in un comunicato che durante la manifestazione sono state ferite diciotto persone, tra loro quattro poliziotti, mentre una persona è deceduta a causa delle ferite riportate.

“E’ un attacco alla libertà di espressione  – sottolinea Mohammed, uno dei manifestanti che aggiunge – Ras Bath è un giovane istruito, cerca di svegliare le coscienze di noi maliani”.

Infatti il giovane figlio del ministro non risparmia nessuno nel suo blog e attacca il governo, le autorità della ex-colonia francese. Il suo arresto è stato provocato dal suo ultimo intervento a radio Maliba FM. Durante la trasmissione aveva chiesto le dimissioni del capo di Stato maggiore dell’esercito maliano, Didier Dacko, accusandolo di non essere mai riuscito a sconfiggere il nemico. Evidentemente Dacko non ha apprezzato questa critica.

Il giovane Mohammed Youssouf Bathily non è uno sconosciuto: oltre ad essere molto attivo nei media del suo Paese, è a capo del “Collettivo per la difesa della Repubblica” (CDR).

Le forze armate maliane (FAMA) sono state aspramente criticate in queste ultime settimane dai media e sui social network, motivo per il quale il ministro della difesa Tiéman Hubert Coulibaly,  ha chiesto ai giornalisti di usare più clemenza nei loro articoli nei confronti  di FAMA.

bamako

Mercoledì scorso sono stati bloccati gli accessi ai principali social network a Bamako. Il governo ha negato qualsiasi coinvolgimento, ma circolavano voci che tale decisione fosse stata presa “dall’alto”.

I maliani hanno trovato subito un modo per ovviare alla censura, utilizzando un VPN (virtual private network).

La stampa francese ha espresso la sua preoccupazione per la mancanza della libertà di espressione in Mali. Durante la recente manifestazione a Bamako, degli uomini in divisa si sono avvicinati ai corrispondenti di France 24 e Radio France International (RFI) mentre seguivano i fatti per le loro rispettive emittenti.  I due uomini delle forze dell’ordine hanno lanciato contro di loro del gas lacrimogeno, prima di aprire il fuoco, malgrado si fossero qualificati in modo chiaro e inequivocabile come giornalisti. La direzione di France 24 e quella di RFI hanno contattato immediatamente le autorità maliane.

I media nazionali hanno riportato che il giovane Bathily è stato rimesso in libertà provvisoria secondo le disposizioni del presidente Ibrahim Boubacar Keita. Anche se le indagini sono ancora in corso e l’inchiesta proseguirà il suo iter, il presidente, dopo aver ricevuto Mahamoud Dicko, capo dell’ Alto consiglio islamico del Mali e una delegazione di leader religiosi ha chiesto che venisse messo in libertà il giovane blogger con l’obbiettivo di “placare la situazione”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

Silvia Romano aveva denunciato molestatori pedofili, forse rapita per vendetta

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La realizzazione di questo articolo è stata possibile grazie al finanziamento
ricevuto da tanti lettori dopo il lancio della campagna di crowdfunding.
Ringraziamo chi ci sta dando una mano per reperire i mezzi necessari 
a continuare le inchieste giornalistiche.
Vogliamo scoprire la verità. E ci riusciremo grazie a voi.
Africa ExPress

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, Mombasa e Malindi, giugno 2019

La prima cosa che salta agli occhi cercando le tracce di Silvia Romano, la ventitreenne milanese sequestrata la sera del 20 novembre a Chakama, in Kenya, è che le indagini sono state abbastanza carenti, che c’è una competizione tra le varie polizie dell’ex colonia britannica e tra queste e l’esercito che si è occupato di scandagliare tutto il territorio al confine con la travagliata Somalia. Di Silvia non si sa niente dal momento della sua scomparsa. Sparita nel nulla. A parte il silenzio stampa chiesto dalla Farnesina – un atteggiamento di routine che serve più a mantenere segreti inconfessabili che a salvaguardare la vita degli ostaggi o l’inquinamento delle relative indagini – in questi casi si riesce sempre ad avere qualche informazione. Questa volta no. Niente. Sconsolante.

“Scusi, ma Silvia Romano ha dormito qui?”. La signora indiana che gestisce la guest house Marigold, nel caotico centro di Mombasa, non solo è gentile, ma anche collaborativa. Così, dopo averle spiegato perché stiamo indagando sul rapimento, chiama subito il figlio Aash Sahiko che si presenta con i registri degli ospiti. Dopo una veloce ricerca arriva la risposta: “Sì, è stata qui il 22 settembre e la notte tra il 5 e il 6 novembre”. Hillary Duenas, la collega americana che mi accompagna e che sarà molto importante nell’aprire bocche apparentemente cucite, chiede e ottiene il permesso di fotografare le pagine. Ogni dettaglio è prezioso. Chiediamo: Silvia è venuta qui sola? “Certo – è la risposta -. Ha pagato il prezzo della camera singola. E’ arrivata sola ed è ripartita sola”. Aash Sahiko se la ricorda bene: “Una bella ragazza così, resta impressa. Ero contento quando l’ho vista per la seconda volta in novembre”.

Il registro del Marigold Guest House mostra che Silvia ha dormito nella camera 4 (foto di Hillary Duenas per Africa ExPress)

Ma è venuto qualcuno della polizia keniota o agenti italiani a chiedere informazioni su Silvia?, chiediamo. “No, nessuno. Quando abbiamo saputo del suo rapimento ci siamo preparati a ricevere la visita di qualche investigatore e ci siamo meravigliati che non siano comparsi i poliziotti”. Io ed Hillary ci guardiamo sorpresi: com’è possibile che nessun inquirente si sia fatto vivo per verificare che la ragazza fosse sola?

Silvia, bella, giovane e dinamica, non poteva non attrarre le attenzioni di qualche ragazzo. Infatti erano in tanti a farle la corte o addirittura a dichiararle grande amore, come Alfred Scott un fisioterapista dell’ospedale di Mombasa che su Facebook proclama di essere innamorato della milanese.

Alfred Scott e Silvia Romano fotografati a Mombasa

Alla polizia di Nairobi sul rapimento vengono formulate tre ipotesi: sequestro per ottenere un riscatto, sequestro per tapparle la bocca su accuse di pedofilia di cui sarebbe stata testimone a Likoni, stesso movente ma per molestie a Chakama, villaggio nell’entroterra di Malindi.

Il muro di cinta della villa dove c’è il centro di Davide Ciarrapica

Silvia arriva per la prima volta in Kenya il 22 luglio dell’anno scorso. Aveva conosciuto un italiano, Davide Ciarrapica durante una festa di beneficenza. Il trentunenne di Seregno gestisce un centro per bambini a Likoni, un villaggio separato da Mombasa da un braccio di mare che si può superare con un traghetto. La ragazza intravede la possibilità di fare qualcosa a favore dei più deboli. Così quel giorno si imbarca per Mombasa con lui. Imbarazzante una dichiarazione rilasciata verbalmente da Ciarrapica a un detective keniota. Impossibile per me riportare qui i particolari scabrosi. Riferisce costernato l’investigatore: “Senza alcun pudore Davide, durante un colloquio il 15 maggio scorso, racconta che Silvia, durante il viaggio in aereo, gli è saltata addosso. Piuttosto strano mi è sembrato un modo per screditarla ai miei occhi. Io non gli ho creduto”.

 

Silvia resta al Hopes Dreams Rescue Sponsorship Centredi Davide per un mesetto, poi torna a Milano. Il 5 novembre rientra in Kenya. All’aeroporto di Mombasa, va a riceverla Ciarrapica. Insieme vanno a Likoni, ma lei ci resta poche ore. A fine giornata torna a Mombasa e si ferma a dormire al Marigold. La mattina dopo corre a Chakama, insieme a due nuovi volontari appena arrivati, nella struttura di Africa Milele, la onlus per cui lavorerà: obiettivo aiutare i bambini.

All’attracco del traghetto Likoni-Mombasa ci dà appuntamento una mamma che conosceva bene Silvia. Quando le chiediamo di raccontarci qualcosa della permanenza della ragazza quaggiù, scoppia in lacrime: “Le voglio bene, le voglio bene. Spero che torni presto. Io avevo tre bambine in quella struttura, poi le ho ritirate”. Perché? “Accadevano cose poco corrette e imbarazzanti. Tornate a casa le mie figlie riferivano di strani atteggiamenti di Davide e del suo socio, Rama Hamisi Bindo”. Invano Hillary abbraccia la signora cercando di consolarla. Il pianto continua a dirotto.

Un keniota che lavorava nel Centro di Ciarrapica, racconta: “No, non credo che ci siano stati casi di pedofilia, però un giorno mi hanno allontanato dicendo: ‘Conosci troppi segreti di questo posto. E’ meglio che tu vada via’. Licenziato in tronco”.

Una visita al Hopes Dreams Rescue Sponsorship Centre lascia confusi e stupefatti. Hillary – che tra l’altro è anche medico e così si presenta – all’entrata viene accolta da una signora che si illumina in volto: “Ah, grazie al cielo, dottoressa. Lei è venuta qui per quella quattordicenne incinta”. Evidentemente no, ma desta perplessità anche il fatto che Davide arrivi con la sua girlfriend, una stupenda diciassettenne.

Dopo la sua prima esperienza a Chakama, Silvia rientra in Italia, promettendo comunque a Davide che organizzerà a beneficio del suo centro, incontri di beneficienza per raccogliere fondi. Cosa che fa in ottobre. Ritorna il 5 novembre e va a Likoni, giusto il tempo per essere accolta freddamente dai bambini, che hanno l’ordine di restare sull’attenti immobili e di non salutarla, e da Davide, che l’accusa di non aver raccolto sufficiente denaro. I bambini africani fanno sempre una gran festa alla gente, specie quella che conoscono e che ha giocato tempo prima con loro. Quei ragazzini restano invece impietriti. “Davide è un collerico irascibile – racconta un altro ex impiegato -. Ecco perché in Italia recentemente è stato condannato a 6 anni di reclusione e 35 mila euro di danni per aver staccato a morsi un orecchio durante una rissa in una discoteca di Milano”.

 

Racconta uno degli inquirenti kenioti che sta cercando di dipanare l’intricata matassa: “Abbiamo avuto indicazioni che Silvia manifestasse un certo disagio nei confronti della struttura dove, secondo lei, si verificavano molestie nei confronti dei piccoli ospiti. Quell’organizzazione è guardata con una certa benevolenza dalle autorità locali. Il socio e amico di Davide Ciarrapica, nonché proprietario della villa che la ospita, Rama Hamisi Bindo, è figlio di un famoso politico e gode di protezioni insospettabili”. Trasecolo. Scusa? Ripeti bene. “Sì, gode di protezioni potenti”. Io e Hillary ci guardiamo increduli. Io, perché credo di aver capito male; lei perché, essendo americana, ha capito benissimo.

La polizia di Mombasa, secondo il nostro testimone che teme ritorsioni e mi intima per ben tre volte di non pubblicare il suo nome, non è mai intervenuta con la dovuta determinazione per indagare sul caso: “Ecco un rapporto riservato critico sul comportamento di come sia stata condotta l’indagine laggiù”, mormora tirando fuori dal cassetto un documento assai compromettente. Lo leggiamo ma non ci permette di fotografarlo.

Audio raccolto da Hillary Duenas

Nella sua deposizione del 15 maggio scorso alla polizia, Ciarrapica, che per altro afferma di essere stato ascoltato dai carabinieri del ROS durante una sua visita in Italia in gennaio,  dichiara di aver sconsigliato a Silvia di andare e prendere servizio a Chakama, eppure in una mail che ho potuto vedere, c’è scritto esattamente il contrario. Anzi, è stato proprio lui a consigliarle di andare.

Ma quello che inquieta di più è che all’aeroporto di Mombasa sono spariti tutti i file su Silvia Romano. Ai visitatori che entrano in Kenya viene scattata una fotografia e vengono prese le impronte digitali. Una procedura che deve aver riguardato anche la ragazza milanese. Perché nell’archivio della polizia aeroportuale non c’è niente di tutto ciò?

Riserva sorprese anche l’archivio della polizia di Malindi. L’11 novembre nove giorni prima di essere sequestrata, Silvia, dopo aver chiesto consiglio alla presidente di Africa Milele, Lilian Sora che dall’Italia dà il suo totale benestare, con altri due volontari, Giancarlo e Roberta, si reca alla centrale di polizia a denunciare un keniota che per qualche giorno ha soggiornato nello stesso affittacamere in cui da tempo vivono i volontari dell’associazione, Francis Kalama di Marafa, pastore anglicano: lo accusano di atteggiamenti equivoci nei confronti di alcune bambine.

Con la maglietta azzurra il pastore anglicano Francis Kalama, veniva da un villaggio vicino, Marafa. Silvia l’ha denunciato per molestie alle bambine

Una ricerca approfondita sui registri delle querele della polizia non porta a nulla. Gli agenti che se ne occupano e controllano i faldoni, allargano sconsolati le braccia.

Eppure in un messaggio audio whatsapp (che si può ascoltare qui sotto),  Silvia, che qualcuno dipinge come sprovveduta e che invece si dimostra testarda, legalista e amante della giustizia, racconta con una dovizia di dettagli di essere andata alla polizia e di aver avuto l’assicurazione che Kalama sarà arrestato e “le bambine sottoposte a un test medico”. Particolare assai pesante. La promessa comunque non avrà seguito: Kalama è uccel di bosco, sparito. Di lui nessuno ha più traccia, tanto meno gli investigatori, né si pensa abbia mai avuto notifica della denuncia.

Uno dei capi della polizia racconta a sua volta che in cella ci sono tra persone: un keniota giriama, l’etnia che abita sulla costa del Paese, Moses Luari Chende; un keniota di etnia orma (quella accusata di aver organizzato il sequestro), Gababa; e un somalo con un documento d’identità keniota ottenuto illegalmente senza la necessaria e obbligatoria procedura, Ibrahim. “Loro sanno sicuramente qualcosa ma sono degli esecutori. Aspettiamo che facciano i nomi dei mandanti”. Già, ma in Kenya fare i nomi di chi ha ordinato un rapimento è come suicidarsi. Hillary mi chiede: “Ma perché il vostro governo non garantisce la sicurezza in Italia? Una taglia e un permesso di soggiorno per chi fornisce informazioni sarebbero assai utili”. Una domanda banale, cui non trovo una risposta.

Salta fuori anche una critica della polizia all’esercito: “Ha chiuso le frontiere con la Somalia, ma non è stato assolutamente cooperativo con le indagini. Certo, non è il loro compito, ma loro sono andati anche in villaggi remoti, dove per noi è difficile arrivare.”

Sempre alla polizia di Malindi scuotono la testa a sentire parlare degli inquirenti italiani: “E’ venuto qui il console onorario, Ivan del Prete, con un altro paio di persone ma non ha fatto granché. Ha chiesto informazioni, come sta facendo lei. Niente di più”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

https://www.africa-express.info/2019/06/09/silvia-romano-africa-express-lancia-raccolta-fondi-per-indagare/

Un imprenditore piemontese accusa: “Il console onorario di Malindi mi ha derubato”

Silvia Romano: troppe domande e troppi depistaggi ma il terrorismo non c’entra

Asmara apre il fronte diplomatico, ma la guerra ancora non si ferma

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Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Asmara, 27 maggio 2000

La notizia piomba all’ improvviso a metà pomeriggio e si diffonde in un attimo: le truppe etiopiche hanno conquistato Senafe, a una ventina di chilometri a nord del confine, e si stanno avvicinando all’ Asmara. La città è stata catturata assieme a Forte (la vecchia Forte Cadorna) e Tsorena. La gente in strada affretta il passo, le facce si rabbuiano. Alla casa degli italiani c’ è una riunione d’ emergenza con i connazionali (programmata da tempo, per altro) dove l’ ambasciatore Antonio Bandini rassicura gli animi.

Gino Strada, Emergency

Il nervosismo si impadronisce ugualmente della capitale. Il tassista Ghilè, interrompe il giornale radio: «Devo filare a casa – implora agitato -. Se gli etiopi arrivano devo correre a imbracciare le armi». E dire che una decina di minuti prima Ghilè scherzava sul fatto che, avendo i capelli brizzolati, non era stato richiamato alle armi e mandato al fronte.

Gli etiopi avanzano

Poco dopo, un altro annuncio: la popolazione è stata evacuata da Adikaie, un villaggio a nord di Senafe. In realtà anche Senafe era stata abbandonata. Gli eritrei avevano pensato che fosse meglio ritirarsi a nord, su posizioni facilmente difendibili. I soldati di Addis Abeba sono dunque penetrati ancor di più in territorio nemico, nonostante la decisione eritrea di ritirarsi da tutte le zone occupate nel maggio 1998.

Zalambessa è stata lasciata giovedì e ieri è stato promesso il ripiegamento da altre due zone contese, Bada, in Dancalia, e Bure, sotto Assab. «Continueremo a combattere finché i soldati eritrei calpesteranno il suolo etiopico», aveva annunciato Addis Abeba. E così è stato.

In realtà non sembra che il ritiro da Zalambessa sia avvenuto spontaneamente. E’ stato, per così dire, provocato da una forte pressione militare e da un bombardamento a tappeto che ha fiaccato la resistenza degli eritrei. Si attende per oggi il ritiro da Bada e Bure, una mossa che toglierebbe agli etiopi ogni scusa per continuare la loro campagna.

Guerra Eritrea-Etiopia

Ieri il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, presidente di turno dell Oua, l’ Organizzazione per l’ Unità africana, lasciando Asmara per ritornare ad Addis Abeba, ha annunciato che i colloqui di pace tra i due Paesi in guerra riprenderanno lunedì ad Algeri. Bouteflika sembra ottimista, anche se ormai in questa vicenda la soluzione è apparsa spesso a portata di mano e si è poi dissolta rapidamente.

I combattimenti di questi giorni sul fronte centrale hanno fatto decine di morti e feriti. Yemane Gebremeskel, portavoce del governo di Asmara, ha detto che gli etiopi annientati sono stati 30 mila; ma anche le perdite eritree devono essere state terribili. Ogni notte la strade di Asmara sono attraversate da camion militari carichi di uomini con i corpi lacerati. «Qui ne riceviamo da 700 a 1000 ogni notte – dice un infermiere dell’ ospedale Halibet, il più grande della città -. Restano solo qualche ora, il tempo di essere operati. Poi li portano via».

Gino Strada: “Opero uno via l’altro”

All’ospedale Halibet ieri mattina è arrivato un team di chirurghi dell’ organizzazione italiana Emergency, guidati da Gino Strada. «Alle 8 ho varcato il cancello – racconta Strada, uscendo dalla sala operatoria con il camice verde inzuppato di sangue – e mi è venuto incontro il ministro della sanità. Si è presentato stringendomi la mano, mi ha indicato lo spogliatoio e mi ha quasi implorato: “Dottore, cominci subito”. Ho cominciato immediatamente, uno via l’ altro, uno via l’ altro. Sto operando da dieci ore e non ho staccato un minuto».

Nelle corsie e nei corridoi i feriti sono dappertutto. Alcuni urlano dal dolore, altri si lamentano. Sono soldati, soprattutto, ma anche civili, donne e bambini, colpiti da bombe o schegge.

Su una barella, immobile, giace un militare. Sembra morto: «No – assicura un infermiere eritreo -. Ha una decina di ferite, la più grave alla testa, ma è ancora vivo». Borbotta Francesco, il caposala italiano: «Sono stato in mezzo a tante guerre, perfino in Somalia, ma non ho mai visto una carneficina così». Con la presa di Senafe, secondo gli ambienti diplomatici di Asmara, dovrebbe esaurirsi la vittoriosa campagna militare etiopica. Ora la parola dovrebbe passare alle negoziazioni e si spera che i leader dei due Paesi si mostrino più flessibili e più lungimiranti di quanto lo siano stati finora. In Eritrea si parla già di un rinnovamento ai vertici del Paese.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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Guinea Equatoriale, la sentenza della Cassazione francese contro Teodorino Obiang

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Le : 23/04/2014

Cour de cassation
chambre criminelle
Audience publique du 5 mars 2014
N° de pourvoi: 13-84977
ECLI:FR:CCASS:2014:CR00990
Publié au bulletin

Rejet

M. Louvel (président), président
SCP Piwnica et Molinié, SCP Potier de La Varde et Buk-Lament, SCP Waquet, Farge et
Hazan, avocat(s)

REPUBLIQUE FRANCAISE
AU NOM DU PEUPLE FRANCAIS

LA COUR DE CASSATION, CHAMBRE CRIMINELLE, a rendu l’arrêt suivant :
Statuant sur les pourvois formés par :

-La société Ganesha holding,

-La société Nordi shipping et entreprise participation,

-La société Re entreprise,

-La société Raya holding,

-La société du 42 Avenue Foch,

-La société de l’avenue du bois,

-La société GEP entreprise participation,

-La République de Guinée Equatoriale,

av foch 42contre l’arrêt n° 6 de la chambre de l’instruction de la cour d’appel de PARIS, 2e section,
en date du 13 juin 2013, qui, dans l’information suivie contre, notamment, MM. Mourad
B…, Franco Y…, Mme Aurélie Z…, des chefs, notamment, de blanchiment, abus de biens
sociaux, abus de confiance, complicité de détournement de fonds publics et recel, a
confirmé l’ordonnance du juge d’instruction ordonnant une mesure de saisie immobilière ;
La COUR, statuant après débats en l’audience publique du 5 février 2014 où étaient
présents : M. Louvel, président, Mme Labrousse, conseiller rapporteur, Mmes Nocquet,
Ract-Madoux, M. Soulard, Mmes de la Lance, Chaubon, MM. Germain, Sadot, conseillers
de la chambre, M. Azema, conseiller référendaire ;
Avocat général : M. Bonnet ;
Greffier de chambre : M. Bétron ;
Sur le rapport de Mme le conseiller référendaire LABROUSSE, les observations de la
société civile professionnelle WAQUET, FARGE et HAZAN, de la société civile
professionnelle PIWNICA et MOLINIÉ, avocats en la Cour, et les conclusions de M.
l’avocat général BONNET ;
Vu l’ordonnance du président de la chambre criminelle, en date du 6 septembre 2013,
ordonnant la jonction et l’examen immédiat des pourvois ;
Vu le mémoire, commun aux demanderesses, et le mémoire en défense produits ;
Attendu qu’il résulte de l’arrêt attaqué et des pièces de la procédure que, le 2 décembre
2008, l’association Transparency International France a porté plainte et s’est constituée
partie civile contre, notamment, le président en exercice de la République de Guinée
Equatoriale et son fils, M. Téodoro A…, pour détournement de fonds publics, abus de
biens sociaux, abus de confiance, blanchiment, recel et complicité de ces délits, en
exposant que des biens provenant des infractions dénoncées étaient détenus par ces
personnes sur le territoire français ; que, le 19 juillet 2012, le juge d’instruction a saisi, à
titre conservatoire, au visa des articles 706-141 à 706-147 et 706-150 à 706-152 du code
de procédure pénale, un ensemble immobilier sis à Paris, dont il a retenu qu’il était le
produit du délit de blanchiment et qu’il était détenu par M. Téodoro A…, au travers de
plusieurs sociétés suisses et françaises dont celui-ci était, depuis décembre 2004, l’unique
actionnaire ; que la République de Guinée Equatoriale et les sociétés précitées ont relevé
appel de cette décision ;
Mappa 2En cet état ;
Sur le premier moyen de cassation, pris de la violation des articles 191, 591 à 593 du code
de procédure pénale, R. 312-36 du code de l’organisation judiciaire, défaut de motifs,
manque de base légale ;
” en ce que selon les mentions de l’arrêt attaqué, la composition de la chambre de
l’instruction était la suivante :
« composition de la cour :
Lors des débats, du délibéré :
Mme Boizette, Président ;

Mme Dupont-Viet, conseiller désigné par ordonnance de M. le Premier président de la
cour d’appel de Paris en date du 13 mars 2013 M. Guiguesson, conseiller ;

Tous trois désignés en application des dispositions de l’article 191 du code de procédure
pénale » ;
” alors que le premier président de la cour d’appel n’est autorisé, en cas d’indisponibilité
d’un conseiller titulaire de la chambre de l’instruction et lorsqu’il n’est pas possible de
réunir l’assemblée générale, à désigner un remplaçant qu’à titre temporaire et pour une
période déterminée ; qu’à défaut d’avoir constaté l’impossibilité de réunir l’assemblée
générale et d’indiquer la période durant laquelle Mme Dupont-Viet, conseiller désigné par
ordonnance du premier président de la cour d’appel, pourra siéger à la chambre de
l’instruction, l’arrêt attaqué n’a pas mis la Cour de cassation en mesure de contrôler la
régularité de la composition de la chambre de l’instruction “ ;
Attendu que la mention de l’arrêt attaqué, selon laquelle le président et les deux
assesseurs composant la chambre de l’instruction ont été désignés conformément aux dispositions de l’article 191 du code de procédure pénale, suffit à établir, en l’absence de
toute contestation à l’audience concernant les conditions de leur désignation, la régularité
de la composition de la juridiction ;
D’où il suit que le moyen ne peut être admis ;
Sur le deuxième moyen de cassation, pris de la violation des articles 131-21, 324-7 12° du
code pénal, 706-141 à 706-152, 591 à 593 du code de procédure pénale, défaut de motifs,
manque de base légale ;
” en ce que l’arrêt attaqué a confirmé l’ordonnance de saisie pénale immobilière en date
du 19 juillet 2012 ;
” aux motifs que le juge d’instruction a visé l’article 131-21 du code pénal sans plus de
précision, et notamment n’a pas visé l’alinéa 5 ou l’alinéa 6 de cet article dans
l’ordonnance querellée ; le magistrat a visé les dispositions des articles 706-141 à 706-147
et 706-150 à 706-152 du code de procédure pénale ; qu’il n’a pas visé l’article 706-148 qui
prévoit qu’en cas de saisie de patrimoine l’ordonnance du juge d’instruction est prise sur
requête du procureur de la République ou d’office après son avis ; qu’en l’espèce
s’applique l’article 131-21, alinéa 3, du code pénal ; que les dispositions de l’article
131-21, alinéas 5 et 6, ne sont pas applicables, car l’ensemble immobilier objet de
l’ordonnance de saisie contestée du 19 juillet 2012 est le produit direct de l’infraction de
blanchiment, compte tenu des modalités de financement de ce bien, et qu’il ne s’agit pas
d’une saisie de patrimoine élargie ; que, s’agissant d’une saisie immobilière, le juge
d’instruction a procédé à juste titre à la saisie, au visa des articles 706-150 à 709-152 du
code de procédure pénale, lesquels textes ne prévoient pas l’avis préalable du ministère
public, mais la notification de cette ordonnance au parquet et comme il a été procédé, le
même jour, ainsi qu’il figure en mention du greffier (D706/ 13) ; que, dès lors, la présente
ordonnance a été prise conformément aux exigences légales de forme ;
” alors qu’en vertu de l’article 706-148 du code de procédure pénale, le juge d’instruction
ne peut ordonner une saisie de patrimoine, qu’après avoir reçu l’avis préalable du
procureur de la République ; qu’en l’espèce, le juge d’instruction a ordonné la saisie
pénale de l’ensemble immobilier situé sis 40/ 42 avenue Foch sur le fondement de l’article
324-7 12° du code pénal, qui renvoie à la peine de confiscation générale prévue par
l’article 131-21, alinéa 6 ; que cette saisie constituait dès lors, au sens de l’article 706-148
du code de procédure pénale, une saisie de patrimoine nécessitant l’avis préalable du
ministère public ; qu’en décidant le contraire, la chambre de l’instruction a violé les textes
et principes susvisés “ ;
Sur le troisième moyen de cassation, pris de la violation des article 131-21, 324-7 12° du
code pénal, 706-141 à 706-152, 591 à 593 du code de procédure pénale, défaut de motifs,
manque de base légale ;
Teodoin esce da auto” en ce que l’arrêt attaqué a confirmé l’ordonnance de saisie pénale immobilière en date
du 19 juillet 2012 ;
” aux motifs propres que si l’article 22 de la Convention de Vienne du 18 avril 1961, la
jurisprudence internationale et la jurisprudence française de la Cour de cassation
reconnaissent le principe de cette immunité, il y a lieu d’examiner si les biens considérés,
soit l’immeuble du 40/ 42 avenue Foch à Paris et les biens meubles le garnissant ont été
destinés et ont effectivement servi à l’accomplissement d’une mission diplomatique par la
République de Guinée Equatoriale ; il résulte des investigations effectuées, et notamment
par l’OPIAC, que, outre la liste des véhicules de prix dressée comme appartenant ou
ayant appartenu à Téodoro A… (D239), outre la liste des virements émis par la société
Somagui Forestal (D355) pour financer des achats de vêtements, de biens mobiliers,
objets de décoration de collection pour plusieurs millions d’euros (D242, 280, 284), outre
l’ensemble des investigations relatives à d’autres dépenses somptuaires (D494 à 515), il
résulte des investigations effectuées en 2011, par l’OCRGDF (D486) que l’immeuble situé
42 Avenue Foch à Paris, composé à l’origine de 5 appartements sur 5 niveaux a appartenu à cinq sociétés suisses en 2004, qu’une seule personne est propriétaire de la
totalité des actions composant ces sociétés (D475/ 2), que cette même personne fut
propriétaire d’une créance de 22. 098. 595 ¿ sur ces sociétés, qu’elle est propriétaire des
meubles meublants, que cet immeuble a été mis à disposition à titre gratuit de M. X,
identifié comme étant Téodoro A…, véritable propriétaire via Somagui Forestal des actions
composant le capital des sociétés suisses susvisées, soit les sociétés Ganesha, Re
Entreprise, Gep, Nordi And Shipping, Raya Holding et les deux sociétés françaises Foch
Services, et SCI Avenue du Bois, lesquelles sauf les deux dernières étaient domiciliées à
Fribourg dans une multifiduciaire (D640) et sociétés helvétiques pour lesquelles M.
Téodoro A… semble avoir donné procuration (D665) ; ces investigations ont établi que la
somme des travaux réalisés dans ce bien immobilier, pour un total d’environ 20 millions
d’euros (D484) a largement été financée par des virements provenant de Somagui
Forestal, qui a également financé la gestion et l’entretien de l’immeuble, estimé à 40
millions d’euros ; le 5 octobre 2011 (D476/ 6 à 2) les officiers de police judiciaire ont
constaté sur la porte d’entrée des lieux et dans les étages la présence de deux affichettes
de fortune, sous feuillet plastifié, « République de Guinée Equatoriale-locaux de
l’ambassade », tandis que figure l’adresse officielle de l’ambassade, 29 boulevard de
Courcelles à Paris 8ème, affichettes qui selon le gardien avaient été apposées la veille ; si
l’ensemble de ce bien immobilier aurait été l’objet d’un transfert de propriété par cession
des actions par Téodoro A… au bénéfice de la République de Guinée Equatoriale en date
du 15 septembre 2011, les investigations ultérieures sur place n’ont pas constaté
l’effectivité de ce transfert de propriété ; c’est avec pertinence que les juges d’instruction
ont noté que lors des saisies des véhicules appartenant à M. A…réalisées le 28 septembre
2011, notamment dans les locaux annexes à l’immeuble (parkings) et que deux jours
après ces opérations, un écriteau indiquant « Annexe Ambassade de Guinée Equatoriale
» était apposé sur la porte d’entrée du 42 avenue Foch et qu’il leur semblait tout à fait
curieux que l’acte de cession du 15 septembre, donc antérieur à ces mesures, n’ait pas
été produit et opposé à ce moment aux enquêteurs ; les enquêteurs ont pris attache le 27
octobre 2011 avec le service du protocole du ministère des affaires étrangères, qu’il leur a
été réaffirmé que les locaux du 42 Avenue Foch relevaient du droit commun et qu’il ne
s’agissait en aucun cas d’une adresse officielle de la République de Guinée Equatoriale
(D482) et ce malgré la note verbale n° 185/ 12 du 15 Février 20 12 de l’ambassade de
Guinée Equatoriale en date du 15 février 2012, note par laquelle cet Etat informait le quai
d’Orsay que ce bien était sa propriété pour laquelle il souhaitait une protection policière
(D543/ 2), ce que lui a refusé le ministère des affaires étrangères, refus contre lequel la
République de Guinée Equatoriale a protesté (D630) ; du 14 au 22 février 2012, les locaux
de cet immeuble ont été l’objet de perquisition (D555 à D568), qu’il résulte des
procès-verbaux des constatations dressés à cette occasion et de l’album photographique
des lieux (D585) que l’ensemble des pièces était réservé à un usage exclusif d’habitation
privée, comme l’ont également noté les juges d’instruction ; dès lors, les appels formés
contre l’ordonnance du 19 juillet 2012 prononçant la saisie immobilière du bien immobilier
sis à Paris 40/ 42 av. Foch sont mal fondés et l’ordonnance sera confirmée ;
” aux motifs adoptés que les investigations démontrent que l’immeuble sis 42 avenue Foch
à Paris 16ème détenu par six sociétés, suisses et françaises, a été financé en tout ou
partie avec le produit des infractions susvisées et constitue ainsi l’objet du blanchiment
des infractions d’abus de biens sociaux, abus de confiance et de détournement de fonds
publics ; que le nommé Téodoro A…, fils du président de Guinée Équatoriale, a la libre
disposition dudit immeuble ; qu’en effet, l’exploitation du dossier remis par les services
fiscaux et plus précisément les déclarations d’impôt sur la fortune des années 2005 à
2011 (Scellé ISF… un) a permis la découverte de documents remis par le cabinet CLC 65
avenue Marceau 75116 Paris, par lesquels il est indiqué que M. A…, résident de Guinée
Équatoriale est l’unique actionnaire depuis la fin de l’année 2004 des cinq sociétés suisses, Ganesha Holding, Nordi Shipping & Trading Co Ltd, GEP Gestion Entreprise
Participation, RE Entreprise et Raya Holding, cette dernière détenant le capital des
sociétés 42 avenue Foch et SCI avenue du Bois ; que ces six sociétés ressortent auprès
du bureau de la conservation des hypothèque de Paris (8ème bureau) comme étant les
copropriétaires de l’immeuble situé 42 avenue Foch à Paris 16ème ; qu’en outre, un
rapport de ce même cabinet d’avocats fait état qu’un certain « M. « X », résident de
Guinée Equatoriale est propriétaire de toutes les actions de la société Ganesha Holding
SA depuis le 20 décembre 2004 » ; que le rapport mentionne également « qu’il existe un
risque pénal encouru par le propriétaire de l’immeuble du 42 avenue Foch, à savoir l’abus
de biens sociaux, s’il était démontré la gérance de fait de M. A… Téodoro » ; que le
cabinet CLC précise par ailleurs que les sociétés suisses consentent à un abandon de
loyers au profit de M. « X », lequel occupe à titre gratuit les biens inscrits à l’actif social, et
que le montant des loyers que ces sociétés auraient dû normalement appeler, devraient
être intégrés dans leur résultat ; que les différentes auditions notamment de Mme K…du
cabinet Dauchez, administrateur de biens à l’époque, de Mme Linda L…, de la société L…,
cabinet de décoration, ainsi que les auditions d’anciens employés au service de M.
Téodoro A… ont également fait ressortir que l’intéressé prenait l’ensemble des décisions
concernant l’immeuble, supervisait l’ensemble des travaux et s’était toujours comporté
comme le propriétaire dudit immeuble ; qu’au travers des documents saisis en perquisition
dans les locaux de la société Foch Service chargée de la gestion de l’immeuble du 42
avenue Foch, il était constaté que la gérante, Mme M…, adressait la plupart de ses notes
et compte-rendu à M. A…, seul à prendre les décisions ; que les investigations récentes,
diligentées dans le cadre de l’exécution d’une commission rogatoire internationale
adressée aux autorités judiciaires helvétiques, notamment les perquisitions effectuées
dans les locaux des sociétés de fiducie ayant administré et géré les sociétés suisses
propriétaires du 42 avenue Foch, ont permis la découverte de documents attestant sans
ambiguïté que M. Téodoro A… en est l’unique actionnaire et le bénéficiaire économique
selon le droit suisse ; que ces sociétés n’ont d’ailleurs plus de comptes bancaires depuis
leur rachat fin d’année 2004 par le nouveau propriétaire, M. Téodoro A… ; que la
perquisition effectuée dans les locaux du 42 avenue Foch a permis également de
constater que les travaux effectués à cette adresse ont eu pour but de réunir l’ensemble
des pièces et l’ensemble des niveaux afin de ne constituer plus qu’un seul et même vaste
ensemble immobilier dont l’ensemble des salles communiquent par l’intérieur, ce qui ne
permet plus de distinguer les lots par sociétés propriétaires ; qu’ainsi, le lot n° 512,
appartenant à la société SCI Avenue du Bois représente une partie d’un appartement situé
au 4ème étage d’une surface de 150 m2 environ et l’autre partie de ce même appartement
constituant le lot n° 511 appartient à la société 42 avenue Foch ; la gestion des sociétés
précitées s’effectue au moyen de financements en provenance directement de Guinée
Equatoriale et plus particulièrement de la société Somagui Forestal SA ; qu’iI convient de
distinguer deux périodes : la période 2005-2007 durant laquelle les transferts de fonds se
font directement depuis la Guinée Équatoriale vers des comptes bancaires ouverts aux
noms des sociétés suisses auprès du Cabinet Dauchez, administrateur du bien immeuble
42 avenue Foch ; que de 2007 à ce jour, la société de droit français SARL Foch Service
dont l’objet est le paiement des charges inhérentes à la gestion de l’immeuble ainsi que
des frais de gestion du personnel affecté à l’entretien de l’immeuble et à la réception des
hôtes, est alimentée par des fonds provenant également de la société Somagui Forestal ;
qu’ainsi, l’exploitation et l’analyse des comptes bancaires de la société Foch Services
démontrent des liens financiers entre cette dernière et la société guinéenne Somagui
Forestal pour près de 2, 8 millions d’euros en provenance de celle-ci ; qu’iI convient de
préciser que l’objet social de la société Somagui Forestal, spécialisée dans l’exploitation et
la commercialisation du bois est totalement éloigné de celui de la Sarl Foch Services ; que
les travaux qui ont permis une transformation totale du bien sis 42 avenue Foch à l’initiative de M. Téodoro A… ont été évalués à près de 11 millions d’euros et ont été réglés
en partie par la société Somagui Forestal et pour une très grande partie par le débit d’un
compte intitulé « Téodoro A…, Présidence, Malabo » ; que ce mode de financement, pour
le moins singulier s’agissant d’un immeuble à usage privé, se retrouve dans les
acquisitions des objets d’art de grande valeur (pour 20 millions d’euros) et des véhicules
de luxe (pour 7 ou 8 millions d’euros), ceux-ci ayant d’ailleurs été saisis pour la plupart
dans la cour intérieure et dans les appartements du 42 avenue Foch ; que l’immeuble sis à
cette adresse est un bien immeuble privé et en aucun cas une représentation diplomatique
sur le territoire français comme cela a été rappelé par le ministre des affaires étrangères ;
que cet élément a été vérifié durant la perquisition puisque celle-ci a permis la découverte
d’objets, vêtements et autres effets personnels appartenant exclusivement à M. Téodoro
A… ; le contrat relatif à la cession des parts des sociétés suisses en date du 18 décembre
2004 découvert en Suisse pour un montant de 25 015 000 ¿ mentionne pour acquéreur le
nom de Téodoro A… Malabo Guinée Équatoriale à titre privé ; à aucun moment il n’est fait
état d’un quelconque titre ou fonction officielle sur cette convention ; en outre, lors de la
perquisition dans les locaux de la SARL Foch Services, des documents saisis révèlent la
volonté de M. Téodoro A…et de ses conseils d’opacifier davantage les liens financiers
entre les différentes structures personnes morales notamment par la création d’une
holding à Singapour ; qu’au cours de la perquisition effectuée auprès du cabinet de
fiscalité CLC a été notamment saisie la déclaration des plus-values pour l’année 2011
déposée pour le compte de Téodoro A… ; que cette déclaration en date du 15 septembre
2011, fait suite à la cession des droits sociaux qu’il détenait dans les sociétés suisses
copropriétaires du 42 avenue Foch au profit de l’Etat de Guinée Equatoriale ; toutefois cet
événement semble être un habillage juridique tendant à faire obstacle à toute saisie ; que
le montant de cette transaction porterait sur un montant d’environ 35 millions d’euros
(comprenant le prix de cession des parts et le rachat de créances) ce qui parait totalement
dérisoire et inconsidéré puisque le service France Domaine a évalué cet immeuble à 107
millions d’euros en juin 2012 ; que plusieurs incohérences montrent que l’acte a été rédigé
dans l’urgence afin de s’opposer aux opérations judiciaires ; qu’en effet, les saisies des
véhicules appartenant à M. A…ont été réalisées le 28 septembre 2011 ; que deux jours
après ces opérations, un écriteau indiquant (Annexe Ambassade de Guinée Équatoriale)
était apposé sur la porte d’entrée du 42 avenue Foch ; qu’iI semble tout à fait curieux que
l’acte de cession du 15 septembre, donc antérieur à ces mesures, n’ait pas été produit à
ce moment ; en outre, la perquisition effectuée au 42 avenue Foch au mois de février
2012, donc postérieurement à cet événement, a permis de constater que les effets
personnels, meubles et documents de M. Téodoro A… se trouvaient toujours dans les
lieux ; l’enquête américaine mentionne des revenus pour M. Teodoro A…, ministre de
l’agriculture et des forêts de l’ordre de 80 000 dollars par an, et fait état d’articles du code
pénal guinéen (article 399 CP) empêchant un ministre de pouvoir exercer une activité
commerciale ; que les frais d’acquisition de l’immeuble sis 42 avenue Foch, sa rénovation,
son entretien, sa décoration intérieure évalués à plus de cent millions d’euros sont sans
commune mesure avec les revenus qui lui sont connus ; que l’ensemble de ces éléments
démontre que M. Téodoro A… est le véritable propriétaire de l’immeuble sis 42 avenue
Foch et qu’au sens de l’article 131-21 du code pénal il en a la libre disposition ; que cet
immeuble encourt donc la confiscation en tant qu’objet d’une opération de placement, de
dissimulation et de conversion de fonds provenant d’infractions de détournement de fonds
publics, d’abus de biens sociaux, d’abus de confiance ; qu’en outre, Téodoro A…, se voit
reprocher des faits de blanchiment et encourt la confiscation de tout ou partie de ses biens
meubles ou immeubles, divis ou indivis, conformément à l’article 324-7 12° du code pénal
; que les investigations effectuées démontrent que c’est. M Teodoro A…, personne
physique, qui a la libre disposition de l’ensemble immobilier fictivement attribué à des
personnes morales ; qu’en l’absence de saisie pénale, une dissipation de la valeur de ce bien aurait pour effet de priver la juridiction de jugement de toute perspective de
confiscation, il y a donc lieu de procéder la saisie pénale de ce bien immeuble afin de
garantir la peine de confiscation ;
” 1°) alors qu’aucune saisie provisoire ne peut être effectuée à l’encontre d’un bien
immobilier appartenant à un tiers de bonne foi ; qu’en l’espèce, la République de Guinée
Equatoriale a produit à l’appui de son mémoire l’ensemble des documents justifiant que
depuis le 15 septembre 2011 elle était, au travers des sociétés dont elle était devenue
l’actionnaire unique, la seule et unique propriétaire des lots composant l’ensemble
immobilier visé par la saisie pénale immobilière prononcée le 19 juillet 2012 ; qu’en
décidant néanmoins que la saisie immobilière pratiquée sur cet ensemble immobilier était
valable, en relevant que M. Téodoro A… en serait le véritable propriétaire, la chambre de
l’instruction a dénaturé lesdits documents et ainsi privé sa décision de toute base légale
au regard des textes et principes susvisés ;
” 2°) alors que la chambre de l’instruction ne pouvait pas, pour justifier le maintien de la
saisie de l’immeuble appartenant à la République de Guinée Equatoriale, relever que les
investigations ultérieures réalisées sur place n’ont pas constaté l’effectivité du transfert de
propriété ou encore que M. Téodoro A… en aurait conservé la libre disposition ; que de
tels motifs inopérants privent la décision de toute base légale “ ;
Sur le quatrième moyen de cassation, pris de la violation des articles 22 de la Convention
de Vienne du 18 avril 1961, 131-21, 324-7 12° du code pénal, 706-141 à 706-152, 591 à
593 du code de procédure pénale, défaut de motifs, manque de base légale ;
” en ce que l’arrêt attaqué a confirmé l’ordonnance de saisie pénale immobilière en date
du 19 juillet 2012 ;
” aux motifs que si l’article 22 de la Convention de Vienne du 18 avril 1961, la
jurisprudence internationale et la jurisprudence française de la Cour de Cassation
reconnaissent le principe de cette immunité, il y a lieu d’examiner si les biens considérés,
soit l’immeuble du 40/ 42 avenue Foch à Paris et les biens meubles le garnissant ont été
destinés et ont effectivement servi à l’accomplissement d’une mission diplomatique par la
République de Guinée Equatoriale ; il résulte des investigations effectuées, et notamment
par l’OPIAC, que, outre la liste des véhicules de prix dressée comme appartenant ou
ayant appartenu à M. Téodoro A… (D239), outre la liste des virements émis par la société
Somagui Forestal (D355) pour financer des achats de vêtements, de biens mobiliers,
objets de décoration de collection pour plusieurs millions d’euros (D242, 280, 284), outre
l’ensemble des investigations relatives à d’autres dépenses somptuaires (D494 à 515), il
résulte des investigations effectuées en 2011, par l’OCRGDF (D486) que l’immeuble situé
42 Avenue Foch à Paris, composé à l’origine de 5 appartements sur 5 niveaux a
appartenu à cinq sociétés suisses en 2004, qu’une seule personne est propriétaire de la
totalité des actions composant ces sociétés (D475/ 2), que cette même personne fut
propriétaire d’une créance de 22 098 595 euros sur ces sociétés, qu’elle est propriétaire
des meubles meublants, que cet immeuble a été mis à disposition à titre gratuit de M. X,
identifié comme étant Téodoro A…, véritable propriétaire via Somagui Forestal des actions
composant le capital des sociétés suisses susvisées, soit les sociétés Ganesha, Re
Entreprise, Gep, Nordi And Shipping, Raya Holding et les deux sociétés françaises Foch
Services, et SCI Avenue du Bois, lesquelles sauf les deux dernières étaient domiciliées à
Fribourg dans une multifiduciaire (D640) et sociétés helvétiques pour lesquelles Téodoro
A… semble avoir donné procuration (D665) ; ces investigations ont établi que la somme
des travaux réalisés dans ce bien immobilier, pour un total d’environ 20 millions d’euros
(D484) a largement été financée par des virements provenant de Somagui Forestal, qui a
également financé la gestion et l’entretien de l’immeuble, estimé à 40 millions d’euros ; le
5 octobre 2011 (D476/ 6 à 2) les officiers de police judiciaire ont constaté sur la porte
d’entrée des lieux et dans les étages la présence de deux affichettes de fortune, sous
feuillet plastifié, « République de Guinée Equatoriale-locaux de l’ambassade », tandis que figure l’adresse officielle de l’ambassade, 29 boulevard de Courcelles à Paris 8ème,
affichettes qui selon le gardien avaient été apposées la veille ; que si l’ensemble de ce
bien immobilier aurait été l’objet d’un transfert de propriété par cession des actions par M.
Téodoro A… au bénéfice de la République de Guinée Equatoriale en date du 15
septembre 2011, les investigations ultérieures sur place n’ont pas constaté l’effectivité de
ce transfert de propriété ; que c’est avec pertinence que les juges d’instruction ont noté
que lors des saisies des véhicules appartenant à M. A…réalisées le 28 septembre 2011,
notamment dans les locaux annexes à l’immeuble (parkings) et que deux jours après ces
opérations, un écriteau indiquant « Annexe Ambassade de Guinée Equatoriale » était
apposé sur la porte d’entrée du 42 avenue Foch et qu’il leur semblait tout à fait curieux
que l’acte de cession du 15 septembre, donc antérieur à ces mesures, n’ait pas été produit
et opposé à ce moment aux enquêteurs ; que les enquêteurs ont pris attache le 27 octobre
2011 avec le service du protocole du ministère des affaires étrangères, qu’il leur a été
réaffirmé que les locaux du 42 Avenue Foch relevaient du droit commun et qu’il ne
s’agissait en aucun cas d’une adresse officielle de la République de Guinée Equatoriale
(D482) et ce malgré la note verbale n° 185/ 12 du 15 Février 2012 de l’ambassade de
Guinée Equatoriale en date du 15 février 2012, note par laquelle cet Etat informait le quai
d’Orsay que ce bien était sa propriété pour laquelle il souhaitait une protection policière
(D543/ 2), ce que lui a refusée le ministère des affaires étrangères, refus contre lequel la
République de Guinée Equatoriale a protesté (D630) ; que du 14 au 22 février 2012, les
locaux de cet immeuble ont été l’objet de perquisition (D555 à D568), qu’il résulte des
procès-verbaux des constatations dressés à cette occasion et de l’album photographique
des lieux (D585) que l’ensemble des pièces était réservé à un usage exclusif d’habitation
privée, comme l’ont également noté les juges d’instruction ; dès lors, les appels formés
contre l’ordonnance du 19 juillet 2012 prononçant la saisie immobilière du bien immobilier
sis à Paris 40/ 42 avenue Foch sont mal fondés et l’ordonnance sera confirmée ;
” 1°) alors qu’en application de l’article 22 de la Convention de Vienne sur les relations
diplomatiques du 18 avril 1961, les locaux des missions diplomatiques sont inviolables ;
qu’en l’espèce, la République de Guinée Equatoriale a indiqué au service du protocole du
ministère des affaires étrangères par une note verbale de l’ambassade en date du 4
octobre 2011 que l’immeuble sis 40/ 42, avenue Foch à Paris était utilisé « pour
l’accomplissement des fonctions de sa Mission Diplomatique » au titre des « locaux de la
mission diplomatique » tels que définis par l’article 1er de la Convention de Vienne ; qu’en
refusant d’annuler la saisie immobilière pratiquée sur cet ensemble immobilier le 16 juillet
2012, nonobstant son affectation à la mission diplomatique de la République de Guinée
Equatoriale, la chambre de l’instruction a violé les textes et principes susvisés ;
” 2°) alors que l’immunité diplomatique définie à l’article 22 de la Convention de Vienne
s’applique à l’ensemble des biens affectés à la mission diplomatique, quel qu’en soit leur
usage professionnel ou privé ; qu’en écartant l’inviolabilité de l’immeuble sis 40/ 42 avenue
Foch, affecté à la mission diplomatique de la République de Guinée Equatoriale, en se
bornant à relever qu’il aurait été réservé à un usage exclusif d’habitation privée, la
chambre de l’instruction a violé les textes et principes susvisés ;
” 3°) alors que l’affectation de biens immobiliers aux locaux d’une mission diplomatique
n’est soumis à aucun régime d’agrément préalable ou accréditif mais relève du seul
régime déclaratif ; qu’en validant néanmoins la saisie immobilière pratiquée le 16 juillet
2012 de l’immeuble situé au 40/ 42, avenue Foch à Paris, en se prévalant d’un refus du
service du protocole du ministère des affaires étrangères, la chambre de l’instruction a de
nouveau violé les textes et principes susvisés “ ;
Les moyens étant réunis ;
Attendu que, pour confirmer l’ordonnance entreprise et écarter l’argumentation de la
République de Guinée Equatoriale qui exposait que, d’une part, l’avis du ministère public
n’avait pas été recueilli préalablement à la mesure, d’autre part, le bien saisi était devenu sa propriété du fait de la cession que M. Téodoro A… lui avait consentie, le 15 septembre
2011, de ses actions dans le capital des sociétés détentrices de l’immeuble, enfin, celui-ci,
affecté à sa mission diplomatique, ce dont elle avait informé le ministère des Affaires
étrangères par note du 4 octobre 2011, bénéficiait de l’immunité prévue à l’article 22 de la
Convention de Vienne du 18 avril 1961 sur les relations diplomatiques, l’arrêt énonce que
le bien, produit direct de l’infraction de blanchiment, a été à juste titre saisi par le juge
d’instruction au visa des articles 706-150 à 706-152 du code de procédure pénale, qui ne
prévoient pas l’avis préalable du ministère public ; que les juges ajoutent qu’il ne résulte
pas des investigations diligentées postérieurement à l’acte de cession précité que le
transfert de propriété de l’immeuble ait été effectif, toutes les pièces qui le composent
étant réservées à un usage exclusif d’habitation privée ; qu’ils relèvent, enfin, que selon le
ministre des Affaires étrangères et européennes, les locaux saisis relèvent du droit
commun et ne constituent en aucun cas une adresse officielle de la République de Guinée
Equatoriale ;
Attendu qu’en l’état de ces énonciations, d’où il se déduit que l’ensemble immobilier,
n’étant pas un local de la mission diplomatique de la République de Guinée Equatoriale,
ne bénéficiait pas de l’immunité invoquée, et dès lors que la saisie des immeubles dont la
confiscation est prévue par l’article 131-21, alinéa 3 du code pénal, seul fondement retenu
en l’espèce, peut, sous réserve du droit du propriétaire de bonne foi, porter sur tous les
biens qui sont l’objet ou le produit direct ou indirect de l’infraction, la chambre de
l’instruction, qui a fait une exacte application de l’article 706-150 du code de procédure
pénale, a justifié sa décision ;
D’où il suit que les moyens ne peuvent être admis ;
Et attendu que l’arrêt est régulier en la forme ;
REJETTE les pourvois ;
FIXE à 3 000 euros la somme globale que les demandeurs devront payer à l’association
Transparency International France, partie civile, au titre de l’article 618-1 du code de
procédure pénale ;
Ainsi fait et jugé par la Cour de cassation, chambre criminelle, et prononcé par le président
le cinq mars deux mille quatorze ;
En foi de quoi le présent arrêt a été signé par le président, le rapporteur et le greffier de
chambre ;

Publication :

Décision attaquée : Chambre de l’instruction de la cour d’appel de Paris