Il Sudafrica si prepara alle elezioni nella profonda disillusione: il cambiamento è un miraggio lontano

Nella baraccopoli di Imizamo Yethu la disperazione e lo spirito di sopravvivenza si intrecciano in un quadro di dolore e stanchezza

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Dalla Nostra Corrispondente
Elena Gazzano
Città del Capo, 18 maggio 2024

Nel cuore pulsante di Città del Capo, lontano dalle sfavillanti luci di Waterfront e dalla ricchezza pettinata di Camps Bay, esiste un mondo ignorato e dimenticato. Un mondo fatto di vicoli ricoperti da spazzatura e di baracche fatiscenti, dove la disperazione e lo spirito indomabile della sopravvivenza si intrecciano in un quadro di dolore e stanchezza. Questo mondo è Imizamo Yethu, un insediamento informale che racconta una storia di abbandono e tradimento.

Insediamento informale Imizamo Yethu, Sudafrica

Le strade dell’insediamento non conoscono il lusso, solo il rigore dell’esistenza quotidiana. Spiega una donna, seduta su una sedia sgangherata fuori dalla sua baracca: “Nulla è cambiato, solo il nome è diverso: ora non più apartheid, ma un’apartheid democratico”. Le sue parole sono spiazzanti, sussurrate a denti stretti, ma purtroppo richiudono il sentimento prevalente che si srotola tra i vicoli della baraccopoli.

Trent’anni sono passati dall’avvento della democrazia in Sudafrica, ma per questa gente il cambiamento è un miraggio lontano, qualcosa di cui parlano solo i politici durante le elezioni.

Sinfonia di discontento

E’ una sinfonia di discontento quella che viene ripetuta durate la fila per assaporare un barbeque spettacolare. “Siamo stanchi di votare, è sempre la stessa storia”, confessa una giovane madre rivelando una disillusione profonda. In questa comunità, votare è diventato un rituale vuoto, un atto privo di significato in un mare di bugie e tradimenti.

Le speranze e i desideri degli abitanti di questo insediamento sono semplici ma profondi. “Il governo dovrebbe dare priorità alla sicurezza dei cittadini e lavorare per migliorare le condizioni di vita dei bambini,” sottolinea un altro intervistato con un semplice richiamo alla dignità umana di base.

Imizamo Yethu

La disuguaglianza e le promesse non mantenute qui si toccano con mano. “Guarda questo lato della strada: solo baracche. Ora, sposta lo sguardo sull’altro lato: case bianche aggrappate alle pendici della montagna. Osserva cosa c’è di fronte a casa mia, la loro spazzatura. Vengono qui a scaricarla per non rovinare i loro vialetti, si lamenta un giovane.

“I bianchi non hanno nemmeno il coraggio di entrare nella nostra zona, se non al volante delle loro macchine e protetti da guanti e mascherine chirurgiche”, la sua voce carica di una rabbia riflette la crudele realtà delle disuguaglianze.

Promesse infrante

“I miei genitori hanno votato fin dalla mia nascita. Nessun cambiamento”. Le generazioni si susseguono, ma il ciclo di promesse infrante rimane intatto. Per coloro la cui vita è definita dalla lotta incessante, l’urna elettorale è un crudo promemoria dell’abisso che separa le promesse dalla realtà.

E poi riecheggia una voce baritonale: “Sembra che io sia qualcuno che continuerà a votare? No. Li vedi questi, sono quattro cessi per venti persone, peccato che solo due funzionino”. Qui, all’ombra di disuguaglianze imponenti, le elezioni sono solo un’illusione di democrazia in una terra dove il potere è nelle mani di pochi e la maggioranza continua a lottare per sopravvivere.

Nel regno della politica, la menzogna è sovrana. “Tutti promettono, promettono, promettono. Ma agiscono sulle loro promesse?” Questa è la domanda che rimbomba tra le strade di Imizamo Yethu, dove le linee tra speranza e disperazione si confondono e le promesse non mantenute si stagliano imponenti sull’orizzonte.

Il mito di Mandela

Il mito di Mandela, una volta un faro di speranza per un Sudafrica appena nato dalla cenere dell’apartheid, ora appare sbiadito, un’ombra pallida di fronte alla realtà crudele della vita quotidiana. “Noi non siamo governati. Se hai notato quando sei arrivata, c’è un cartello che dice ‘benvenuti nella Repubblica di Imizamo Yethu’. Significa semplicemente che non siamo in Sudafrica. Siamo controllati, non governati.” Questo sentimento di abbandono e tradimento è tangibile nelle strade sporche e tra le baracche fatiscenti. La gente è stanca di essere ignorata, stanca di vedere le loro speranze calpestate da politici indifferenti e corrotti.

Imizamo Yethu diventa così il simbolo di una nazione spezzata, dove la retorica dei politici si scontra con la cruda realtà della vita quotidiana. Il Sudafrica è intrappolato in una crisi di leadership e fiducia, il futuro è avvolto da incertezza, ma una cosa è chiara: il tempo per il cambiamento è scaduto, e le voci delle persone dimenticate devono rimbombare nelle orecchie degli indifferenti.

Voglia primordiale

Attraversando Imizamo Yethu, si incontrano non solo povertà e disperazione, ma anche una voglia primordiale di sfidare ingiustizia e disuguaglianza. Ironicamente, “Imizamo Yethu” significa “il nostro comune sforzo“, un nome che suona quasi beffardo in una realtà dove gli sforzi comuni sembrano essere ignorati da chi detiene il potere.

E quindi, allontanandosi da questo luogo segnato dalla sofferenze, giunge spontanea una domanda: quanto ancora dovranno urlare prima che qualcuno finalmente li ascolti? E soprattutto, le elezioni del 29 maggio porteranno davvero un vento di cambiamento o saranno solo un altro inganno in questa crudele giostra di speranze infrante?

Elena Gazzano
elenagazzano6@gmail.com
https://www.instagram.com/elena.gazzano/
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