Scene dall’apocalisse in Sudan: Khartoum è diventata una città spettrale, morte e distruzione ovunque

Una guerra che si consuma nel quasi totale disinteresse del mondo:13 mila morti e 7,5 milioni di sfollati non fanno notizia

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
21 gennaio 2024

Khartoum è una città fantasma. Quasi completamente distrutta. La furia della guerra che imperversa dal 15 aprile 2023 tra il capo degli ex janjaweed, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, e il de facto presidente, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, ha deturpato il volto di una città, Khartoum, bellissima, con le sue vestigia coloniali che si potevano ammirare nell’architettura della città gemella Omdurman e nei quartieri centrali della capitale.

I larghi viali, la stazione ferroviaria, il quartiere dei grattacieli ora hanno cambiato volto. I palazzi sono distrutti, le macerie ingombrano le strade stracolme di immondizie. Insomma la città è irriconoscibile ed è diventata la porta di un Paese, il Sudan, che sta precipitando nell’inferno. E la capitale situata alla confluenza tra due maestosi fiumi il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro è sconvolta da un’agonia inarrestabile.

Le fotografie e i video che pubblichiamo ce li ha segnalati il nostro stringer, di cui non possiamo rivelare il nome per motivi di sicurezza ma che ringraziamo pubblicamente. Illustrano la situazione drammatica della capitale sudanese, città divisa in tre agglomerati urbani: Khartoum propriamente detta, Omdurman, che fu teatro nel 1898 di un’epica battaglia combattuta tra l’esercito britannico e quello del movimento spirituale islamico mahdista, e la più recente Khartoum Nord, da poco battezzata Bahari.

Nonostante la devastazione drammatica, non solo a Khartoum ma in tutto il Paese, gli scontri tra l’esercito e le milizie ribelli continuano senza interruzione ovunque. Le trattative di pace per porre fine al conflitto tra i due generali, Mohamed Dagalo “Hemetti e Abdel al-Burhan sono in un vicolo cieco.

 

 

Sabato, il ministero degli Esteri dell’ex protettorato anglo-egiziano, ha annunciato di aver sospeso la propria adesione da IGAD (Autorità intergovernativa per lo sviluppo, un’organizzazione internazionale politico-commerciale formata dai Paesi del Corno d’Africa), per le dichiarazioni espresse alla fine del 42esimo vertice straordinario tenutosi a Kampala (Uganda) il 18 gennaio scorso.

L’organizzazione regionale già alla fine dello scorso anno aveva proposto un  faccia a faccia tra i due generali, incontro rinviato a più riprese.

Hemetti è stato ricevuto giovedì scorso a Kampala dai dirigenti dell’IGAD, a margine del meeting straordinario dell’organizzazione, nonostante al-Burhan avesse comunicato di non partecipare al vertice. Vista l’assenza del presidente sudanese, anche l’arrivo del capo delle RSF era in forse, tuttavia i leader di IGAD hanno voluto ugualmente ascoltare il suo punto di vista sul conflitto.

Al vertice di Kampala, l’IGAD ha ribadito il suo appello per “un cessate il fuoco immediato e incondizionato”, perché “è una guerra ingiusta che colpisce il popolo sudanese”. L’organizzazione ha anche rinnovato la sua disponibilità di intervenire come mediatore tra le parti in conflitto e ha per l’ennesina volta esortato i due comandanti a incontrarsi di persona entro le prossime due settimane. Dichiarazioni non apprezzata dal presidente e dal suo entourage. E, viste le tensioni attuali, difficilmente negoziati di pace potranno aver luogo sotto l’egida di IGAD, accusata da al-Burhan di aver violato la sovranità del Sudan.

Già in passato IGAD, insieme Stati Uniti e Arabia Saudita ha tentato mediazioni per un cessate il fuoco tra le parti, invitate a Gedda, ma le trattative sono sempre terminate in un nulla di fatto.

Entrambe le parti sono state accusate di crimini di guerra, tra cui il bombardamento indiscriminato di aree residenziali, torture e detenzioni arbitrarie di civili.

Le RSF sono anche ritenute responsabili di uccisioni di massa a sfondo etnico, soprattutto nel Darfur, oltre che di saccheggi dilaganti e di stupri, un’arma da guerra antica. Non è solo dal “ratto delle sabine” che le donne sono preda di conquista nei campi di battaglia, ancor prima, nel conflitto cantato da Omero, ci sono riferimenti alle donne troiane come bottino di guerra.

Secondo ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), oltre 13.000 persone sarebbero state uccise durante i bombardati e gli scontri in Sudan, cifra quasi sicuramente sottostimata, perché in base ai dati forniti dalle Nazioni Unite, 7,5 milioni hanno dovuto lasciare le proprie case. Tra loro circa 1,4 milioni, fuggiti nei Paesi limitrofi.

Intanto non si placano le accuse contro gli Emirati Arabi Uniti di fornire armi ai miliziani delle RSF. A metà dicembre al-Burhan ha espulso 15 diplomatici di Abu Dhabi, il ministero degli Esteri sudanese non ha però precisato il motivo. I rapporti tra i due Paesi sono molto tesi da tempo, specie dopo le dichiarazioni di Yassir Alatta, membro del Consiglio sovrano del Sudan. A novembre aveva accusato gli EAU di fornire armi e logistica alle RSF attraverso i Paesi vicini, tra cui Uganda, Repubblica Centrafricana e Ciad.

Non è la prima volta che Abu Dhabi interviene in conflitti interni in Africa. Durante la guerra in Tigray aveva fornito droni a Abiy Ahmed, primo ministro etiopico e, contravvenendo a un embargo internazionale sul materiale bellico, aveva anche armato il controverso generale libico Khalifa Haftar.

Khartoum, ponte di Shambat
Due foto del ponte di Shambat distrutto

Gli Emirati continuano a negare qualsiasi coinvolgimento nel conflitto. Anzi, sottolineano di fornire aiuti umanitari per i profughi sudanesi nei Paesi limitrofi.

Va ricordato che sotto la dittatura di Omar al-Bashir, le RSF hanno combattuto per anni assieme agli Emirati contro gli houthi (gruppo armato yemenita, supportato dall’Iran) in Yemen, accanto alla colazione guidata dall’Arabia Saudita.

A margine del vertice del Movimento dei Paesi non Allineati, che si è svolto a Kampala in questi giorni, il ministro degli Esteri ad interim sudanese, Ali Al-Sadiq, ha incontrato Mohammad Mokhber, primo vicepresidente iraniano. Durante il colloquio le parti hanno fatto sapere di voler riaprire le rispettive ambasciate quanto prima. Nel 2016 Khartoum aveva deciso di interrompere i rapporti diplomatici con Teheran dopo un attacco alla rappresentanza saudita nella capitale iraniana e per presunte interferenze dell’Iran negli affari regionali. Il Sudan aveva quindi chiuso la sua ambasciata a Teheran e espulso i diplomatici iraniani da Khartoum.

North Light Industrial Area, Khartoum: fabbrica della Coca Cola
Khartoum: Ufficio centrale delle Statistiche
Soba, quartiere residenziale nella parte Sud-ovest di Khartoum

Il conflitto tra i due generali ha messo in ginocchio tutto il Paese. A Khartoum gran parte delle infrastrutture sono state distrutte, sembra una città fantasma: oltre il 70 per cento dei residenti ha lasciato lo stato di Khartoum

NAQA, SUDAN (Getty Image)

E due giorni fa l’UNESCO ha denunciato attività militari delle RSF anche nel campo religioso di Naqa e nel complesso di templi Musawwarat es Sufra, entrambi i siti archeologici fanno parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dal 2011, insieme alla città reale dei re kushiti a Meroe, vicino al fiume Nilo. Le autorità dello stato del Nilo hanno confermato incursioni delle RSF, poi respinte dalle forze aeree sudanesi. Non è ancora chiaro se i monumenti siano stati danneggiati o saccheggiati.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
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PHOTOCREDIT: SUDAN WAR MONITOR

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