Al Summit sul Clima di Nairobi la società civile condanna il business dei “crediti di carbonio”

Cinquecento gruppi della società civile africana hanno espresso all’unisono la loro preoccupazione riguardo le "false soluzioni" come i crediti di carbonio e l’uso della tecnologia come valida alternativa all’eliminazione graduale dei combustibili fossili dannosi

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Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
26 settembre 2023

Si è tenuto al Kenyatta International Convention Centerdi Nairobi, in Kenya, l’AfricaClimate Summit 2023, vertice inaugurale sulla crisi climatica che ha abbracciato tutti i Paesi africani. In quella sede è stata adottata la Dichiarazione di Nairobi come modello per guidare il continente nei futuri negoziati con la Comunità globale.

Proteste a Nairobi della comunità Turkana – Photo credit The New Humanitarian

Il vertice è stato convocato per costruire una posizione comune africana per la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28), che si terrà negli Emirati Arabi Uniti, il prossimo novembre. Tuttavia, la sua eredità potrebbe essere quella di aver dato il via a un dibattito più ampio sul clima all’interno di un continente abituato all’imposizione esterna (segnatamente dall’Occidente) di idee e strategie.

Al centro della dichiarazione c’è la vulnerabilità dell’Africa all’impatto dei cambiamenti climatici, nonostante la sua ridotta impronta sul carbonio. Le principali città africane entro il 2050 ospiteranno più di 1 miliardo di persone, i cui livelli di povertà e disuguaglianza li renderanno estremamente vulnerabili ai rischi che hanno trasformato queste aree in punti caldi dei disastri naturali.

Si trovano in Africa i 17 dei 20 Paesi più colpiti dalla crisi climatica, anche se il continente rappresenta meno del 4 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica. Eppure la stessa conferenza si è concentrata sulle soluzioni economiche alla crisi climatica, piuttosto che occuparsi più direttamente dei suoi impatti sulla vita delle popolazioni.

Nonostante gli oltre 40 milioni di rifugiati e sfollati interni e l’aumento della malnutrizione, raddoppiata rispetto al 2012, le questioni relative alla crisi umanitaria, indotte dal clima, non hanno avuto un posto di rilievo nell’agenda. E’ chiaro il nesso tra clima, pace e sicurezza. E questo necessita di strategie che affrontino le fragilità, promuovano l’inclusione e si adattino ai cambiamenti climatici, non dimenticando le zone di conflitto.

Cinquecento gruppi della società civile africana, sotto l’egida dell’Africa People’s Climate Assembly, hanno espresso all’unisono la loro preoccupazione riguardo le “false soluzioni” come i mercati del carbonio, i crediti di carbonio e l’uso della tecnologia come valida alternativa all’eliminazione graduale dei combustibili fossili dannosi.

La dichiarazione di Nairobi chiede all’Occidente di investire nell’ecologizzazione delle economie africane, nonché di supportare la riduzione delle emissioni e fornire fondi per l’adattamento.

Le soluzioni del vertice hanno puntato alla monetizzazione delle riserve naturali di carbonio del continente africano e alla ricerca di investimenti per garantire il proprio futuro verde.

Mentre pochi contestano il fatto che l’Africa debba arginare le perdite economiche derivanti dai cambiamenti climatici – che ammontano al 5-15 per cento del PIL annuo – la questione più ampia rimane quella di come rispondere all’intransigenza dell’Occidente sulle emissioni e come prepararsi alle inevitabili conseguenze.

E allora, monetizzare gli effetti del sequestro di carbonio delle foreste e delle mangrovie africane, condividere le tecnologie verdi e consentire l’estrazione redditizia e responsabile dei suoi minerali verdi è davvero “la soluzione africana” a un problema globale?

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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