SeaFuture, la mostra navale militare dell’usato contestata da associazioni e società civile

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Speciale per Africa ExPress
Luciano Bertozzi
Giugno 2023

Un altro passo verso l’economia di guerra, così può essere definita l’esposizione SeaFuture, svoltasi all’Arsenale Navale di La Spezia, inaugurata 5 giugno dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, e conclusasi tre giorni dopo..

La Fiera, nata nel 2009 come “la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare”, negli anni è stata trasformata nell’unica mostra militare in Italia in cui i partecipanti sono le principali aziende del settore militare (soprattutto Fincantieri e Leonardo, che sponsorizzano anche l’evento) e la Marina Militare. La fiera, quindi, ha preso il posto della Mostra Navale di Genova vetrina dell’industria militare navale “made in Italy” negli anni Ottanta e chiusa grazie al movimento pacifista.

Particolarmente inquietante è stata la presenza dei rappresentanti di una settantina di Marine Militari, come quelle di Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Israele, Somalia, Pakistan, Turchia, Paesi belligeranti o che calpestano le libertà fondamentali.

Il mondo dell’associazionismo, riunito nel cartello Riconvertiamo SeaFuture ha contestato la mostra, chiedendo il ritorno alle finalità iniziali, con una manifestazione nella città ligure.

La trasformazione è avvenuta anni fa, nel 2014, con l’allora ministro della Difesa Roberta Pinotti, del Partito Democratico, all’indomani dell’approvazione della Legge navale che ha stanziato alcuni miliardi di euro pubblici per rinnovare la nostra flotta. “Da lì l’idea – ha ricordato Giorgio Beretta su Il Manifesto – di vendere le navi dismesse dalla Marina militare ai Paesi emergenti, soprattutto dell’Africa e del Medio Oriente che – come riportava il comunicato ufficiale di una precedente edizione – potrebbero essere interessati all’acquisizione delle unità navali della marina militare italiana non più funzionali alle esigenze della squadra navale, dopo un refitting effettuato da parte dell’industria di settore. Un salone dell’usato militare, dunque, ben lontano dall’innovazione e dalla sostenibilità”.

Il governo Meloni sta puntando molto sull’industria militare come volano dell’economia nazionale. Recentemente ha tolto le limitazioni all’esportazione verso l’Arabia Saudita di alcuni materiali di armamento (bombe per gli aerei) che in passato sono stati utilizzati nella guerra in Yemen.

La commistione tra militare e civile, coinvolge impropriamente anche settori della ricerca scientifica e dell’istruzione, che dovrebbero invece rimanerne ben distinti. Il futuro dell’industria navale e del mare non possono continuare a dipendere dalla produzione e dal commercio di sistemi militari, sottraendo fondi al settore civile.

“Il Mediterraneo, deve ritornare ad essere – sottolineano i pacifisti di Riconvertiamo Seafuture – un ponte di incontro tra i popoli e le culture, tra i centri di ricerca e tutte le realtà interessate a promuovere la tutela del mare, la sostenibilità ambientale, il turismo responsabile e lo sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti delle persone e dei popoli”.

Comitato “Riconvertiamo Seafuture”

In pratica avviene tutto il contrario di quanto è previsto dalla legge 185 del 1990, che nel disciplinare rigorosamente il commercio delle armi vieta le vendite a Paesi belligeranti o retti da regimi liberticidi. contempla, inoltre, “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”.

Questo è un aspetto fondamentale, anche per consentire un’alternativa ai lavoratori che non vogliono produrre per il militare, senza dover subire il ricatto occupazionale.

Il Covid 19 e l’alluvione dell’Emilia-Romagna, hanno dimostrato chiaramente che la sicurezza di una popolazione non deriva dal possesso di potenti Forze Armate, bensì da un sistema sanitario pubblico efficiente e da una protezione civile capace di contrastare gli eventi estremi, sempre più distruttivi.

Dirottare le scarse risorse verso il settore militare, dimostra mancanza di volontà politica di contrastare la lotta al cambiamento climatico e di rafforzare il servizio sanitario nazionale. Non solo: vendere armi a Paesi che alimentano i venti di guerra in tutto il mondo costituisce una politica che vanifica la nostra Costituzione, senza creare occupazione, ma produce solo lutti e distruzioni. Purtroppo anche la UE, che consente l’uso dei fondi del PNRR per produrre le armi e sostiene i regimi che impediscono l’immigrazione, ha tradito i suoi scopi istitutivi, essendo nata proprio per evitare la guerra in Europa.

Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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