L’Etiopia fa incetta di medaglie ai mondiali di atletica nell’Oregon, primeggiano le atlete del Tigray

Oro e sangue. Gloria e guerra. Trionfi e tirannia.

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Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
26 luglio 2022

L’Etiopia dell’Atletica è la seconda al mondo nella classifica per nazioni ai campionati mondiali numero 18 appena conclusisi a Eugene, in Oregon (USA).

 

Gudaf Tsegay, atleta del Tigray (Etiopia), medaglia d’oro ai 5000 m

Con 4 medaglie d’oro, 4 d’argento, 2 di bronzo è preceduta solo dagli Stati Uniti. Il dominio etiopico assoluto nelle maratone maschile e femminile (con Tamirat Tola e Gotytom Gebreslase, il 18 luglio), nei 10 mila metri (con Letesenbet Gidey, 16 luglio), è stato completato dalla vittoria nei 5 mila (Gudaf Tsegay, il 23 luglio).

L’argento brilla su Mosinet Geremew, giunto alle spalle di Tola; su Lamecha Girma, secondo, il 19 luglio, nei 3 mila siepi maschili; su Werkuha Getachew, seconda, il 20 luglio, nei 3 mila siepi femminili, e Gudaf Tsegay, nei 1500 metri donne. Il bronzo etiope, infine, è andato ad altre due esponenti dell’atletica femminile: Dawit Seyaum (5 mila metri, 23 luglio) e Mekides Abebe (3 mila siepi, 20 luglio).

Il successo dei campioni di Addis Abeba è ancora più eclatante se raffrontato alla debacle dei rivali di sempre: i kenyani. Nella classifica generale, questi sono al quarto posto, dietro la Jamaica. L’aspetto più grave, però, è che il Kenya, per la prima volta da Helsinki 1983, non ha conquistato nessun titolo tra i 5000, 10000, 3000 siepi e maratona, maschili e femminili!

Eppure, per l’Etiopia non è tutto oro ciò che luccica. Ciò che sembra bello ed esaltante, in realtà, copre realtà drammatiche, amare e dolorose. Che sono venute allo scoperto grazie al successo di tre atlete eccezionali: Letesenbet Gidey, Gotytom Gebreslase, Gudaf Tsegay. Un terzetto tutto al femminile accomunato dalle capacità sportive, ma anche dalla comune origine: il Tigray. Le loro vittorie, stupefacenti di per se stesse, diventano un’impresa incredibile se si considera appunto il contesto in cui sono maturate (ha commentato la BBC), in cui sono cresciute le protagoniste e quello che hanno provocato nello stadio Heyward Field di Eugene.

Qui, tra fiumi e foreste, ancora una volta lo sport è diventato il proscenio di una protesta che ha raggiunto una platea planetaria. Al termine della sudatissima conquista dell’oro nei 5 mila metri da parte della venticinquenne Gudaf Tsegay, all’improvviso, nel cuore dell’Oregon ha fatto irruzione la politica.

Il pubblico rumoreggiava, applaudiva, sventolava stendardi con il verde, giallo e rosso. Ma sono comparse anche le bandiere giallorosse con la stella del Tigray. Si è formato un corteo rumoroso, combattivo con un cartello che diceva: “Stop al genocidio compiuto dall’Etiopia e dall’Eritrea, le famiglie non riescono a sentire le loro figlie da due anni”.

La diaspora denuncia la guerra in Tigray durante i mondiali di Atletica nell’Oregon, USA

Infatti le conseguenze di questa situazione la stanno pagando anche i genitori di Letesenbet Gidey e di Gotytom Gebreslase. “Da mesi non riusciamo a parlare con le nostre figlie – hanno dichiarato le loro mamme -. Abbiamo appreso delle loro vittorie solo giorni dopo e in modo indiretto e le abbiamo sempre incoraggiate”.

C’è stato chi si è ricordato e ha voluto ricordare al mondo intero quello che avvenne il 4 novembre 2020: il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed, ha invaso il Tigray .

Da allora è stato un susseguirsi di denunce di massacri di civili, pulizia etnica, violenze sessuali usate come arma di guerra, distruzione e saccheggi da parte dell’esercito etiopico e di suoi alleati (Eritrea in primis), ondate di sfollati, oltre 2 milioni, secondo Human Rights Watch.

“Hanno voluto creare l’inferno in terra”, sostiene la diaspora tigrina. Subito dopo la gara dei 5 mila metri, è sceso in pista un uomo avvolto nel vessillo del Tigray. E’ corso verso Tsegay e Gidey le ha abbracciate e sollevate da terra. Poi la security con cortesia lo ha “fermato, ma non arrestato”.

L’uomo è stato intervistato e non si è nascosto (come si può vedere su Youtube): “Mi chiamo Mearg Mekonen, ho 40 anni, sono nato nel Tigray, da molto tempo vivo in Texas. Sono venuto qui ai mondiali di Atletica, ma non avevo programmato questo gesto. Mi è scaturito all’improvviso, nello stadio. Perché l’ho fatto? Perché voglio essere la voce di chi non ha voce, voglio che si prenda coscienza del genocidio che sta avvenendo a casa nostra, nel Tigray”.

Ha cercato di affrontare lo scottante argomento anche un giornalista intervistando Tsegay, la conquistatrice della medaglia d’oro nei 5000. La risposta è venuta da un omaccione della squadra etiope, che allontanando la campionessa, ha bofonchiato; “Questa domanda non va bene per noi”.

Si sa che le dittature e i regimi totalitari usano lo sport per farne un formidabile strumento di propaganda politica, veicolo per il consenso di massa. Ma spesso basta una medaglia d’oro per svelare “alle genti di che lacrime grondi e di che sangue”.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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