Yemen: la paura non frena i migranti. Fame e speranza sono più forti della guerra

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Yemen: ritrovati i corpi di 25 migranti

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
16 giugno 2021

Nello stretto di Bab el-Mandeb, che in italiano significa “porta del lamento funebre”, all’inizio della settimana alcuni pescatori yemeniti hanno trovato i corpi di 25 persone, migranti, per lo più etiopi.

Secondo quanto riporta Jalil Ahmed Ali, funzionario della provincia di Lahij (Yemen), precisando di aver appreso dettagli da fonti di trafficanti di esseri umani, i 25 rifugiati facevano parte di un gruppo di 160-200 persone, la cui imbarcazione si sarebbe capovolta; nessuna notizia, finora, sulla sorte degli altri occupanti della barca.

 

Yemen: ritrovati i corpi di 25 migranti

Lo stretto congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e ai due lati delle sue sponde troviamo Gibuti, sulla costa africana e lo Yemen nella Penisola Arabica. Il tratto d’acqua è spesso teatro di naufragi, dovuti soprattutto al sovraccarico dei natanti.

Uno dei pescatori ha riferito che i resti dei naufraghi sono affiorati a 16 chilometri dalla costa nelle acque nei pressi di Ras al-Ara, zona soprannominata “l’inferno dei migranti”. L’Organizzazione Internazionale per i Migranti (OIM) ha confermato l’incidente, le indagini sulla dinamica del naufragio sono in corso.

Pur di fuggire a fame, povertà e guerra gli etiopi continuano a affrontare il terribile viaggio, quasi 2.000 chilometri, per raggiungere le tanto sognate destinazioni, l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi Uniti, con la speranza di trovare un lavoro per poter aiutare la famiglia rimasta a casa. Ndi Paesi arabi sono destinati a svolgere i lavori più umili, maltrattati, sfruttati;  le donne sono trattate come schiave dai padroni, che non di rado abusano anche sessualmente delle ragazze e spesso vengono rispediti a casa, perché ritenuti migranti illegali. Con l’arrivo della pandemia, molti sono rimasti anche senza lavoro, anche i ricchi Paesi del Golfo hanno risentito della crisi economica globale.

Lago Assal

Prima di raggiungere Obock, sulla costa meridionale del Gibuti, da dove partono molte imbarcazioni cariche di migranti alla volta dello Yemen, i giovani devono attraversare lande deserte e impervie, caldissime e non di rado vengono rinvenuti resti umani nella regione del lago Assal, nella regione abitata degli Afar, che si trova a 155 metri sotto il livello del mare e rappresenta il punto più basso del continente africano. Muoiono di stenti, fame e sete. Altri annegano durante la traversata
.
Si stima che attualmente i migranti intrappolati nello Yemen siano ben oltre 30 mila, per lo più etiopi. Scappati dall’Etiopia in guerra sono finiti dalla padella alla brace. Per realizzare “un sogno”, ora si trovano in un altro Paese in guerra, dove 13 milioni di persone dipendono da aiuti umanitari.

Le angherie nei confronti dei migranti negli ultimi mesi si sono moltiplicate, eppure lo Yemen è il solo Paese della penisola arabica che ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. Ma è risaputo che quando si diventa un rifugiato, si dipende dalla benevolenza delle Istituzioni .

A Sana’a, sotto controllo dei ribelli huti, molti etiopi vengono arrestati se trovati per strada. Per la loro liberazione devono versare 230 euro, più del doppio se vengono acciuffati fuori dalla città. Chi non è in grado di pagare, viene costretto a arruolarsi e spedito al fronte a combattere.

Il World Food Programme, nel suo rapporto di fine maggio, ha specificato che oltre 50 mila yemeniti vivono già in condizione di pre-carestia. I bambini al di sotto dei 5 anni sono particolarmente esposti alla gravissima crisi in atto e molti muoiono per malattie che in un altro Paese sarebbero facilmente curabili, come diarrea, malattie respiratorie e malnutrizione grave.

Nelle ultime settimane i casi covid sono in forte aumento. Manca tutto, anche le bombole di ossigeno. E intanto la guerra continua il suo corso, senza guardare in faccia a bambini, malati, alla popolazione civile, ai migranti.

Il conflitto interno è iniziato nel 2015 e vede contrapposte due fazioni: da un lato gli huti, un movimento religioso e politico sciita, che aveva appoggiato l’ex presidente destituito Ali Abd Allah Ṣaleḥ, ucciso nel dicembre 2018, dall’altro le forze del presidente Mansur Hadi, rovesciato dagli huti con un colpo di Stato nel gennaio 2015. Da marzo 2015, con l’intervento della coalizione saudita che sostiene Mansur Hadi, sono morte ben oltre 100.000 persone, i feriti non si contano nemmeno.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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