Ultimo atto del governo Conte: stop alle armi italiane per la guerra in Yemen

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Entrata dello stabilimento della RWM di Domusnovas, Sardegna, Italia

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
9 febbraio 2021

Guerra in Yemen, terribile tragedia umanitaria, migliaia di civili uccisi nei bombardamenti aerei della coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, caccia e bombe made in Europe. Meglio tardi che mai, l’Italia ha finalmente detto stop all’ignobile export di armi alle forze armate dei due Paesi arabi coinvolti. Il Governo Conte, alla vigilia delle sue dimissioni, ha revocato le autorizzazioni per il trasferimento di missili e bombe d’aereo ad Arabia Saudita ed Emirati. La revoca delle licenze rilasciate dalle autorità italiane tra il 2016 e il 2018 è giunta dopo la “sospensione per 18 mesi” decisa dall’esecutivo l’11 luglio 2019, grazie alla campagna di denuncia e mobilitazione che ha visto protagoniste decine di associazioni pacifiste e ONG dei diritti umani.

Entrata dello stabilimento della RWM di Domusnovas, Sardegna, Italia

Secondo la Rete Italiana Pace e Disarmo e Opal, l’Osservatorio sulle armi leggere di Brescia, il provvedimento riguarda perlomeno sei diverse autorizzazioni di esportazione, tra le quali la licenza del Ministero degli Affari esteri del 2016 (premier Matteo Renzi), relativa ad oltre 19.600 bombe aeree della serie Mk 82, Mk 83 ed Mk 84 del valore di oltre 411 milioni di euro, a favore del regime saudita. A produrre gli ordigni, lo stabilimento di RWM Italia S.p.A. di Domusnovas, in Sardegna.

Portata storica

“Si tratta di un atto di portata storica che avviene per la prima volta nei 30 anni dall’entrata in vigore della Legge n.185 del 1990 sull’export di armi”, hanno commentato Amnesty International Italia, Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Oxfam Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo e Save the Children. “Questa decisione pone fine – una volta per tutte – alla possibilità che migliaia di ordigni fabbricati in Italia possano colpire strutture civili, causare vittime tra la popolazione o possano contribuire a peggiorare la già grave situazione umanitaria nel Paese”.

La campagna di mobilitazione per imporre l’embargo di bombe made in Italy alla coalizione militare internazionale responsabile del bagno di sangue in Yemen si è allargata dopo le risultanze di un’inchiesta di un gruppo di ricercatori delle Nazioni Unite che nel gennaio del 2017 aveva bollato come “crimini di guerra” le operazioni aeree condotte da Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Nel corso della loro missione, i ricercatori ONU avevano individuato i frammenti di alcune bombe utilizzate contro obiettivi civili, la cui produzione era stata individuata in Italia, confermando quanto era già stato anticipato in Sardegna dalle organizzazioni No War e da Opal. A settembre 2000, il Parlamento Europeo aveva poi approvato ad ampia maggioranza una Risoluzione che condannava l’intervento militare in Yemen di Arabia Saudita ed Emirati Arabi e invitava la Commissione ad avviare nei confronti di questi due paesi “un processo finalizzato ad un embargo dell’UE sulle armi”.

Licenze revocate

Come hanno rilevato Amnesty International Italia e le associazioni partner, la decisione di revoca delle licenze “conferma la necessità di indagare sulla responsabilità penale di UAMA – l’Autorità responsabile delle autorizzazioni presso la Farnesina – e RWM Italia nelle esportazioni di bombe della serie Mk durante il periodo del conflitto, come denunciato alla magistratura da alcune delle nostre organizzazioni ora in attesa di una decisione del GIP in merito al proseguimento dell’indagine”.

Nell’aprile del 2018, la Rete Pace e Disarmo, l’European Center for Constitutional and Human Right (Ecchr) di Berlino e l’ONG yemenita Mwatana for Human Rights avevano presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma in cui s’ipotizzavano i reati di abuso di ufficio da parte di UAMA e di omicidio colposo da parte di RWM Italia, a seguito del rilevamento nel 2016 di frammenti di bombe e un anello di sospensione con numero di serie della produzione nello stabilimento Domusnovas di RWM Italia, dopo un bombardamento aereo del villaggio yemenita di Deir Al-Hajari, in cui avevano perso la vita sei persone, tra cui quattro bambini. Secondo i legali delle tre associazioni, l’esportazione di queste bombe avrebbe palesemente violato la legge italiana 185/90, la Posizione Comune 2008/944 dell’Ue e il Trattato Onu sul commercio delle armi. Dopo la richiesta di archiviazione del procedimento da parte del Pubblico ministero del Tribunale di Roma, il 26 gennaio 2021 le ONG hanno presentato opposizione e ora si attende la decisione del GIP.

Denuncia alla Corte Penale Internazionale

L’11 dicembre 2019, Rete Pace e Disarmo, Ecchr e Mwatana for Human Rights, insieme ad Amnesty International, Campaign Against Arms Trade e Centre Delàs hanno anche presentato una Comunicazione alla Corte Internazionale dell’Aia chiedendo un’indagine sulla responsabilità delle autorità governative di Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito e delle aziende esportatrici di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati. Le associazioni hanno documentato ben 26 attacchi aerei in cui sono stati impiegati ordigni prodotti in Europa.

Secondo Amnesty International Italia e le associazioni partner, tra il 2015 e il 2019 il nostro Paese ha autorizzato l’export di armamenti per un valore complessivo di circa 845 milioni di euro verso l’Arabia Saudita e per oltre 704 verso gli Emirati Arabi Uniti. “Sebbene da metà 2019 non sia stata rilasciata alcuna autorizzazione sui materiali specificamente indicati nella decisione governativa, su altri tipi di materiali d’armamento è stato invece dato il via libera nel secondo semestre 2019 a 6 autorizzazioni verso l’Arabia Saudita per un valore complessivo di circa 105 milioni di euro e a 25 autorizzazioni verso gli Emirati Arabi Uniti per un valore di circa 79 milioni di euro”, aggiungono le ONG. “Le stime per i primi sei mesi del 2020 segnalano infine spedizioni definitive per poco meno di 11 milioni di euro in armi e munizioni di tipo militare verso gli EAU e 5,3 milioni di euro all’Arabia Saudita (dei quali 4,9 milioni riguardano pistole o fucili semiautomatici che possono essere state destinate anche a militari o corpi di sicurezza pubblici o privati)”.

Fabbriche contro la revoca dei permessi

Contro la revoca dell’export di bombe ai due Paesi arabi, l’amministratore delegato di RWM Italia, Fabio Sgalzi, ha annunciato di voler presentare un ricorso al TAR. “Siamo di fronte ad un provvedimento ad aziendam, che di fatto colpisce duramente solo RWM Italia”, ha dichiarato Sgalzi all’AGI. “L’azienda assicura che farà l’impossibile per ottenere l’annullamento di un provvedimento ingiusto e punitivo, a tutela delle centinaia di lavoratori, molti dei quali già finiti in cassa integrazione. Pur riconoscendo la complessità della situazione yemenita, il periodo 2019-2020 ha registrato molti passi concreti nella direzione di una stabilizzazione e pacificazione dell’area, contrariamente a quanto accaduto negli anni precedenti. Troviamo, quindi, la decisione del governo contraria alla verità dei fatti”.

Guerra in Yemen

RWM Italia SpA è interamente controllata dal colosso tedesco Rheinmetall AG, uno dei maggiori produttori d’armi leggere e pesanti a livello internazionale. L’azienda italiana ha due stabilimenti, uno a Domusnovas-Iglesias e uno a Ghedi (Brescia), dove si trova anche la sede principale. “Il core business di RWM Italia è basato principalmente sulle attività di bombe d’aereo general purpose e da penetrazione; caricamento di munizioni e spolette; sviluppo e produzione di teste in guerra per missili da crociera, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento”, riporta il sito web dell’azienda. A Domusnovas, in particolare, vengono prodotte le famigerate Mk81, Mk82, Mk83 ed MK84 impiegate in Yemen e le devastanti bombe d’aereo di penetrazione BLU 109, BLU 130, BLU 133 e Paveway IV.

Piano di investimento

Per ampliare le infrastrutture e potenziare la produzione di sistemi di morte nello stabilimento sardo, nel 2017 il colosso Rheinmetall ha predisposto un piano di investimento finanziario di 35 milioni di euro. RWM Italia ha poi richiesto la concessione edilizia per la costruzione di nuovi reparti e per il Campo Prove R140, un poligono per prove esplosive all’aperto, nell’area territoriale che ricade nel Comune di Iglesias.

Le autorità locali hanno rilasciato le autorizzazioni secondo modalità di “dubbia legittimità”, come affermato da Italia Nostra e dal Comitato per la Riconversione della RWM, che hanno presentato ricorso al TAR. “Nella prima metà di marzo 2020, in piena pandemia, gli uffici del Comune di Iglesias sono stati più che mai attivi nell’istruire numerose pratiche relative all’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas”, spiega Graziano Bullegas, Presidente di Italia Nostra Sardegna. “La strategia utilizzata è quella dello spezzatino, ormai collaudata negli anni. Non si presenta un’istanza univoca e un piano attuativo, ma più richieste per singoli interventi in modo da impedire una visione generale, eludere pareri di natura regionale molto più complessi e soprattutto esigenti dal punto di vista delle documentazioni aggiunte”.

Pericolo per l’incolumità pubblica

“La fabbrica di RWM rappresenta un serio pericolo per la pubblica incolumità e per la salvaguardia dell’ecosistema in quanto stabilimento ad elevato rischio di incidente rilevante, con un Piano di Sicurezza Esterno scaduto da quasi 10 anni e mai aggiornato all’attuale produzione di ordigni bellici”, aggiunge Bullegas. “Il tutto reso ancor più insostenibile dal rilascio da parte della provincia di una autorizzazione ambientale semplificata simile a quella che viene rilasciata a una piccola attività artigianale, anziché l’autorizzazione Integrata Ambientale più rigida e meno permissiva. Così la più grande fabbrica di bombe d’Europa ha un’autorizzazione pari a quella che ha un’autofficina!”.

Contemporaneamente alla richiesta d’embargo dell’export ad Arabia Saudita, EAU e Turchia e contro l’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas, una ventina di associazioni hanno dato vita al Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile con lo “scopo di promuovere la riconversione al civile di tutti i posti di lavoro, nell’ottica di uno sviluppo del territorio che sia pacifico e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale e come segno di volontà di pace dal basso”. Il Comitato ha lanciato una campagna di crowfunding per sostenere le spese legali nei ricorsi amministrativi contro l’espansione della produzione di bombe (dopo il rigetto del TAR del primo ricorso nel luglio 2020, la sentenza è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato).

Intanto, per martedì 9 febbraio, la Campagna Stop RWM e il Cagliari Social Forum hanno indetto un sit-in di sensibilizzazione nella città capoluogo della Sardegna. No alla produzione di bombe – Stop alla vendita di armi, le richieste al centro dell’iniziativa che intende pure stigmatizzare le recentissime affermazioni dall’amministratore delegato di RWM, dal sindaco di Domusnovas e di alcune organizzazioni sindacali, fortemente critici della “storica” pur se tardiva decisione governativa di revoca delle licenze d’esportazione.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com

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