Speciale per Africa ExPress
Barbara Pavarotti
3 maggio 2025
Si sente il respiro del mare nel film “Breath” di Ilaria Congiu, in uscita al cinema il 5 maggio. Il mare del Senegal, l’Oceano Atlantico, Paese dove Ilaria è nata e vissuta per anni, e il mare italiano. Il respiro del mare maltrattato, derubato, inquinato e il respiro dei pesci, cannibalizzati, vittime di un sistema-pesca industriale in mano a multinazionali, che lascia ai piccoli pescatori poco o nulla.
E’ un film,“Breath”, destinato a scuotere le coscienze perché ci fa capire, attraverso storie e testimonianze, quanto l’uomo distrugga ciò che gli dà vita. “Il 70 per cento del pianeta è formato da acqua e anche il 70 per cento del nostro corpo. Questo è il primo motivo per cui dobbiamo avere il massimo rispetto per il mare”, specifica, nel film, il biologo Silvio Greco.
Ilaria Congiu, regista, sceneggiatrice, giornalista, ha il mare nel cuore, ma sa che si è fatto sempre più spoglio e silenzioso. E teme che anche l’attività di suo padre, che in Senegal dirige un’azienda che esporta pesce congelato, contribuisca a questo depauperamento.
Gabbie volanti tonni
La regista aveva già scoperto, a bordo delle navi di Sea Shepherd, le “gabbie volanti” dei tonni. Migliaia di questi pesci trascinati dalla Calabria a Malta, costretti a percorrere 400 miglia in un mese. Per poi essere rinchiusi in “allevamenti”, in attesa di essere uccisi chiusi in una gabbia: “Vedendo quei tonni girare in tondo nelle gabbie che li trasportavano, mi sono sentita come loro. Parte di un sistema che gira su se stesso senza sapere dove stia andando a sbattere”.
Ilaria torna dunque a Dakar alla ricerca del pesce perduto, e per confrontarsi con il padre, che, invece, le spiega che lui compra il pesce solo dai locali che praticano la pesca artigianale, non dai pescherecci industriali che stanno svuotando l’oceano. Il genitore è amareggiato: “Internet, telefonini, luce, corrente, tutte cose che costano. Cosa distruggi per avere questo? La natura. Distruggi il rapporto fra uomo e natura”.

Ma scopre anche che in Senegal, Paese che viveva di pesca, non c’è quasi più pesce. Un muro, a Dakar, delimita la zona industriale: da una parte i pesci destinati all’esportazione, ai bianchi; dall’altra quelli per il consumo locale. Pochi e cari. L’esportazione è cresciuta a dismisura, quindi il Senegal non ha quasi più accesso al pesce locale, non se lo può permettere.
Licenze pesca per tutti
“Il Senegal ha rilasciato licenze di pesce a qualsiasi tipo di imbarcazione – spiega nel film Ibrahima Samb, collaboratore del padre di Ilaria- e si sono insediate tante aziende di congelazione e lavorazione. Per avere sempre più pesce e quindi più soldi nessuno si è posto dei limiti. Ma i soldi non si possono mangiare. Abbiamo stretto accordi anche con l’Europa, dove il pesce scarseggia, ma se continua così dovremo accettare la triste realtà che moriremo insieme al nostro Paese, perché siamo noi a sterminarlo col sovrasfruttamento”. (ndr. L’ accordo con la UE è stato revocato nel novembre 2024)

Colpisce, nel film, la differenza fra le piroghe usate dai pescatori locali e le grandi navi che utilizzano enormi reti a strascico e che prendono di tutto. “Quello che non viene commercializzato diventa cibo per i nostri animali domestici, il loro unico target è riempire le stive”, dice il biologo Silvio Greco.
Le specie vicine all’estinzione? Anche quelle vengono pescate, anzi sono più appetibili: le aziende le stoccano per poterle poi vendere a caro prezzo quando la specie sarà esaurita.
Non c’è più nulla
Colpiscono come echi del passato, invece, i volti solcati da rughe e bruciati dal sole dei pescatori tradizionali. Le loro sono parole di fatica e delusione: “Fare il pescatore oggi? Non lo farei mai più. Non c’è più nulla. La pesca non può dare nessun avvenire. Il mare è stato troppo inquinato, sfruttato. Troppe fogne ci sono in mare”.
“Stiamo portando in mare un’enorme quantità di contaminanti – continua il biologo Silvio Greco – ci sono isole galleggianti di plastica grandi quanto la Francia. Sul fondo del mare c’è un continente grande almeno quanto l’Europa. Il risultato è che noi ci mangiamo la plastica. Cinque grammi a settimana. Bene non fa”.
Poi l’allarme di Rym Benzina Bourguiba, fondatrice dell’associazione “La Saison Bleu”, “L’oceano ci dà il 50 per cento del nostro ossigeno. E’ il nostro polmone blu, le foreste sono quello verde. Noi stiamo distruggendo entrambi, ma sono gli alberi e le onde a farci respirare”.
Eppure il pesce l’uomo l’ha sempre pescato e mangiato e ormai l’industria ittica è una delle più importanti del mondo: “Un miliardo e 600 milioni di persone vivono solo di pesca. E’ facile dire ‘facciamo i sostenibili’, ma dobbiamo ragionare su chi nel pianeta non può fare il sostenibile. Se facciamo scelte sbagliate le pagheranno altri”, precisa il biologo Greco.
Molti interrogativi
Come conciliare dunque il mercato, il lavoro con la tutela degli oceani? Il film, ovviamente, non può offrire una soluzione. Ilaria Congiu racconta una realtà esplosiva. “Breath” pone tanti interrogativi e vederlo è uno choc. E le parole più giuste, forse, se si continua a depredare e a uccidere il mare, sono quelle del padre di Ilaria, Francesco Congiu: “Il mare si ripopolerà, ma si distruggerà prima l’uomo”.
Barbara Pavarotti
barbara.pavarotti@yahoo.com
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