E mentre in Europa si festeggia il Natale, in Niger i migranti sono abbandonati a sé stessi

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Mauro Armanino*
Niamey, Natale 2023

Mentre l’Europa è sempre più orientata a controllare, limitare, punire e organizzare le migrazioni qui, dall’altra parte del mondo chiamato creativamente Sahel, ci sono altre realtà con le quali fare i conti.

Niamey, capitale del Niger

C’è, per esempio, Emanuel, liberiano di nascita, che spesso passava a salutare, chiedere consigli e soprattutto aiuti. Non si vedeva da tempo perché imprigionato per un anno per una storia inverosimile. E’ stato rilasciato l’altro giorno per grazia ricevuta, per decongestionare il carcere civile di Niamey, la cui popolazione è cresciuta in modo insostenibile in questi ultimi anni.

Emanuel è sopravvissuto solo per via dei miracoli che si moltiplicano senza darlo a vedere da questa parte del mondo, poco strutturato per tali sventure. Ha dovuto pagare il “re” della cella per un posto letto di alcune decine di centimetri quadrati. Lavarsi era un’avventura occasionale.

Una delle prigioni di Niamey

Mentre in Europa si compra il Natale, spesso rinnegandolo nei fatti, ritorna alla ribalta dopo qualche mese Camara, originario della Costa d’Avorio. Espulso dal Marocco, dall’Algeria e poi gettato nel deserto, era sbarcato con l’intenzione di trovare se stesso tra i meandri della vita. Si trovava tra coloro che erano stati ripescati nel mare dalla guardia costiera marocchina. Aveva visto l’altra riva da lontano e da allora non l’ha più dimenticata. Dice che, una volta tornato al suo Paese, preparerà i documenti personali e di viaggio per partire regolarmente dall’altra parte. Cerca qualcosa con cui coprirsi dal fresco delle notti,  che passa nei pressi degli uffici dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM). Dice che non mangia da un paio di giorni e che, per imbrogliare lo stomaco, beve acqua a non finire. Attende un regalo per Natale.

Gli uffici di OIM a Niamey, Niger

Mentre in Europa ci si interroga su identità di genere e dove, in generale, il matrimonio è in cerca d’autore, passano a salutarci Celestine e Boa. Si sposeranno a fine mese in cattedrale a Niamey. Lei togolese e lui liberiano, con un figlio adottato nell’attesa di altri, che forse arriveranno da migranti come tutti, su questa terra che è diventata un esilio per troppe persone.

I due giovani si sono conosciuti in questo Paese, entrambi stranieri qui. Il Niger,  dopo essere stato per qualche giorno sulle prime pagine dei giornali e nei titoli di testa dei notiziari, è  tornato velocemente nella sabbia da dove viene. Non sarà certo il loro matrimonio a cambiare le sorti del colpo di Stato militare, che, fino ad oggi tiene in galera il presidente eletto dubbiosamente nel 2021.

Non ci sarà nessun viaggio di nozze visto che le frontiere sono ancor chiuse. Il riso degli sposi sarà messo da parte per la cucina.

Mentre in Europa si è smarrito il sentiero della vita e si è adottato l’effimero come unico orizzonte, arriva, trafelato, l’amico Khalifa, libico di origine. E’ scappato dal suo Paese per persecuzione religiosa, dopo aver scelto di diventare cristiano. Incarcerato, picchiato e minacciato di morte, è scappato in Algeria e da lì, è stato espulso come di prammatica dai militari. Infine è arrivato fortunosamente a Niamey e si è presenta all’ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR). Accolto dai funzionari riceve in cambio un foglio plastificato col nome, la data di arrivo , un numero di riconoscimento e poi più nulla. Non si allontana dall’ufficio che centralizza i servizi. Stanco di non mangiare e dormire, ha poi accettato di alloggiare nella casa degli amici del Togo. E’ passato a salutarci, perché pure lui non mangia da alcuni giorni e teme di dover rientrare nel suo Paese. L’essenziale per lui è il cibo e una croce al collo.

Mentre in Europa si fanno le guerre per procura, si investono sempre più soldi nella fabbricazione, l’acquisto e la vendita di armi. Nella tacita ipocrisia accettata e riprodotta da buona parte dei media compiacenti, ci si presenta al mondo come paladini del diritto e della pace. Nessuno ci crede più, perché promesse di giustizia, equità, solidarietà e bene comune sono state da tempo abbandonate o buttate al macero.

Qui si soffre per le conseguenze delle armi, guerre e geopolitiche in subappalto. Milioni di persone col diritto di vivere si trovano nella categoria degli sfollati, rifugiati, abbandonati, dimenticati e liquidati sull’altare di interessi politici, religiosi e soprattutto economici. Il Dio, preso come ostaggio da una parte o dall’altra dei poteri, sta coi bambini della Sierra Leone che qui non hanno neppure una mangiatoia.

Mauro Armanino

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*Mauro Armanino è un missionario
italiano impegnato a Niamey.
Collabora spesso con Africa ExPress

Il mio straniero è il mio dio: parola di un nigerino non pentito

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