Dossier Silvia/ Fondamentalismo religioso e democrazia, contraddizione in termini

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Speciale per Africa ExPress
Emanuela Provera
maggio 2020

Il contrario del fondamentalismo non è l’ateismo ma la fede; ben venga quindi la conversione di Silvia, ma essendo maturata in una condizione di prigionia e in uno stato mentale di paura, può essere autentica?

È difficile pronunciare una parola definitiva su Silvia Romano perchè abbiamo ancora poche informazioni e alcune sono sguaiate o immaginifere. Lo svelamento mediatico della sua “conversione” ha suscitato qualche domanda interessante: il fenomeno della conversione si limita ad una dimensione individuale soggettiva oppure riconduce ad uno spazio planetario che lega l’Oriente economico-religioso all’Occidente affaristico? E qual è il ruolo della politica rispetto al fondamentalismo religioso? Proviamo a rispondere.

La professione di fede

Il nostro ordinamento giuridico consente l’esercizio della professione di una fede religiosa, così come la sua propaganda con l’unico limite della contrarietà al buon costume . D’altro canto, non prevede alcuna tutela per gli individui che si sono convertiti ad una fede religiosa o ad un credo, in seguito a condizionamenti che hanno compromesso la loro libertà di pensiero. Come l’amore anche la fede è politica.

Il reato di plagio non esiste, più. Se Silvia scoprisse che la sua conversione non è stata sincera, scoprirà anche che non esiste una pena in qualche modo risarcitoria a carico di coloro che hanno indotto la sua scelta religiosa manipolando o costringendo il suo pensiero.

Quando, in Italia, notizie relative a casi di abuso psicologico arrivano in tribunale, non c’è niente da fare; il pubblico ministero può eventualmente condurre l’inchiesta per individuare una circonvenzione di incapace, una violenza privata, episodi di stalking, la presenza di una truffa; ma nessun caso di abuso spirituale o manipolazione mentale potrà essere perseguito, perché non ha alcuna rilevanza penale, seppure sia l’anticamera di comportamenti crudeli.

Condizionamenti psicologici

Questa situazione di improcedibilità (presente in alcuni stati) non ha mai impedito a giornali di tutto il mondo e all’opinione pubblica, più attenta, informata e sensibile, di prendere posizione in difesa di chi ha subito condizionamenti psicologici o abusi di potere, anche in assenza di reati contro il patrimonio. Lo sdegno che ne deriva non produce solo parole di indignazione ma anche il sorgere di associazioni o gruppi che si battono per arginare l’attività delle organizzazioni, le quali attraverso campagne proselitistiche e di reclutamento continuano ad attrarre giovani adepti, e lo fanno sostituendo l’autorità spirituale con l’esercizio del potere [spirituale].

Ma qui viene il bello: non sono gruppi terroristici di matrice islamista, sono per esempio i membri della “Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni” comunemente conosciuti come Mormoni, che per contenere il contagio da covid-19 hanno invitato credenti e non credenti a fare due digiuni mondiali il 29 marzo e il 10 aprile u.s., oppure sono confessioni religiose che siglano intese con lo Stato come, per esempio, le Assemblee di Dio in Italia (ADI) o l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG) e ciò avviene in ossequio alla libertà religiosa costituzionalmente garantita.

Comunione e Liberazione e Opus Dei

Cristiani quindi, e buddisti. E tra i cristiani si annoverano i movimenti ecclesiali provenienti dal mondo cattolico, come Comunione e Liberazione, l’Opus Dei, il Movimento dei Focolari, i Neocatecumenali, i Legionari di Cristo ciascuno dei quali ha ottenuto, nella Chiesa, una propria configurazione giuridica e una presenza non marginale all’interno del mondo politico e finanziario. Ogni gruppo ritiene di essere la manifestazione autentica di Gesù Cristo: «Questa non è la Chiesa di Joseph Smith (il fondatore dei mormoni, ndr) e neppure la chiesa di Mormon. Questa è la Chiesa di Gesù Cristo» . Ma se capita che il capo di un gruppo venga processato e dichiarato colpevole, i difensori della libertà di culto giurano che la condanna di uno solo “non fa dei suoi fedeli una massa di delinquenti come lui”.

È su questo terreno di forte divergenza delle opinioni in tema di persuasione coercitiva che interviene o dovrebbe intervenire la politica: da una parte gli studiosi favorevoli alla penalizzazione della manipolazione mentale, dall’altra quelli che la combattono strenuamente. È una battaglia che solo apparentemente ha scopi filantropici o ideologici, perché coinvolge il favore elettorale di importanti organizzazioni.

A coloro che si accostano con scetticismo ai movimenti abusanti capita di essere apostrofati addirittura come nazisti che accusavano gli ebrei di essere una setta; si auspica addirittura che siano processati: “…speriamo che un giorno ne debbano in qualche modo rispondere”, ha ribattuto una mia interlocutrice, che è ambasciatrice di pace di una associazione della Chiesa del reverendo Moon.

Sono gli apologeti dei culti, i quali ritengono che i nuovi movimenti contribuiscano all’integrazione religiosa nelle società democratiche e che i metodi utilizzati nella formazione dei propri membri siano solo leciti strumenti di persuasione; il plagio semplicemente non esiste perché ogni situazione di dipendenza psichica ed emotiva, come quella del rapporto tra due amanti, o tra genitori e figli è di per sé un po’ manipolativa e prevede uno stato di subordinazione affettiva, accettabile.

Persuasione coercitiva

Il sociologo delle religioni Massimo Introvigne riferisce di condividere la posizione di Robert Jay Lifton secondo cui «la persuasione coercitiva funziona se si accompagna alla carcerazione, cioè è praticata in un contesto dove ci sono barriere fisiche e non solo mentali che impediscono di scappare, di cui un campo di rieducazione cinese è un buon esempio». Introvigne concorda in particolare con Lifton nella «distinzione fra prigionia mentale (su cui si può discutere sul piano teorico ma che non può essere sanzionata penalmente perché la difficoltà di provarne l’esistenza apre agli arbitri) e prigionia fisica, con sbarre molto materiali. Il caso di Silvia Romano è il secondo».

Pianificazione geopolitica

Il tema della libertà religiosa apre sempre uno spazio di ambiguità laddove si trasforma in un alibi per nascondere obiettivi di pianificazione geopolitica. L’Occidente, con l’avvallo della Chiesa cattolica che, alla fine del secolo scorso, ha avuto un ruolo importante nella legittimazione dei nuovi movimenti, è un terreno che coltiva certi integralismi istituzionali che producono forme di populismo dalla chiara matrice estremista. Motivi sacri, come la sconfitta dell’ateismo, ma anche nobili istanze, più laiche, come la difesa dei diritti umani si intrecciano con il potere e i suoi apparati. Una storia vecchia come l’uomo ma dalle nuove configurazioni.

Sulle ceneri di un’Europa dei popoli sorge un primo ministro come Viktor Mihály Orbán in Ungheria o un presidente come Volodymyr Zelens’kyj in Ucraina.

Intrappolati dalla paura

E cosa dire del sodalizio che si è creato tra Donald Trump e il gruppo religioso Falun Gong? il movimento spirituale costituitosi negli anni ’90 che, anche in Italia, conduce una severa campagna anti-cinese; il gruppo utilizza come organo di stampa il giornale filotrumpiano The Epoch Times che dal 2017 ha raddoppiato le sue entrate.

Quello che potrebbe essere accaduto a Silvia Romano non è così distante da quello che, in Occidente, succede a chi resta intrappolato in sistemi che utilizzano la paura per l’esercizio del controllo. “La sua non è una scelta di libertà”, ha scritto Maryan Ismail in una lettera del 16 maggio 2020 indirizzata alla giovane volontaria; e se quella di Silvia/Aisha fosse stata (solo) una scelta personale e intima l’avrebbe comunicata, come scrive Cinzia Sciuto nel suo blog , con calma “dapprima ai familiari, con la serenità necessaria e senza il favore delle telecamere e dei fotografi”. Proprio questa esposizione ha fatto sì che il suo apparire con la divisa islamista (non era un abito somalo!) sia stato letto come una forma di propaganda politico-religiosa e sia stato avvertito addirittura come l’anticipazione di un programma eversivo.

Paura, di questo si tratta. La fede non c’entra. La privazione della libertà fisica, come nel caso di Silvia Romano e la fascinazione verso un leader religioso, come nel caso di giovani reclutati nei gruppi settari, diventano i momenti iniziatici di un programma esistenziale che si nutrirà progressivamente della paura e sul quale molte organizzazioni costruiranno vere e proprie strutture di dominio, ambienti dove tutto è permesso: dalla violenza nelle sue diverse forme, al traffico di esseri umani fino a quello delle armi o al contrabbando di avorio.

Senza escludere interessi “alla nostra portata” che vanno da cospicui conti in banca fino alla costruzione di enormi patrimoni finanziari. Ecco perché Silvia/Aisha è vittima due volte: la prima in quanto è stata privata della libertà con un atto di costrizione fisica, la seconda in quanto potrebbe essere stata indotta alla conversione in modo manipolativo e strumentale, all’interno cioè di un piano più grande che travalica la dimensione della sfera individuale.

Una pletora di esorcisti

La paura viene alimentata in modo strumentale, ed è l’esperienza comune di un lessico globalizzato: la paura del diverso è alimentata dalla politica, la paura del diavolo è utilizzata dalla religione (occidentale ma non solo) allo scopo di fornire un rimedio e trattenere a sé le persone che ci credono. L’Italia è il Paese con il maggior numero di esorcisti al mondo, e la sede dell’Associazione Internazionale Esorcisti [A.I.E.] costituita nel 1992 proprio in Italia.

Le sue attività principali consistono nella divulgazione della “dottrina ufficiale della Chiesa cattolica in merito alla possessione demoniaca” e nella formazione di nuovi esorcisti che solo attraverso il conferimento di uno specifico mandato autorizzato dal vescovo, possono esercitare il ministero.

Piace così tanto liberare le persone dal demonio che si registrano casi di “esercizio abusivo della “professione”. L’esistenza del diavolo (sulla cui fondatezza non entro nel merito) minaccerebbe la vita dei fedeli trascinandoli nel vortice dell’ateismo, della profanazione, del peccato. Ecco che il diavolo diventa un business: i corsi annuali dell’A.I.E. sono promossi dall’ateneo Regina Apostolorum gestito dai Legionari di Cristo e si svolgono a Roma presso la loro sede.

Bibbia e Corano

La Bibbia e il Corano, moltissime persone in buona fede che aspirano al paradiso: è questo lo scenario rassicurante che fa leva sui buoni sentimenti delle persone, le quali in un momento di difficoltà esistenziale si affidano ad un leader carismatico che le condurrà, attraverso un piano inclinato, a fare e a pensare cose che mai la vittima avrebbe pensato o fatto prima. Accade infatti che i familiari dei “convertiti” dichiarino di non riconoscere più il loro figlio/a, marito/moglie.

Quale probabilità c’è che una ragazza si converta alla religione islamica, essendo milanese di nascita, cresciuta nelle strutture di una città occidentale, partita per l’Africa magari atea, ma avendo interiorizzato i principi di una educazione cristiana cattolica? Lo abbiamo chiesto a Luigi Corvaglia «Le probabilità sarebbero tendenti allo zero se il riferimento fosse ad una esperienza, anche duratura, di semplice immersione nella cultura ospitante. Crescerebbero, ma non troppo, se questa ragazza fosse sottoposta ad un “indottrinamento” da parte di figure amicali o carismatiche.

Il quadro cambierebbe, invece, drammaticamente nel caso in cui quest’opera persuasiva fosse svolta in una condizione di isolamento, secondo modalità graduali e, soprattutto, in un quadro psicologico che muta sensibilmente il valore e la salienza di premi e punizioni, costi e benefici, come quando si rischia la vita. Ogni passaggio verso l’acquisizione della nuova identità verrebbe probabilmente compiuto in modo “volontario”, benché l’esito finale avesse possibilità minime di essere scelto all’inizio del processo».

A conclusione di questi pensieri suonano bene le parole di Alessandro Perduca che sui social, a commento di una notizia su Silvia Romano, ha scritto “La Jihad è un fenomeno più occidentale di quanto appaia sia nella genesi che nelle modalità di comunicazione e i riscatti servono anche a non avere attentati in casa”

Ma allora l’attenzione mediatica posta sull’abbigliamento di Silvia, sulla sua conversione, sulla religione non sarà un alibi per distogliere lo sguardo da altre questioni?

Emanuela Provera*
emanuela.provera@libero.it
twitter@dentrolod

*Emanuela Provera è stata numeraria (cioè dirigente) dell’Opus Dei. Conosce molto bene le pratiche dell’indottrinamento religioso e della soggezione verso organizzazioni fondamentaliste della Chiesa cattolica, di cui è diventata studiosa. Ha scritto per Chiare Lettere due libri in cui spiega pratiche di vita abusanti e il funzionamento dei centri di recupero per preti ‘in difficoltà’: “Dentro l’Opus Dei” e “Giustizia Divina”.

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