In cambio di licenze minerarie Putin invia armi all’esercito centrafricano: l’ONU acconsente

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Armi russe per il Centrafrica

Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 3 febbraio 2018

François sperava di trovare pace e tranquillità in Francia, un sogno che è stato infranto, perché Parigi gli ha negato la richiesta d’asilo. Il giovane era scappato dalla sanguinosa guerra civile che si sta consumando nella sua patria, la Repubblica centrafricana, dalla fine del 2012. Nel suo Paese temeva ogni giorno per la sua vita: veniva perseguitato sia dai miliziani anti-balaka (vi aderiscono soprattutto cristiani e animisti) che da quelli ex Séléka (formato per lo più da musulmani). Entrambe le fazioni lo vedevano come un traditore, perché sua madre è musulmana e suo padre, morto da anni, era cristiano. In un passato non molto lontano, musulmani e cristiani vivevano in armonia in questa ex colonia francese, solo con l’avvento della guerra civile le cose sono cambiate.

Da questo Paese, che ha dato i natali a Jean-Bedel Bokassa, conta poco meno di quattro milioni seicentomila abitanti, si fugge, si scappa si muore da ormai oltre cinque anni. Un conflitto interno che è anche basato su contrasti etnici, spesso accresciuti da superstizione e stregoneria. In un rapporto umanitario dello scorso anno si evince che quattro bimbi sono stati sequestrati e uccisi vicino a Bambari. I loro corpicini sono stati ritrovati privi degli organi interni, segno che qualcuno li ha espiantati e portati via, probabilmente per servirsene durante riti magici o satanici.

Nella relazione del 6 dicembre scorso messo a punto dagli esperti dell’ONU, si legge che questa guerra è generata da interessi economici. Gli scontri avvengono per lo più per la concorrenza negli “affari”. Traffici di armi, minerali preziosi sono piuttosto lucrativi, fanno gola a tutte le fazioni, perché vengono utilizzati per finanziare il conflitto.

Armi russe per il Centrafrica
Armi russe per il Centrafrica

Il 30 gennaio scorso, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha rinnovato all’unanimità fino al 31 gennaio 2019 l’embargo sulle armi imposto alla Repubblica Centrafricana con la risoluzione numero 2399 (2018). Dunque tutti gli Stati membri dovranno impedire e prendere le misure necessarie perché non vengano vendute o fornite armi direttamente o indirettamente al CAR. La risoluzione è estesa anche all’assistenza tecnica o formazione e qualsiasi aiuto finanziario o altro in relazione ad attività militari.

Eppure la Russia ha ottenuto una parziale abolizione dell’embargo. Nei giorni scorsi è atterrato all’aeroporto Bangui, la capitale della ex colonia francese, un IL-76 russo con un prezioso carico: fucili d’assalto, pistole e lanciarazzi RPG.

Poco tempo fa sono stati addestrati dall’Unione Europea due battaglioni dell’esercito centrafricano, milletrecento uomini; le armi russe faranno parte del loro equipaggiamento.

Faustin Archange Touadéra ha incontrato recentemente il ministro degli Esteri del governo Putin,  Sergueï Lavrov, a Sotchi, città nella Russia meridionale. Alla fine dei colloqui bilaterali è emerso che i due governi stanno avviando una stretta collaborazione. Mosca potrà godere di licenze per lo sfruttamento minerario, in cambio metterà a disposizione equipaggiamento industriale, materiale per l’agricoltura e altro. Insomma, anche il Cremlino, come molti altri Stati, è solamente interessato alle ricchezze del sottosuolo di questo povero Paese africano e, quando serve, come in questo caso, non esita chiedere appoggio all’ONU.

La crisi della Repubblica Centrafricana comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka (in maggioranza musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica della ex-colonia francese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra gli anti-balaka e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico, Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.

Il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU della Missione Multidimensionale Integrata per la Stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana. Le forze dell’Unione Africana del contingente MUNISCA, presenti con 5250 uomini (850 soldati del Ciad hanno dovuto lasciare il Paese qualche mese prima, perché accusati di aver usato la popolazione come scudi umani) affiancano le truppe francesi dell’operazione Sangaris. Il 31 ottobre 2016 la Francia ritira ufficialmente le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per ben tre anni.

Soldati francesi nella Repubblica centrafricana
Soldati francesi nella Repubblica centrafricana

E proprio diversi soldati della missione francese erano stati accusati di violenze sessuali su minori. Il tribunale di Parigi aveva aperto diversi fascicoli e indagato sulla vergognosa faccenda, ma proprio all’inizio di quest’anno è stato pronunciato l’inaspettato verdetto: non luogo a procedere . I giudici francesi hanno ritenuto che, in base agli atti acquisiti, non è stato commesso alcun abuso sessuale su minori nella Repubblica Centrafricana. E questo, in particolare, perché le testimonianze rilasciate dalle vittime erano contrastanti, gli atti giudiziari non hanno permesso di stabilire fatti circostanziali che avrebbero potuto accusare i militari. (https://www.africa-express.info/2015/04/30/centrafrica-militari-francesi-accusati-di-molestie-sessualiverso-minori/). Questo scandalo nei mesi seguenti aveva fatto cadere diverse teste nei vertici dell’ONU. https://www.africa-express.info/2015/08/12/scandali-sessuali-e-caschi-blu-si-dimette-il-capo-della-missione-dellonu-centrafrica/ e https://www.africa-express.info/2015/08/13/la-crisi-centrafricana-investe-anche-lonu-nel-caos-dopo-e-dimissioni-dellitaliana-che-si-occupava-di-diritti-umani/

Ancora oggi oltre ottocentocinquantamila persone non hanno ancora potuto fare ritorno nelle proprie case: 383.000 sono sfollati, mentre 468.000 hanno cercato rifugio nel Ciad, nel Congo-K, nel Congo Brazzaville e nel Camerun, che ha accolto oltre la metà dei cittadini centrafricani in cerca di protezione.  Secondo l’UNICEF, il quarantuno per cento dei bambini al di sotto dei cinque anni soffre di malnutrizione cronica e si stima che dal 2013 ad oggi tra sei e diecimila minori siano stati reclutati dai vari gruppi armati come bambini-soldato.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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