Speciale per Africa ExPress
Pino Nicotri
13 Luglio 2025
Chi sperava, me compreso, che si arrivasse almeno a un cambio di regime che abbattesse finalmente l’odiosa e molto repressiva teocrazia iraniana è rimasto deluso. Tanto più che lo stesso presidente Trump, fresco di bombardamenti assieme a Israele, ha tenuto a dichiarare esplicitamente che lui in Iran non vuole alcun cambio di regime https://forbes.it/2025/06/24/trump-frena-sul-cambio-di-regime-in-iran-sarebbe-solo-un-caos .

Trump ha così messo a nudo tutta l’ipocrisia di chi, da Netanyahu e i suoi ministri ai suoi supporter italiani ed europei, ha tentato di mascherare l’aggressione militare all’Iran anche come una iniziativa per la liberazione (https://www.corriere.it/esteri/25_giugno_14/netanyahu-rovesciare-ayatollah-iran-israele-3d33fdc4-77d8-4e51-b092-2687d2d27xlk.shtml) del popolo iraniano dal giogo della dittatura. Liberazione promessa come imminente (https://askanews.it/2024/09/30/netanyahu-agli-iraniani-presto-sarete-liberi/) già lo scorso anno.
Giacimenti petrolio e gas
La disgrazia dell’Iran è l’avere enormi giacimenti di petrolio e di gas, pari rispettivamente al 10 per cento e al 15 per cento delle riserve mondiali, giacimenti dei quali ha parlato con interesse nei giorni scorsi lo stesso Trump, che non vuole un cambio di regime anche per evitare danni strutturali o passaggi di mano nell’orbita russa o cinese di quegli immensi giacimenti di gas e oro nero.

Giacimenti che sono la disgrazia dell’Iran né più e né meno come per gli indigeni dell’America del Nord lo sono stati i giacimenti di oro giallo, in particolare del Klondike, e per gli indigeni dell’America del Sud quelli in particolare nel Venezuela, Brasile, Colombia e regione delle Ande. Abbondanza che ha portato allo sterminio di gran parte dei popoli indigeni da parte degli invasori e conquistatori europei decisi a impadronirsi ad ogni costo di quel tesoro.
Ai tempi dello scià Reza Palavi tutta l’industria petrolifera dell’Iran, ancora chiamato Persia, era in mano alle Sette Sorelle, nome creato da Enrico Mattei per indicare le compagnie statunitensi e inglesi – Exxon, Shell, BP, Chevron, Mobil, Gulf e Texaco – padrone di fatto dell’oro nero iraniano. Nel 1953 però il governo democraticamente eletto di Mohamed Mossadeq volle nazionalizzare l’industria petrolifera, pericolo scongiurato da USA e Inghilterra con un colpo di Stato. l’ “Operazione Aiax”. Il golpe uccise nella culla la neonata democrazia iraniana, portò in galera il capo del governo e instaurò una sanguinaria dittatura militare camuffata da monarchia assoluta dello scià.
Ritorno di Khomeini 1970
La repressione fu tale da provocare alla lunga, dopo 25 anni, un insurrezione popolare, che il primo gennaio 1970 portò al ritorno trionfale dopo 15 anni di esilio a Parigi dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Con conseguente creazione della repubblica islamica, regime teocratico tuttora al potere, fuga dello scià, fine della monarchia e inizio dei rapporti molto difficili con Stati Uniti e con Europa, che hanno tarpato le ali dello sviluppo economico e industriale iraniano con l’imposizione di dure sanzioni di ogni tipo, tanto alle esportazioni quanto all’importazione di qualsiasi investimento e tecnologia straniera.
Sulla via del fallimento
Soffocamenti ancora in corso a causa anche del regime teocratico, detestato non senza motivi, tanto dall’Occidente quanto dal mondo arabo. Con il 10 per cento delle riserve petrolifere mondiali e il 15 per cento delle riserve di gas, l’Iran potrebbe essere una superpotenza energetica come l’Arabia Saudita, e finanziarsi un impetuoso sviluppo produttivo anche industriale. invece oggi l’Iran lo si può considerare uno Stato capitalista sulla via del fallimento.
Quando sono stato in Iran una ventina di anni fa ho notato che c’erano cantieri ovunque, il Paese era chiaramente impegnato nello sviluppo quanto meno delle infrastrutture, cosa notata anche da miei conoscenti che ci sono stati in seguito. Per finanziare un tale sviluppo servono le centrali nucleari per produrre l’energia elettrica utilizzando l’atomo anziché il petrolio e il gas, in modo da poterne esportare il più possibile e procurarsi così i capitali necessari per finanziare il boom produttivo.
Donne in primo piano
L’Iran ha 90 milioni di abitanti e una gioventù numerosissima e vivacissima. Secondo stime recenti ( https://www.ilsole24ore.com/art/iran-donne-lottano-la-liberta-dell-intero-paese-AEZ0WtoC ) il 70 per cento della popolazione iraniana è sotto i trent’anni. E a trainare lo sviluppo e ammodernamento del Paese sono le donne, altamente qualificate: il 97 per cento è alfabetizzato, di questo 97% il 66% è composto da laureate. Come se non bastasse, il 70 per cento delle laureate lo sono in materie STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

La vera minaccia per la teocrazia sono le donne, le cui proteste e lotte per le libertà personali hanno provocato manifestazioni di massa represse nel sangue. Lo slogan “Donna, vita, libertà!” è stato e continua ad essere gridato nelle strade di tutto l’Iran, nelle aule scolastiche, nelle Università e nei luoghi di lavoro.
E’ chiaro che un tale Paese, che oltretutto ha più di tremila anni di storia e civiltà, se riuscisse a liberarsi dell’anacronistico giogo teocratico potrebbe diventare rapidamente – anche grazie al probabile ritiro di almeno parte delle pesanti sanzioni occidentali – il Paese più sviluppato del Medio Oriente musulmano: diventerebbe di fatto – paradossalmente assieme a Israele – il più occidentale come costumi, libertà, laicità e sviluppo.
Il tutto, in un’area geografica – Arabia Saudita intesta – dominata dal monopolio dell’islam wahabita, il ramo più fanatico e regressivo del mondo musulmano, nel quale la famosa e giustamente famigerata legge religiosa della Sharia rappresenta di fatto sia la costituzione che il codice penale.
E con la Siria caduta di recente in mano al gruppo di potere molto vicino all’ISIS, che oggi pare si sia dissociato in modo totale dallo Stato Islamico.
Ed è anche chiaro che se l’Iran potesse disporre liberamente di centrali nucleari per produrre energia elettrica evitando di dover bruciare fiumi di petrolio o gas, potrebbe esportare molto più oro nero e gas e finanziare così il proprio sviluppo economico e industriale.
Per parte sua Israele è molto più sviluppata e ricca dell’Iran, sia come prodotto interno lordo che, soprattutto, come reddito pro capite (l’Iran è solo al 144esimo posto nella classifica mondiale, Israele invece è molto più in alto), ma ha solo 7 milioni e mezzo di abitanti, 2 milioni e mezzo dei quali sono israeliani arabi o palestinesi mentre l’Iran di abitanti ne ha 90 milioni.
In opposizione con mondo arabo
E’ lapalissiano che un Iran liberato dalla camicia di forza della teocrazia, in pace con l’Occidente e quindi liberato anche dalle sanzioni di vario tipo, diventerebbe il Paese più importante del Medio Oriente.
Ecco spiegato perché in realtà nessuno, a partire da Trump, vuole un cambio di regime a Teheran. Agitando il pericolo che possa produrre bombe atomiche, all’Iran deve essere impedito di produrre energia elettrica con le centrali nucleari, anziché con quelle a petrolio e gas.
Forse è il caso di ricordare che per poter invadere l’Iraq senza troppa opposizione delle opinioni pubbliche del mondo, gli USA arrivarono ad affermare che il regime di Bagdad stava per produrre bombe atomiche, pur sapendo bene che era una affermazione assolutamente falsa. Una volta invaso l’Iraq dalla coalizione dei “volenterosi”, capitanata dagli USA e con una piccola partecipazione anche italiana, non si trovò la minima traccia non solo di bombe atomiche, ma neppure di uranio arricchito e non arricchito.
Pino Nicotri
pinonicotri@gmail.com
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