Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
di ritorno da Gaza City (Striscia di Gaza), 16 gennaio 2025
Mai la speranza è stata così segnata dalla fragilità. Le linee generali dell’accordo di un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono chiare da tempo. Il costo del ritardo è insostenibile.
Mentre si attende l’arrivo di domenica, giorno in cui il cessate il fuoco dovrebbe ufficialmente avere inizio, i bombardamenti a Gaza non si fermano.
Altri colloqui
A seguire, inizieranno i colloqui sulle fasi successive dell’accordo che prevedono il ritorno di altri ostaggi in cambio di un completo ritiro militare israeliano da Gaza.
E i problemi con questo piano sono già evidenti. Membri rilevanti della coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu – tra cui il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle finanze Bezalel Smotrich – sono evidentemente più interessati a un’occupazione permanente della Striscia di Gaza che al rilascio degli ostaggi.
Nessun ruolo per Hamas
Durante tutto il conflitto, il governo israeliano ha chiarito che non prevede alcun ruolo per Hamas in una Gaza post-conflitto.
Ma l’Autorità Nazionale Palestinese, ha scarsa credibilità tra i residenti di Gaza. Ciò lascia un interrogativo aperto su un futuro governo nell’enclave.
Immagine falsa
Una cosa è certa: Israele non sarà mai in grado di ripristinare la sua precedente immagine falsa e glamour che si era costruita a partire dagli anni ’50 e che aveva diffuso tra l’opinione pubblica occidentale.

Sarà per sempre nota come lo Stato genocida, selvaggio e di apartheid che sancisce sfacciatamente per legge che solo gli ebrei hanno diritto all’autodeterminazione nella terra di Palestina.
Stigma esteso
Lo stigma ricade su Israele ma si estende con prepotenza anche agli Stati Uniti e ai Paesi occidentali che sostengono Israele. Senza dimenticare i Paesi arabi sionisti che hanno normalizzato le relazioni con Israele e sono rimasti in silenzio.
Pochi sanno che: la resistenza armata palestinese a Beit Hanoun nelle ultime settimane ha generato un’enorme logoramento militare ed economico sulle spalle di Tel Aviv, i costi imposti all’esercito israeliano nel nord della Striscia di Gaza hanno scioccato la società israeliana.
Nessun antisemitismo
La guerra tra Israele e il braccio armato di Hamas non è un conflitto di religioni, come ha cercato disperatamente di dipingerlo la Comunità Internazionale, esasperando l’antisemitismo.
E’ una guerra coloniale tra un occupato e un occupante. E’ una guerra contro un governo coloniale, suprematista, razzista e genocida.
Una cospicua parte della società civile israeliana è rimasta nettamente contro la politica distruttiva di Netanyahu, non da ultimo perché ha esposto al mondo il brutto volto dello stato sionista e l’immoralità delle sue forze armate.
Prima dell’ottobre 2023
La storia non è iniziata nell’ottobre 2023. Il mondo avrebbe dovuto prendere atto di anni di orrore e condannarli in maniera massiccia invece di celebrarli o negarli.
Avrebbe dovuto capire che tutto è il risultato dell’espropriazione di un popolo, della negazione dei suoi diritti più elementari, della privazione della sua libertà e della sua disumanizzazione.
Ritenere che l’atto di massacrare i civili renderebbe la vita quotidiana dei palestinesi più accettabile è un’aberrazione.
Morire in silenzio
Ma pensare che questi stessi palestinesi accetterebbero di morire in silenzio perché il loro destino non interessa più a nessuno è una follia.
La guerra di Gaza è lo specchio di un mondo che sta morendo davanti ai nostri occhi. La guerra di Gaza segna la fine di un’illusione: quella di un desiderio occidentale, a volte sincero, di costruire un ordine internazionale basato su qualcosa di diverso dalla legge del più forte.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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