Questa la seconda puntata della traduzione dell’inchiesta della rivista online
The Intercept che smonta l’articolo del NEW YORK TIMES
del 28 dicembre scorso sugli stupri di Hamas a Gaza,
a firma di Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella.
L’articolo originale è qui:
https://theintercept.com/2024/02/28/new-york-times-anat-schwartz-october-7/?utm_medium=email&utm_source=The%20Intercept%20NewsletterDa The Intercept
28 febbraio 2024
Dopo le rivelazioni sulla recente attività della Schwartz sui social media, il suo nome non è più apparso sul giornale e non ha partecipato alle riunioni di redazione. Il giornale ha dichiarato che è in corso una verifica dei suoi “mi piace” sui social media. Quei “mi piace” sono violazioni inaccettabili della nostra politica aziendale”, ha dichiarato un portavoce del Times.
Lo scandalo più grande potrebbe essere il reportage stesso, il processo che gli ha permesso di essere stampato e l’impatto che ha avuto sulla vita di migliaia di palestinesi la cui morte è stata giustificata dalla presunta violenza sessuale sistematica orchestrata da Hamas che il giornale ha affermato di aver rivelato.
Un altro reporter frustrato del Times, che ha lavorato anche come redattore, ha dichiarato: “Molta attenzione sarà comprensibilmente e giustamente rivolta a Schwartz, ma questa è chiaramente una decisione editoriale sbagliata che mina tutto il grande lavoro instancabilmente svolto quotidianamente in tutto il giornale – sia legato che completamente estraneo alla guerra – in grado di sfidare i nostri lettori e di soddisfare i nostri standard”.
L’intervista podcast di Channel 12 alla Schwartz, che The Intercept ha tradotto dall’ebraico, apre una finestra sul processo di giornalismo della controversa storia e suggerisce che il compito del New York Times fosse quello di sostenere una narrazione predeterminata.
In risposta alle domande di The Intercept sull’intervista in podcast della Schwartz, un portavoce del New York Times ha fatto marcia indietro rispetto alla perentoria affermazione dell’articolo a dimostrazione che Hamas ha usato come arma la violenza sessuale. Il portavoce ha affermato in modo più morbido che “potrebbe esserci stato un uso sistematico della violenza sessuale”.
Il direttore del Times International, Phil Pan, ha dichiarato in un comunicato di essere a favore del lavoro. “La signora Schwartz ha fatto parte di un rigoroso processo di redazione e di reporting – ha affermato -. Ha dato un contributo prezioso e non abbiamo riscontrato alcuna prova di pregiudizio nel suo lavoro. Rimaniamo fiduciosi nell’accuratezza del nostro reportage e sosteniamo l’indagine del team. Ma come abbiamo detto, i suoi “mi piace” a post offensivi e d’opinione sui social media, precedenti al suo lavoro con noi, sono inaccettabili”.
Dopo la pubblicazione di questa storia, la Schwartz, che non ha risposto a una richiesta di commento, ha twittato per ringraziare il Times per “il sostegno alle storie importanti che abbiamo pubblicato”. Ha aggiunto poi: “I recenti attacchi contro di me non mi scoraggeranno dal continuare il mio lavoro”. In merito alla sua attività sui social media, la Schwartz ha dichiarato: “Capisco perché le persone che non mi conoscono si siano sentite offese dai “mi piace” involontari che ho messo il 7 ottobre e me ne scuso”. Almeno tre dei suoi “mi piace” sono stati oggetto di un’indagine pubblica.
Nell’intervista, la Schwartz descrive i suoi sforzi per ottenere conferma dagli ospedali israeliani, dai centri di crisi per gli stupri, dalle strutture per il recupero dei traumi e dalle linee telefoniche per le violenze sessuali in Israele, ma non è riuscita a ottenere una sola conferma da nessuno di loro.
“Le è stato detto che non c’erano state denunce di aggressioni sessuali – ha ammesso il portavoce del Times dopo che The Intercept ha portato all’attenzione del giornale l’episodio del podcast di Channel 12 –. Questo però è stato solo il primo episodio di violenza sessuale. Ed era solo il primo passo della sua ricerca. L’autrice ha descritto poi la raccolta delle prove, delle testimonianze e dei dati finali che dimostrano che potrebbe esserci stato un uso sistematico della violenza sessuale”, ha affermato il portavoce. “L’autrice ha descritto in dettaglio le fasi della sua ricerca e sottolinea i rigorosi standard del Times per corroborare le prove, e gli incontri con i giornalisti e i redattori per discutere le domande più spinose e riflettere criticamente sulla storia”.
La questione non è mai stata se il 7 ottobre si siano verificati singoli atti di violenza sessuale. Gli stupri non sono rari in guerra, e ci sono state anche diverse centinaia di civili che si sono riversati in Israele da Gaza quel giorno in una “seconda ondata”, contribuendo e partecipando al caos e alla violenza. La questione centrale è se il New York Times abbia presentato prove solide a sostegno della sua affermazione secondo cui ci sarebbero stati nuovi dettagli “che dimostrano che gli attacchi contro le donne non sono stati eventi isolati ma parte di un più ampio schema di violenza di genere il 7 ottobre”, un’affermazione contenuta nel titolo, che Hamas ha deliberatamente usato la violenza sessuale come arma di guerra.
Schwartz ha iniziato il suo lavoro sulla violenza del 7 ottobre dove ci si aspetterebbe, chiedendo informazioni alle strutture chiamate “Room 4” in 11 ospedali israeliani che esaminano e curano le potenziali vittime di violenza sessuale, incluso lo stupro. Per prima cosa le ha chiamate tutte e le hanno detto: “No, non è stata ricevuta alcuna denuncia di violenza sessuale”, come ha ricordato l’autrice nell’intervista in podcast. “Ho avuto molti colloqui che non hanno portato a nulla. Ad esempio, andavo in tutti i tipi di ospedali psichiatrici, mi sedevo di fronte al personale, tutti completamente impegnati nella missione e nessuno aveva incontrato una vittima di violenza sessuale”.
Il passo successivo è stato quello di chiamare il responsabile della linea diretta per le aggressioni sessuali nel sud di Israele, che si è rivelato altrettanto infruttuoso. Il responsabile le ha raccontato che non c’erano segnalazioni di violenza sessuale. La donna ha descritto la telefonata come una “folle conversazione approfondita” in cui ha chiesto casi specifici. “Qualcuno l’ha chiamata? Ha sentito qualcosa?”, ha ricordato chiedendo poi: “Com’è possibile che non l’abbiate fatto?”.
The Intercept
Dossier Gaza/3b – Continua
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