Dopo il Malawi, il governo del Kenya è pronto a inviare 1.500 operai agricoli in Israele

Il Kenya, in grave crisi economica e con un tasso di disoccupazione molto elevato, sfida il pericolo della guerra e manda i suoi giovani in Israele. Segue così la scia del Malawi. Altri Paesi, come Tanzania e Uganda, potrebbero dare seguito alle richieste di Israele

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Africa ExPress
8 dicembre 2023

Israele, a corto di mano d’opera nel settore agricolo dall’inizio della guerra contro i militanti di Hamas, ha chiesto ora aiuto ai Paesi africani. Dopo il Malawi, che alla fine di novembre ha già inviato più di 200 giovani nel Paese, con l’intenzione di reclutarne molti altri – qualcuno ha parlato di ben 5 mila – ora anche il Kenya ha accolto l’appello di Tel Aviv.

Il governo keniota pronto a inviare 1.500 lavoratori agricoli in Israele

Le autorità di Nairobi hanno annunciato di voler approfittare di questa occasione e sono pronti a inviare manovalanza nelle grandi aziende agricole israeliane, sguarnite di operai dalll’inizio del conflitto. Ai palestinesi è stato revocato il permesso di lavoro, mentre altri operai sono tornati nei loro Paesi di origine, come gli oltre 10mila tailandesi.

Certo, per gli africani il salario è allettante. Si parla di ben 1.500 dollari netti mensili, con un contratto della durata di tre anni, rinnovabile, se le parti lo desiderano.

Michael Lotem, ambasciatore di Tel Aviv, accreditato a Nairobi, ha rivelato ai reporter della BBC che il suo Paese intende reclutare altra manovalanza anche in Uganda, mentre in Tanzania la chiamata all’ingaggio è già iniziata. Eppure un tanzaniano, il 22enne Clemence Felix Mtenga, è morto dopo essere stato rapito insieme a un suo connazionale, Joshua Loitu Mollel, che è ancora nelle mani di Hamas.

Una settimana fa il ministero dell’Agricoltura di Tel Aviv ha fatto sapere che il Paese necessita tra 30 e 40mila operai con la massima urgenza nel settore agricolo. Ovviamente non è stata fatta menzione delle restrizioni nei confronti dei lavoratori palestinesi e non ha nemmeno parlato della partenza in massa di manodopera straniera dall’inizio del conflitto con Gaza.

Il ministro del Lavoro del Kenya, Shadrack Mwadime, a destra, con l’ambasciatore israeliano a Nairobi, Michael Lotem

Almeno 32 tailandesi sono stati uccisi, parecchi altri sono stati sequestrati dai militanti. E, secondo una inchiesta della BBC del 2018, in molte aziende agricole non veniva rispettata la sicurezza sul lavoro e non pagavano adeguatamente la manodopera. Le condizioni di vita dei poveracci, oltre a essere sfruttati, erano squallide e miserabili e l’emittente ha fatto menzione anche di decine di morti misteriose.

Pure Human Rights Watch aveva lanciato diversi allarmi sul trattamento riservato ai lavoratori stranieri nel Paese. Già allora Tel Aviv aveva respinto tutte le accuse, dichiarando che godrebbero dello steso trattamento dei loro colleghi israeliani.

Sta di fatto che ora il Kenya, secondo quanto dichiarato dal ministero del Lavoro di Nairobi, vuole venire in aiuto alle autorità israeliane con l’invio di 1.500 lavoratori.

L’annuncio delle autorità keniote ha suscitato pareri contrastanti, molti sono preoccupati per quanto riguarda la sicurezza e le condizioni di vita dei connazionali in Israele. Altri, invece, sono favorevoli all’accordo tra i due governi, perchè fornisce posti di lavoro indispensabili, visto che, in base ai dati della Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione in Kenya è del 5,5 per cento, per non parlare del continuo aumento del costo della vita.
A ciò si aggiunge che lo scellino keniota ha perso circa il 30 per cento del proprio valore contro dollaro e euro da quando Ruto è stato eletto nel 2022.

Lotem ha comunque assicurato ai reporter della BBC che i lavoratori agricoli stranieri non saranno collocati in aree vicine al conflitto e godranno della stessa protezione degli israeliani.

Un giovane del Malawi, contattato per andare a lavorare in Israele, ha detto di avere riserve per quanto concerne la sicurezza, “Anche se ci hanno assicurato che il conflitto non ha nulla a che fare con noi e ci hanno parlato di misure di sicurezza come rilevatori di missili e case sicure, non so se ci andrò. Negli ultimi tempi ho inviato oltre 300 email con richieste di impiego, non ho ricevuto riposte. Eppure ho un diploma e una laurea”. Ha confessato il malawiano alla BBC.

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