Alla ricerca di Adhan, il “quarto uomo” che ideò il sequestro di Silvia Romano

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Silvia Romano al tavolo con un gruppo di volontari.A capo tavola a sinistra Davide Ciarrapica. di Fronte Rama Hamisi Bindo

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Dal Nostro Inviato a Malindi
Massimo A. Alberizzi
Malindi, giugno 2019

A Nairobi sulla difficile vicenda di Silvia Romano, rapita in Kenya il 20 novembre, la polizia è in evidente difficoltà. A parlare con diversi investigatori si ha l’impressione che tutti sappiano chi sono i rapitori, ma che pochi siano a conoscenza dei mandanti.

Secondo notizie raccolte nella capitale keniota, in carcere ci dovrebbero essere tre persone (il condizionale è d’obbligo da queste parti): Ibrahim, un somalo che ha ottenuto la cittadinanza e il passaporto kenioti illegalmente; Gababa, un keniota di etnia orma e Moses Lwali Chende, un giriama, la tribù che sta sulla costa, che abita nel villaggio di Kwamwanza. Lui non è più in cella. E non è in carcere neppure la moglie, Elizabeth Kasena, del villaggio di Ghaba, accanto a Chakama, arrestata anche lei pochi giorni dopo il rapimento di Silvia. “La donna è finita in manette perché dal suo telefono sono partite chiamate ai numeri dei rapitori.

Moses invece è accusato di aver partecipato alla logistica del sequestro. Ha aiutato i banditi. Nei giorni immediatamente successivi al 20 novembre, ha portato cibo e altri generi di prima necessità a quelli che avevano prelevato la giovane volontaria italiana”, spiega a me e a Hillary Duenas, una collega americana presente, un giovane funzionario della polizia.

Silvia Romano

Elizabeth è stata liberata su cauzione dopo pochi giorni. Avevano fissato l’ammontare a 50 mila scellini (più o meno 500 euro) ma poi l’importo è sceso a 30 mila (300 euro). A Chakama una famiglia vive per un mese con 2 mila scellini, cioè una ventina di euro. Cinquecento o anche 300 euro sono una cifra abbastanza consistente. Anche Moses è uscito dalla galera dopo aver pagato una cauzione. Nessuno ha saputo dirci la cifra ma secondo alcune informazioni, che io e Hillary non siamo però stati in grado di verificare, sarebbe stato aiutato da alcuni amici. Moses infatti graviterebbe nel mondo del bracconaggio e i suoi “colleghi” non se la sarebbero sentita di abbandonarlo nelle mani della polizia.

Soprattutto l’arresto di Elizabeth ha destato parecchio stupore tra lo staff di Africa Milele, l’organizzazione per cui Silvia lavorava. La ragazza e la sua famiglia, infatti, sono state in passato beneficiari dei progetti della Onlus. Lei, poi, aveva con  Silvia un rapporto quotidiano, la giovane italiana infatti andava a mangiare ogni giorno al Chakama Cafe dove Elizabeth lavorava.

Notizie su Moses sono invece più difficili da reperire, chi ha fornito la sua foto e ha cercato di avere maggiori dettagli teme qualche ritorsione, ma è certo che anche se la polizia kenyana riferisce del loro stato di arresto attuale, i due giovani sono invece liberi e rientrati nell’area di Chakama.

Silvia Romano

Racconta un altro ispettore della polizia keniota: “Con le nostre indagini abbiamo accertato che i tre ubbidivano agli ordini di un capo, un certo Adhan, l’uomo che ha pianificato il sequestro: Adhan è stato per ben tre volte a Chakama e ha dormito nella guest house Togo, di fronte a quella dove abitava Silvia. Testimoni ci hanno raccontato che non aveva molto da fare e ci siamo convinti che fosse andato lì per controllare la situazione. Abbiamo messo assieme i dati dei tre con quelli di Adhan e abbiamo visto che c’erano evidenti connessioni. Adan è ricercato, ma è sparito”.

Anche l’attacco, ci racconta l’ispettore, è stato anomalo: “Non sono stati usati mitra kalashnikov o armi lunghe, ma solo pistole e una granata lanciata a terra. Le persone sono state ferite per le schegge. Per questo abbiamo subito escluso il terrorismo internazionale di matrice somala”.

Le indagini degli investigatori del Kenya non si concentrano però nell’entroterra di Malindi, Chakama e i villaggi vicini. Sotto osservazione anche il lavoro che Silvia aveva fatto all’orfanotrofio di Likoni di Davide Ciarrapica e del suo socio Rama Hamisi Bindo, l’Hopes Dreams Rescue Sponsorship Centre.

Racconta un’amica di Silvia: “Durante il suo primo viaggio in Kenya, Silvia era stata nel villaggio di Davide e all’inizio era contenta. Poi i loro rapporti si erano guastati. Silvia mi telefonava la sera molto costernata perché lui la trattava male e la insultava. Quasi ogni sera andava a ballare, tornava ubriaco portandosi dietro una ragazza diversa. Urlava come un pazzo ed era attaccato ai soldi. Le aveva anche chiesto di pagare di tasca sua un viaggio che era stato organizzato per i ragazzi del Centro. Quando Silvia è stata portata in ospedale per una piccola operazione alla spalla, lui l’ha mandata sola e non l’ha neanche accompagnata.  Lei c’è rimasta molto male. La trattava con un certo disprezzo. L’ultima volta, il 5 novembre, Silvia è tornata nel Centro ma solo per salutare i bambini ed i suoi amici”. Ed era stata accolta con freddezza e disappunto.

Massimo A. Alberizzi
twitter @malberizzi

Ha collaborato
Hillary Duenas

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