Malawi: le miniere hanno portato fame e povertà

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 6 ottobre 2016

Nagomba non è più giovane, fra poco compirà settantaquattro anni. Ogni mattina si alza all’alba per andare a prendere l’acqua al fiume. Malgrado i dolori all’anca, cammina con passo sicuro, veloce. Mezz’ora di marcia , un pochino di più per tornare, l’acqua pesa. L’anziana signora vive sulle sponde del lago Malawi.

Sarebbe ben più semplice attingere dal pozzo, vicino a casa, “ma questa è cattiva, fa male, non si può nemmeno utilizzare per lavarsi”, spiega Nagomba.

Qui l’acqua non è mai stato un problema prima che scoprissero le miniere di carbone. “Avevo dei rubinetti proprio vicino a casa mia – racconta l’anziana signora e aggiunge – avevo l’acqua corrente in cucina e in bagno. Poi un giorno sono arrivati i camion, appartenevano alla compagnia che gestisce le miniere. Con il beneplacito del governo, hanno preso la mia terra e la mia casa e ci hanno costretto  a spostarci a sud del confine del bacino carbonifero. Hanno raso al suolo tutte le case e le tubature dell’acqua”.

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Tutto ciò succedeva più o meno nove anni fa. Nagomba e i suoi vicini avevano sperato che le miniere avrebbero portato progresso e sviluppo, invece hanno procurato solo dolori, disagi e pericoli.

Da oltre dieci anni il Malawi, uno dei Paesi più poveri al mondo, ha promosso investimenti privati nel settore dell’estrazione mineraria, per diversificare l’economia, basata soprattutto sull’agricoltura. Karonga, dove vive anche Nagomba, è situato sulla sponda occidentale del Lago Malawi. Lì si trovano una miniera di uranio e due di carbone. Queste miniere dovevano rappresentare  il banco di prova dell’industria mineraria. Il governo aveva annunciato che grazie alle miniere ci sarebbero stati molti nuovi posti di lavoro e che la qualità della vita dei residenti sarebbe migliorata. Sono state fatte molte altre promesse, come la costruzione di scuole, ospedali, nuovi pozzi d’acqua potabile. Nulla di tutto ciò si è tradotto in realtà.

Una scarsa applicazione delle leggi esistenti e una politica poco vigile, poca trasparenza e il non coinvolgimento delle comunità locali ha lasciato la popolazione residente senza protezione alcuna. La gente è stata abbandonata, tenuta all’oscuro dei propri diritti. Nessuno è stato informato dei rischi quotidiani  causati dall’attività mineraria. Le società minerarie non devono rendere conto a nessuno di eventuali devastazioni ambientali e/o altro.

Nagomba deve provvedere a tre nipoti, oltre che prendersi cura del vecchio e malato marito. Prima di essere costretta a lasciare la sua casa, vivevano grazie ad un piccolo appezzamento di terreno molto fertile. Era convinta di ricevere un mucchio di soldi, un risarcimento cospicuo. Invece il denaro per l’esproprio non era nemmeno sufficiente per la costruzione della nuova casa. La famiglia ha dovuto vendere due mucche per terminarla. Per il terreno non ha visto nemmeno l’ombra di un quattrino. Era di proprietà del governo, anche se veniva coltivato da sempre dalla sua famiglia, dei suoi avi prima di lei, ma non era in possesso di alcun documento che potesse dimostrare che fosse suo.

La storia di Nagomba è una storia nella storia. E’ la fine che hanno fatto tutte le famiglie dell’area, anzi, alcune hanno dormito per settimane sotto un albero prima di poter andare in una casa nuova. Spesso non bastavano i soldi, non sapevano come procuraseli per terminare l’abitazione.

Nel 2015 le miniere sono state chiuse. L’area non è stata bonificata. La terra, una volta fertile, ora produce poco o niente. Ogni volta che piove, l’acqua che scorre giù dalle miniere è scura, acida e penetra nel terreno. Prima del loro arrivo qui si coltivava grano, riso e cassava. Ora non cresce nulla. La gente è povera, non può permettersi di comprare il cibo. Nagamba precisa: “Dobbiamo coltivare ciò che mangiamo. La nostra acqua è inquinata. Hanno distrutto la nostra terra e ci hanno lasciato con niente. Rischiamo di morire di fame”.

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Le comunità locali hanno chiesto alla compagnia mineraria di bonificare l’area. Si sono anche rivolti al commissario distrettuale. Ma stanno ancora aspettando risposte. Ora temono anche per la loro salute e dei loro animali.

Il governo malawiano ha mosso alcuni passi nella giusta direzione negli ultimi mesi, riconoscendo l’assoluta necessità di bonificare l’area, cosa che ha chiesto alla compagnia mineraria. Finora questa non ha mosso nemmeno un dito.

“Non ho mai avuto problemi nella mia vita”,precisa Nagomba, riferendosi ai tempi passati, quando aveva abbastanza cibo e acqua potabile.  E aggiunge: “La compagnia mineraria mi ha portato molti problemi. Dopo nove lunghi anni, durante i quali tutti noi abbiamo sofferto la fame e senza protezione del governo, ho poche speranze che le cosse possano migliorare. Il tempo è scaduto. Non ci rimane che attendere di andare nelle nostre tombe”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

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