A Beirut si vive nella paura dei bombardamenti israeliani

Difficili operazioni di disarmo, specie nel quartiere sciita Dahiyeh, dove vive e prospera Hezbollah

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Speciale per Africa ExPress
Giovanni Verga
Beirut, 23 settembre 2025

Non c’è pace in Libano. A oltre un mese dall’inizio dell’operazione di disarmo di Hezbollah e delle altre milizie armate decisa dal governo, la situazione nel Paese è più che mai incerta e confusa.

La consegna delle armi è iniziata in alcuni campi profughi e prosegue lentamente, ma le resistenze sono ancora molto forti.

Libano: inizio disarmo deciso dal governo

A Dahiyeh, il popoloso e reietto sobborgo sciita a sud di Beirut roccaforte del Partito di Dio, dove si deciderà buona parte delle sorti dell’operazione, si vive un’atmosfera di rabbia e di resistenza.

Bombe da 2000 libbre

Sono quegli stessi sobborghi su cui lo scorso ottobre piovvero bombe da 2000 libbre per annientare le basi di Hezbollah: qui non solo non si parla di ricostruzione, ma le violazioni della tregua sono all’odine del giorno. E’ un quartiere enorme e popolatissimo eppure è una città fantasma, con file di edifici sventrati, quasi nessun servizio pubblico, pochissime attività commerciali, e una vita quotidiana nella paura.

Beirut: sobborgo filo Hezbollah di Dahiyeh

Rana Ali Mahdi, responsabile del Social Development Center “Eid Al Adha” di Bourj al-Barajne, uno dei molti quartieri di Dahiyeh dove c’è uno dei più grandi campi profughi palestinesi del Libano, spiega che in quell’area grande come due o tre medie città italiane, non esiste un qualsiasi spazio pubblico o un servizio sociale funzionante.

Psicosi attacchi improvvisi

Ma oltre alla mancanza di condizioni minime di vita c’è la psicosi dell’attacco improvviso: “Quando è arrivato l’ultimo grande raid tre mesi fa – racconta Rana – sui nostri cellulari è arrivata la chiamata di un portavoce dell’esercito israeliano che avvisava di sgomberare immediatamente alcuni palazzi. La gente in massa si è riversata per strada. A piedi, in scooter (in tre o quattro con bambini) o in auto hanno raggiunto la vicina superstrada, che collega all’aeroporto di Beirut, già più volte bersagliata da quando era partita la prima offensiva nella capitale”.

Poco meno di un’ora dopo è arrivato l’attacco, devastante. Alla fine della serata il bilancio era di 270 appartamenti distrutti, nove edifici polverizzati, 71 altri danneggiati oltre a 177 attività commerciali.

“E’ una strategia voluta per prostrare la popolazione e obbligarci ad andarcene – spiega ancora -. Non ci danno più di 20 o 30 minuti prima di iniziare a bombardare. Chi vive qui non ha il tempo di scappare. Come si può fuggire da casa propria, con i familiari, le proprie cose, i propri beni in meno di un’ora, sapendo che al ritorno si potrebbe ritrovare tutto in macerie?”.

Beirut, sobborgo di Dahiyeh

E’ un fatto che da ottobre scorso migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case. Per dove? C’è chi va da parenti in zone sicure come Mount Lebanon o in rifugi che sono stati allestiti da volontari. Ben pochi infatti hanno denaro per affittare una stanza.

Indebolire resistenza

Rana, come quasi tutti qui, sostiene che gli obiettivi degli attacchi siano un pretesto. ”Noi crediamo che vengano lanciati questi raid all’improvviso per fiaccare la nostra resistenza, tenendoci nel timore continuo di perdere tutto. Anche se la tua casa non viene colpita, tu e tutto il quartiere ti senti destabilizzato”.

Dahiyeh è da decenni una spina nel fianco di Israele. Proprio qui una ventina d’anni fa è nata la strategia israeliana nota come “Dottrina Dahiyeh “, applicata costantemente da allora in vari scenari di guerra, che prevede di adottare deliberatamente una “forza sproporzionata” contro obiettivi civili con l’intento di spingere la popolazione a rivoltarsi contro Hezbollah o ad andarsene.

Una tattica di “combattimento asimmetrico”, motivato da un nemico che non ha un vero e proprio esercito regolare ma che è profondamente radicato all’interno della popolazione civile. Tuttavia sembra che i risultati siano opposti: ogni volta che la città viene colpita in questo modo, il sostegno ai combattenti aumenta, tanto che quando il quartiere fu quasi raso al suolo nel 2006 il consenso salì alle stelle, e alle ultime elezioni amministrative di maggio il Partito di Dio ha avuto un notevole successo, qui e  nel sud del Libano martellato dai bombardamenti.

Famiglie allo stremo

“Quelli che sono rimasti – commenta Rana – tengono costantemente sotto occhio il contatto del portavoce dell’esercito su X o sul telefono. Noi qui subiamo la doppia pressione della tattica israeliana per esasperarci e del collasso dell’economia che ha vanificato i risparmi e portato ad un’inflazione a due zeri”.

Le famiglie sono allo stremo, ma nonostante la perdita del senso di sicurezza e le voragini lasciate dai palazzi bombardati, gli abitanti di Dahiyeh sembrano determinati a non cedere. “Lo stress economico e la mancanza di sicurezza ci hanno prostrato, ma non ce ne andiamo – dicono Mariam Ballout e Khaldieh Al Khatib, due madri del quartiere -. Il nostro problema principale sono i bambini, che non hanno le condizioni minime per crescere e crearsi un futuro. Sono colpiti in ogni campo, familiare, sociale, scolastico, amicale.

Quelli  rimasti senza casa per i bombardamenti devono aiutare i genitori e portare qualche soldo per sopravvivere. E in questa situazione di certo non possono arrivare aiuti o sostegno da parte del governo, legati alla consegna delle armi. Il disarmo di Hezbollah è stato messo in capo all’esercito libanese, ma noi non crediamo che ci riuscirà”.

Anche le organizzazioni religiose non sciite hanno molti timori. Padre Jihad Krayem, francescano della Custodia di Terrasanta in Libano nel centrale quartiere di Asharief, dove all’opposto di Dahiyeh c’è un fervore di cantieri e un commercio vivace, ha visto tutte le fasi del declino del Libano negli ultimi decenni e non vede una soluzione vicina.

Aerei e droni a bassa quota

“L’impegno di consegnare le armi, previsto già dalla tregua in cambio della fine delle incursioni, è poco credibile.  Qui a Beirut noi sentiamo ogni giorno droni e anche aerei militari che sorvolano a bassa quota, contrariamente a quanto stabilito dagli accordi. Ma c’è un’altra lezione che tanti non hanno dimenticato, e che riporta indietro agli anni più bui del Libano”, spiega il religioso.

“La consegna delle armi da parte delle milizie sciite – è il suo pensiero – dovrebbe avvenire spontaneamente, non  essere imposta dalle forze armate come accadde nel 1975 con i miliziani dei campi palestinesi. Ma dev’essere chiaro che non è realizzabile il piano israeliano di voler estirpare con la forza il partito di Dio da questi quartieri. Quasi tutte le famiglie lì hanno un familiare, un fratello, un figlio in qualche modo legato a Hezbollah, e centinaia sono morti. La popolazione non si sente protetta dallo Stato, in queste condizioni continuerà a volersi difendere da sé”.

Giovanni Verga
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