Speciale per Africa ExPress
Franco Nofori
Torino, 14 aprile 2019
Il dato, per quanto sbalorditivo, è assolutamente ufficiale poiché desunto da un comunicato della Commissione per la Sanità Pubblica del distretto di Nairobi: delle 9043 cliniche ospedaliere, esistenti nel territorio della Contea, solo 1079 possiedono la licenza e i necessari requisiti previsti dalla legge per operare. Ciò significa che ben 7964 cliniche agiscono illegalmente, senza poter garantire un’adeguata assistenza medica ai propri pazienti e mettendo quindi a rischio la loro vita.
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Si tratta di strutture sanitarie che operano da anni, sotto gli occhi di tutti e in totale spregio alle normative sanitarie previste dalla legge. Come possono essere sfuggite finora al controllo delle competenti autorità distrettuali? La domanda è ovviamente retorica giacché ogni attività illecita che si svolge indisturbata in Kenya, può farlo grazie all’endemica corruzione che è più forte delle leggi e dello Stato che le ha promulgate. Qui, però, non si tratta solo di fare indebita incetta di denaro; si tratta di mettere a serio rischio la salute dei cittadini.
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La pubblica assistenza sanitaria, nel Paese, è in uno stato di completo sfacelo. Riferendosi alla sola capitale, si rileva che una mega-metropoli, che conta quasi dieci milioni di abitanti, è servita da un’unica struttura pubblica: il Kenyatta General Hospital, coadiuvata da un certo numero di dispensari, in prevalenza condotti da personale paramedico, che fornisce meri servizi d’emergenza, somministrando aspirine, perché ogni altro farmaco o esami che si rivelassero necessari, restano a esclusivo carico dei pazienti. Era quindi fatale che, per sopperire a tali lacune, sorgessero ogni dove strutture sanitarie private, molte delle quali, prive dei necessari requisiti professionali per operare.
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Lo scandalo delle cliniche illegali è esploso in questi giorni a seguito della morte di Caroline Mwatha, un’attivista per i diritti umani, deceduta nel febbraio scorso, presso la clinica New Njiru Community Centre nel quartiere di Dandora, dove – a seguito di una gravidanza indesiderata – era stata ricoverata per un aborto volontario. La clinica in questione è una di quelle sotto accusa per aver condotto attività sanitarie illegali. Stando agli accertamenti svolti dalla polizia, la giovane attivista sarebbe deceduta a causa dell’emorragia conseguente all’intervento abortivo che, contro ogni responsabile criterio medico, era stato eseguito quando la donna era già al quinto mese di gravidanza.
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Indiziati di aver eseguito l’intervento, contro il pagamento di circa cinquanta euro, sono la levatrice Betty Akinyi Nyanya e il sedicente medico, Michael Onchiri. Il denaro necessario all’aborto sarebbe stato inviato a Caroline dal suo boy-friend, Alexander Gitau Gikonyo di Isiolo, il quale, in accordo con la vittima, non gradiva potare a compimento la gravidanza in atto. Dopo il decesso, il corpo di Caroline è stato portato in tutta fretta e in forma anonima all’obitorio di Nairobi, con il nome fittizio di Carol Mbeki, ma le investigazioni svolte hanno portato poi alla reale ricostruzione dei fatti.
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L’avidità, come avvenuto in questo caso, è quasi sempre alla base di scelte illecite e pericolose. Sembra tuttavia assurdo che per la misera somma di cinquanta euro, si rischi di mettere a repentaglio una vita umana. Eppure, causa la dilagante povertà della maggior parte del popolo keniano, la scelta della struttura medica cui rivolgersi, è più spesso determinata dal prezzo, più che dalla qualità. Qualità che peraltro esiste anche tra gli ospedali privati, come l’Aga Khan Hospital e il Nairobi Hospital, ma a costi, bassi se paragonati a quelli europei, tuttavia accessibili a pochi in Kenya.
Di fronte a queste situazioni è oggettivamente difficile non domandarsi se il grande indebitamento del Kenya, per la realizzazione di avveniristiche infrastrutture, non poteva anche tener conto della salute dei propri cittadini e destinare, almeno una parte di questi investimenti, alla creazione di un adeguato sistema sanitario pubblico, che resta invece delegato alle lucrose iniziative private.
Franco Nofori
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