Quando si difende l’ambiente seriamente: in Ruanda vietati i sacchetti di plastica

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Speciale per Africa ExPress
Marco Simoncelli
Milano, 29 giugno 2017

I popoli e gli ecosistemi africani sono forse i più colpiti dai fenomeni metereologici causati dai cambiamenti climatici, pur non essendone direttamente responsabili. Nonostante ciò alcuni Paesi del continente negli ultimi anni hanno dimostrato di voler attuare politiche e iniziative ecosostenibili e di essere anche in grado di farlo efficacemente.

Il Ruanda ad esempio è sicuramente fra i paesi più virtuosi in questo senso e lo ha dimostrato. Assieme al Marocco sta diventando la nazione africana più attenta all’ambiente e pronta a ospitare startup innovative nel campo delle energie rinnovabili. Non a caso lo scorso ottobre ha ospitato la Conferenza di Kigali in cui è stato siglato un accordo storico da 150 nazioni per rinunciare con gradualità all’uso degli idrofluorocarburi (Hfc) (quelli utilizzati negli impianti che producono freddo) allo scopo di limitare l’effetto serra (la firma seguiva il Protocollo di Montréal, firmato nell’87).

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Ma questa propensione a uno sviluppo nazionale in armonia con la tutela dell’ambiente si è manifestata anche con iniziative semplici e concrete come l’eliminazione completa dei sacchetti in polietilene non biodegradabili, gli shopping bag di plastica. Le istituzioni di Kigali li ha dichiarati illegali nel lontano 2008 quando il resto del mondo a malapena iniziava a considerare un tassa sulle buste monouso adoperate dei supermercati.

In questo campo il piccolo paese della regione dei Grandi Laghi è un precursore. Non è casuale che un paio di settimane fa a Bologna, in occasione di un incontro promosso dai governi italiano e francese a margine delle riunioni ministeriali del G7 Ambiente, il Ruanda sia anche entrato a far parte della coalizione “Stop Plastic Waste” lanciata alla Cop22 di Marrakech. Un’iniziativa che ha l’obiettivo di ridurre l’inquinamento di rifiuti di plastica nel mare e, in particolare, l’eliminazione dei sacchetti di plastica monouso in tutti i paesi. Ad oggi fanno parte della coalizione 13 paesi: Italia, Francia, Marocco, Cile, Principato di Monaco, Mauritius, Svezia, Bangladesh, Australia, Senegal, Croazia, Paesi Bassi e ora il Rwanda che però ha già iniziato il processo da molto tempo.

Pochi giorni fa il mondo ha celebrato la Giornata mondiale dedicata all’ambiente e mai come in questo periodo il tema è entrato al centro dell’agenda politico-mediatica internazionale, specialmente dopo la recente decisione del presidente statunitense Donald Trump di voler abbandonare l’accordo sul clima firmato da 195 paesi durante la Cop 21 di Parigi nel 2015.

La lotta ai rifiuti in plastica è cruciale, soprattutto in Africa dove in molte grandi città, in cui non esiste un sistema di riciclaggio e differenziazione, vere e proprie montagne di rifiuti plastici si ammassano ai lati delle strade o dentro i canali di scolo di fiumi e ruscelli. Oltre a impattare sulla sanità pubblica, questi rifiuti generano altri pericoli. Durante la stagione delle piogge non è raro che nei centri urbani si verifichino inondazioni a causa dei rifiuti che ostruiscono canali di scolo e sistemi fognari.

Poi c’è da considerare l’inquinamento a livello globale soprattutto delle acque di fiumi, laghi e oceani. Nel mondo, ogni anno, vengono prodotti circa 300 milioni di tonnellate di plastica e di questi circa un terzo viene abbandonato nell’ambiente. Secondo un dossier presentato a Davos durante il Forum economico mondiale a inizio 2017, finirebbero in acqua almeno 8 milioni di tonnellate di plastica all’anno.

Nei mari di tutto il mondo oggi ci sarebbero oltre 150 milioni di tonnellate di materie plastiche che avvelenano l’acqua divenendo minuscole particelle che uccidono flora e fauna, che rappresentano fonti di sostentamento indispensabili.

A Kigali si sono resi conto tempo fa della vulnerabilità africana dal punto di vista ambientale. Così hanno cambiato rotta iniziando a favorisce un’economia in grado di sopportare un clima che cambia. Ad oggi, i ruandesi utilizzano solo sacchetti di carta, borse di tela o altri contenitori tradizionali realizzate con stoffa, foglie di banano e papiri, il che ha anche creato delle opportunità per gli imprenditori locali che hanno dovuto convertire la produzione investendo in materiali di imballaggio sostenibili.

E il supporto non è mancato perché il Ruanda ha anche istituito il “Fondo Verde” allo scopo di finanziare i migliori progetti pubblici e privati che siano in grado di sostenere la costruzione di un’economia verde. È uno dei più importanti in Africa e ha veicolato circa 100 milioni di dollari fino ad oggi.

Ovviamente gli investimenti e le iniziative andrebbero concentrati maggiormente nel sistema di smaltimento e gestione dei rifiuti, ma quello del “paese dalle mille colline”, come viene anche chiamato il Ruanda, è il primo passo. Kigali ha fatto da battistrada partendo dai semplici sacchetti di plastica, ma ora anche altre nazioni del continente iniziano a seguire.

La Tanzania ha annunciato l’intenzione di vietarli dal gennaio dell’anno prossimo mentre il Kenya in marzo ne ha vietato produzione, importazione e utilizzo a partire dal prossimo settembre. Qualcosa si muove.

Marco Simoncelli

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