EDITORIALE
Barbara Ciolli
10 gennaio 2017
Dopo le visite lampo in Tunisia e a Malta il ministro dellโInterno italiano Marco Minniti รจ volato a Tripoli per rafforzare la collaborazione con la Libia, soprattutto nella lotta allโimmigrazione (si afferma โdi irregolariโ) e al terrorismo. Sul tavolo ci sono prima di tutto accordi bilaterali, e in prospettiva con lโUnione europea, che il governo Gentiloni fotocopia del governo Renzi punta a siglare il fretta e furia anche con diversi Paesi dellโAfrica centrale per rispedire indietro i migranti o bloccarli allโimbarco sulle carrette del mare.
A dare man forte a Minniti รจ scesa in campo il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che in unโintervista ai media, con il suo solito impeto ha esortato la Libia a passare alla โfase 2โ della missione UE anti-scafisti capitanata dallโItalia: โOra bisogna sostenere la guardia costiera e la marina libiche, dopo la fase iniziale dellโaddestramento, a controllare le navi nelle loro acque. La lotta agli scafisti non va fatta in acque internazionali ma in acque libicheโ. Come dire, colpire e affondare, loro e un po’ anche noi.

Al termine del colloquio con il premier libico di unitร nazionale Fayez al Serraj, Minniti ha annunciato la riapertura a pieno regime dellโambasciata italiana in Libia, per intensificare il mutuo aiuto tra lโex colonia e il governo di Roma. Come ai tempi del regime di Gheddafi, le manovre a tenaglia di Minniti e Pinotti puntano ad armare e attrezzare il Paese in cambio di contropartite, anche economiche, per chiudere ai trafficanti di migranti le frontiere meridionali della Libia e aprire centri di raccolta e identificazione di stranieri in loco.
Nella sostanza, nulla di nuovo rispetto al migration compact dellโex premier Matteo Renzi, protagonista con lโallora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni di ferventi analoghe trattative anche con diversi regimi visitati nell’Africa subsahariana. Le novitร sono la maggiore incisivitร e lโaccelerata del tandem Minniti-Pinotti (il primo a onor del vero molto piรน esperto in materia di antiterrorismo e sicurezza della seconda), dovute anche allโuccisione in Italia del terrorista della strage di Berlino, il tunisino Anis Armi, dopo un lungo e indisturbato peregrinare da pregiudicato, in teoria espulso, per l’Europa.
Reazione comprensibile, se non fosse che il memorandum dโintesa concordato con la Libia resta vago, come quelli che si vanno negoziando con altri governi nel Sahel, su come garantire in Stati senza democrazia o in fieri come la Libia a tutti i coinvolti -dai migranti da trattenere o rispedire indietro, agli stessi italiani o stranieri chiamati a โsostenereโ le forze dellโordine libiche- gli standard imprescindibili di sicurezza e rispetto dei diritti umani.

Si va invece affermando il principio di fare di tutta lโerba un fascio: tanti giusti a pagare per qualche peccatore (forse, perchรฉ i piรน furbi e i piรน forti hanno sempre piรน risorse). Intanto lโequazione, ricorrente ormai anche in Italia, tra migranti e terroristi: Pinotti, che in qualitร di esponente del Pd dovrebbe credere nellโaccoglienza e per il suo incarico avere anche unโidea sui principali flussi di denaro allโISIS e ad AL QAEDA (petrodollari del Golfo persico? Servizi segreti di qualche Paese islamico, mediorientale o interessato?) ha sorprendentemente affermato: โGli scafisti lucrano sul dolore delle persone, finanziando poi con gli ingenti guadagni anche il terrorismoโ.
Cioรจ gli scafisti demonizzati, anello medio-basso di una lunga catena criminale che si intreccia ma non nasce di per sรฉ con lโIsis o con altro terrorismo islamico, nรฉ lo ha mai originato piรน di quanto almeno non lo facciano anche le mafie italiane o balcaniche o gli stessi affari -leciti- degli occidentali con gli sceicchi del Golfo, sarebbero deliberati foraggiatori del Califfato e degli emirati jihadisti: unโiperbole semplicistica e grossolana.
Nรฉ Renzi nรฉ Gentiloni hanno mai spiegato in che modo, sulla carta e senza vincoli imposti, dittature corrotte come quelle del Sudan o dellโEritrea possano garantire le libertร dโespressione e lโaccesso allโistruzione e al lavoro che i migranti cercano in Europa. Allo stesso modo Minniti non chiarisce come la Libia possa – pur con tutta la sua buona volontร – aprire centri dโaccoglienza e di espulsione in un territorio frammentato in balia di milizie sempre piรน spazientite e pronte al golpe che, a un anno dallโinsediamento a Tripoli, Serraj non controlla.

Le frontiere meridionali che si vogliono blindare sono un colabrodo attraversato da predoni, mercenari e jihadisti. Lโest della Libia รจ ancora in mano al generale Khalifa Haftar che ostinatamente non riconosce il governo dellโOnu di Serraj. Non รจ stata risolta la penuria di liquiditร e anche per questo anzichรฉ โstabilizzarsiโ come da impegno nel memorandum tra Italia e Libia, le strutture e infrastrutture del Paese soffrono del black out sempre piรน esteso dei servizi pubblici: manca la corrente elettrica e salta Internet, anche a Tripoli, per 13 ore al giorno.
Membri della Guardia presidenziale di Serraj continuano a dimettersi per โfallimentoโ e anche unโala scissionista delle brigate di Misurata pro Serraj, capitanata dall’ex premier golpista Khalifa Gwell, รจ pronta a scaricarlo se non viene in qualche modo stipendiata sottobanco. Il cammino della Libia verso l’equilibrio รจ lungo ed รจ giusto insistere nell’appoggio al governo di unitร frutto delle trattative di pace in Marocco: lโalternativa non sono dittature come quella dellโegiziano Abdel Fatah al Sisi o nuovi, compianti, Gheddafi o Saddam Hussein.
Ma nel frattempo, come possono i libici organizzarsi per gli altri prima che per se stessi? Come si possono discernere migranti economici, richiedenti asilo e criminali in zone in mano a milizie o nel deserto del Sahel che, con lโaccordo tra Gheddafi e Silvio Berlusconi, inghiottiva donne, bambini, migliaia di innocenti morti nella sabbia anzichรฉ annegati di fronte a Lampedusa? Quanti soldi e mezzi dall’Italia servono per aiutare la Libia a strutturarsi e come possono, non ultimi, anche i soldati e altri connazionali di rinforzo a Tripoli definirsi sicuri?
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli
ยฉ RIPRODUZIONE RISERVATA Africa Express: notizie dal continente dimenticato