Obama chiede all’Etiopia un impegno su democrazia e diritti umani

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Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 27 luglio 2015

“Non ho avuto peli sulla lingua quando abbiamo discusso di diritti umani e di buon governo – ha sottolineato Barack Obama durante la conferenza stampa tenuta congiuntamente assieme al primo ministro etiopico Hailamariam Desalegn – . Infatti gli ho chiesto di migliorare l’atteggiamento sul rispetto dei diritti umani”.

Primissimo piano

E’ scivolato però il presidente americano quando, parlando del governo di Addis Abeba, lo ha definito “democraticamente eletto”: un po’ troppo per un’amministrazione che può vantare il sostegno del cento per cento del parlamento. L’opposizione, infatti, sostiene che le elezioni erano truccate.

Desalegn ha sostenuto che l’impegno dell’Etiopia verso la democrazia è reale. “Noi però veniamo da secoli di regimi non democratici è difficile passare in pochi decenni a un sistema democratico completo”.  E a una domanda che criticava la mancanza di libertà di stampa ha risposto che il suo Paese vuole un giornalismo “responsabile, professionale e non violento, senza giornalisti legati a gruppi terroristici”. Il che per molti significa “allineato con il potere”. E questo, francamente, non è accettabile in una democrazia, infatti le critiche delle opposizioni si sono scatenate sul web, critiche sia verso il premier sia verso il presidente.

Obama a pranzo con Desalegn

L’Etiopia è l’unico Paese a sistema parlamentare e non presidenziale di tutta l’Africa. La sua Costituzione è una delle più moderne di tutto il continente e prevede perfino (sebbene con procedure non semplicissime) il diritto alla secessione. Nelle lunghe conversazioni che avevo periodicamente con il primo ministro Melles Zenawi (scomparso prematuramente nell’agosto 2012) che conoscevo bene sin da quando era il leader del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) e comandava i guerriglieri contro il regime del dittatore militar-comunista Menghistu Hailemariam, avevamo spesso affrontato il tema della democrazia. Personalmente sono convinto che Melles avrebbe voluto implementare i diritti degli etiopi. “Il mio obbiettivo – mi disse una mattina – è quello di arrivare a uno stato di diritto. Devo arrivarci con calma per convincere la gente del mio Paese che la violenza non è un’arma compatibile della lotta politica”.

Quando in un’altra occasione chiesi spiegazioni sui giornalisti in galera mi rispose.”Non sono giornalisti, ma fanno propaganda alla violenza e all’odio etnico. Se in Etiopia togliamo il coperchio alle rivendicazioni tribali scoppia tutto”. La stessa giustificazione che oggi ha addotto Desalegn alle critiche americane.

Per riuscire a spiegare la situazione in cui si dibattono alcuni governi africani, in bilico tra la feroce repressione, la guerriglia e la democrazia, racconto un altro episodio. Parlando del presidente sudanese Omar Al Bashir e della guerra in Darfur, Melles non espresse giudizi, diciamo così, lusinghieri nei confronti del suo omologo del nord. “Dovrebbe essere processato per crimini contro l’umanità”, si lascio sfuggire.

Quando un po’ di tempo più tardi la Corte Penale Internazionale spiccò un mandato di cattura contro il leader sudanese, il premier etiopico rilasciò una dichiarazione in cui criticava la decisione della Procura. Gli telefonai per chiedere spiegazioni: “Se fossi stato favorevole – si scusò quasi – Bashir mi avrebbe immediatamente organizzato una guerriglia alla frontiera e io non posso permettermela”.

Con Desalegn, il presidente americano ha discusso anche di lotta al terrorismo, ha lodato l’impegno etiopico contro gli shebab somali e promesso un maggiore aiuto degli Stati Uniti. Mentre oggi parlerà all’assemblea dei 54 Paesi dell’Unione Africana, ieri ha tenuto un minivertice sulle prospettive di pace in Sud Sudan, Paese giovanissimo (è nato nel luglio 2011) produttore di petrolio e quindi assai appetiti.

Oltre a Obama e a Desalegn hanno partecipato al summit il presidente ugandese Yoweri Museveni, quello keniota Uhuru Kenyatta, il ministro degli esteri sudanese, Ibrahim Ghandour, e la presidente dell’UA, la sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

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